Il navigatore è imperscrutabile, eppure io lo scruto. Anche
verso i suoi occhi che non ci sono. Però nello specchietto
vedo i miei.
un albergo dentro di me. L’ho trovato.
Ecco la storia.
che piaceva alle donne, anche da lontano. Anzi soprattutto
colpo. Gli esseri umani sono come i quadri: alcuni vanno
maggior parte – è preferibile non vederli affatto.
A parte questo era un povero diavolo. A forza di
pagare l’ Iva perse la casa, i mobili e i soprammobili. Ma
agiata, tra equitazione e barca a vela. E anche il ministro
dell’economia, un uomo integro, non se la passava male.
rassicurante. Anche la moglie era sparita (magari con un
vicino. Lui si ripeteva che con un bagaglio più leggero
riusciva a convincersi di questa grande verità.
Qualche certezza l’avrebbe gradita.
Era giù, ma aveva momenti di grandezza. Un altro al
qualche amico. Ma lui (colmo della fortuna per chi nella
anche gli amici, perlomeno quelli in grado di ospitarlo.
sempre incuriosito.
«Intanto dormo in un albergo della mia città. Cosa che
non capita quasi mai a nessuno. Poi si vedrà» si disse. E andò.
di camera sua. Inquieto. Prima di tutto quel grande
albergo era veramente grande. Lo aveva intravisto
labirinto. Inoltre i corridoi erano illuminati da una luce
rossastra che non prometteva niente di buono.
«Sarà suggestione. Mi hanno rovinato i film horror» pensò.
I film horror gli erano sempre piaciuti. Ma con le
nella sua vita, avevano preso a piacergli ancora di più. Lo rassicuravano.
Anzi forse questo era uno dei motivi per cui sua
moglie se n’era andata. Trovava che gli uomini che non
guardano film horror fossero più profondi di quelli che li
guardano. Chissà perché. I commercialisti non guardano
film horror.
Insomma si era perso. Arrivò a un corridoio largo e
lunghissimo, pieno di specchi.
Lui sarà stato anche eccessivo, ma quando non hai più
niente e ti perdi di notte in un albergo labirintico e arrivi a
un corridoio largo e lunghissimo pieno di specchi e
pervaso da una luce rossa… eh be’, ascoltami: è difficile
non sentirsi in un film horror. L’uomo cercava di dirsi che
Gesù, o Buddha, o Lao Tze, trovandosi nella stessa
situazione non avrebbero avuto paura, ma nonostante gli
sforzi furibondi non riusciva a immedesimarsi sul serio
neanche in uno di quei tre.
«Impostori» mormorò a denti stretti, come se il fatto
di non riuscire a essere come loro ne minasse la
credibilità.
Poi la vide.
A una cinquantina di metri da lui in mezzo al corridoio
c’era un divano. Sul divano sedeva una donna che gli
dava le spalle. Lui ne vedeva solo la testa, coi capelli a
caschetto, immobile.
Ora, che ci fa una donna in piena notte su un divano in
mezzo a un corridoio di un albergo e per di più immobile?
Fumasse, sarebbe già più rassicurante. Ma la maledetta
campagna antifumo e l’immobilità innaturale di quella
testa generarono nell’uomo un terrore indescrivibile.
Sapeva bene, perché aveva visto troppi film, ma anche
solo guardando dentro di sé, che se la donna si fosse
voltata non avrebbe mostrato un volto umano.
Probabilmente non avrebbe neppure mostrato un volto.
Partì dunque come un razzo e, addentrandosi in apnea
nella luce rossastra e nei corridoio secondari, trovò in un
baleno camera sua, neanche lavorasse in quell’albergo da
anni. Armeggiò freneticamente per aprire la porta,
temendo di vedere arrivare la donna con i capelli a
caschetto e il suo ridacchiante ghigno disumano, e alla
fine, sconvolto, riuscì a entrare in camera. Chiusa la porta
si sentì al sicuro e scoprì una cosa.
Quando nei film l’eroe (si fa per dire) è così scemo
che torna indietro per curiosità, e così finisce nei guai,
l’uomo aveva sempre riso per la scarsa plausibilità
dell’atteggiamento. «Hai avuto motivo di avere paura:
scappa o rintanati, mentecatto. Che vai a vedere!» si diceva.
Tuttavia, adesso, trovandosi precisamente in quella
situazione, sentì l’impulso di andare a vedere. Si disse:
«Non posso essere così pauroso». E così, vi assicuro che
è vero, dato che quell’uomo lo conosco bene, egli uscì
dalla camera un minuto dopo esservi entrato. Era preda di
una determinazione di origine sconosciuta che lo guidò
fino al corridoio gigantesco.
Non c’è nessun motivo per costruire un corridoio
gigantesco, se non fare paura a persone innocenti. Inoltre
gli specchi erano spaventosi.
Si fece coraggio e guardò il divano.
Vuoto. La donna non c’era più. Prima c’era. Poi non
c’era. Quale prova migliore che si trattasse di un
fantasma?
Quando metti in chiaro le cose ti senti sempre un po’
sollevato, anche se sono brutte. Un po’ sollevato (e un po’
no). L’uomo tornò in camera e si mise a dormire.
Si addormentò perché, dopotutto, era dotato di sangue
freddo.
Solo che il telefono squillò.
Non era il cellulare. Era il telefono fisso. Lui rispose.
Dall’altra parte il silenzio. Una situazione vista mille
volte, nella finzione. Solo che qui era vero, lo garantisco.
E dal vero è tutto un altro paio di maniche, come diceva
mia nonna.
Buttò giù. Si riaddormentò (che nervi di acciaio). Il
telefonò squillò di nuovo e di nuovo silenzio dall’altra
parte. Questo avrebbe scosso anche il più saldo degli
individui, anche uno che aveva la casa e poteva pagare
l’Iva. Ma lui no. Si rimise a dormire. Solo che dopo dieci
minuti… e così via: il fenomeno si ripeté diverse volte.
Era evidente che all’altro capo c’era la donna spaventosa,
il demone del corridoio. La figlia degli specchi.
L’uomo allora staccò il telefono appoggiando la
cornetta sul comodino. Il tu tu del telefono occupato
rimbombava nella stanza e lo spaventava. Si immaginava
che lo ripetesse la donna avvicinandosi alla stanza, quel
tu tu malato.
Allora, anche se uscire dal letto, abbandonando così il
rifugio immaginario, gli costò molto, si alzò per staccare
direttamente la presa dal muro tagliando così la testa al
toro. La presa era saldata e lui, travolto dal terrore,
strappò tutto, pur di essere libero. Gli pareva infatti che
fosse il telefono la fonte che il mostro stava utilizzando
per rintracciarlo.
Come se quella donna avesse uno speciale navigatore
per mostri, che ha bisogno di un telefono attivo per fiutare
la vittima.
Poco dopo aver sradicato la presa dal muro si rese
conto del suo errore atroce, da principiante dell’orrore.
Mai sradicare o rompere un telefono. Perché se quello
nonostante tutto continua a squillare è un brutto,
bruttissimo segno. Diventa una specie di telefono zombie,
e all’altro capo non può esserci tua zia, a meno che non
sia defunta e male intenzionata.
Aveva tagliato la testa al toro. Che sbaglio. Un toro
senza testa è più cattivo.
Così se ne stette rintanato sotto le coperte, in attesa
della telefonata definitiva. Che non venne. Arrivò invece
l’alba dalla finestra, la luce non fu più rossa e la vita
riprese il suo corso, allegra, nei limiti. I pensieri
lasciarono la paura e tornarono ai problemi
insormontabili.
Il mondo quando ci si mette sa essere incredibile,
infatti il muro accanto al letto si spalancò, come quando
le porte dell’inferno si aprono per inghiottirti. Succede.
Invece in quel caso era un armadio a muro di cui lui non
si era accorto e che, per qualche motivo dell’universo,
con le sue beffarde corrispondenze, aveva deciso di
aprirsi da solo proprio all’arrivo dell’alba.
A colazione l’uomo sedeva al suo tavolino tra altri
tavolini e altre persone.
Proprio davanti a lui c’era un’altra persona seduta da
sola. Era lei.
Non era semplicemente lei. Era doppiamente lei. Ora
che ce l’aveva di fronte lo capiva bene.
Si sorrisero. Incerti. Già felici. Lui aveva amato quella
donna, che però era dovuta partire per lavorare in
Inghilterra e quindi la cosa era finita bruscamente. Ai
tempi del loro amore lei aveva i capelli lunghi, non quei
terribili capelli a caschetto che gli avevano confuso le
idee. Lei si alzò e venne verso di lui. Non faceva paura.
Anzi. Magari fosse venuta
verso di lui la notte precedente! Era bella. Un sogno.
Si sedette al suo tavolo: in un attimo ci fu la
confidenza di sempre.
Lei disse: «Allora eri te ieri notte».
«Sì.»
«Perché sei andato via?»
«Ho avuto paura.» Ci sarebbe stato tempo di spiegare i
dettagli che, detti così subito, potevano metterlo in cattiva
luce. «Eri di spalle. Come hai fatto a vedermi?»
«Lo specchio: ti ho visto riflesso. Sei sempre stato
bello di lontano. Una sintesi d’uomo.»
Specchi benedetti.
«Sono riuscita a farmi dare il tuo numero alla
reception e ho provato a chiamarti.»
Accidenti, ora sarebbe stata dura spiegare perché
aveva staccato, e anzi divelto il telefono.
Per fortuna lei disse: «Chiamavo ma non si sentiva
niente. Questi vecchi alberghi storici sono troppo storici».
«Già» fece lui.
«Senti, perché stai così sulle tue?»
Quella donna era meravigliosa. Anche a distanza di
anni era capace di entrare diritto nel suo cuore col
minimo sforzo. Allora lui rinunciò alla reticenza tattica: le
raccontò tutto e risero per ore.
«Con tutti quei film horror… sei sempre stato un po’
ritardato, a livello sentimentale.»
Lui non se la prese.
Lei spiegò che era di passaggio da Lucca per lavoro e
aveva dormito in albergo perché non aveva più parenti da
quelle parti.
Lui le disse: «Prima avevi i capelli diversi».
«Ora se vuoi me li faccio ricrescere. Sei bello anche
da vicino.»
Lui interpretò quella frase, detta con la massima
naturalezza, come una dichiarazione di fidanzamento
istantaneo. E così fu.
Si trasferirono insieme altrove, il lavoro di lui andò
meglio e lei lo aiutò in tutto, gli insegnò anche a non fare
le fatture.
Si amarono. Da morire.
Lui ogni tanto ripensava a lei come al mostro del
corridoio e questo dava un brivido in più.
Questo episodio è il primo passo di un percorso il cui
senso è scritto nell’insieme delle voci. C’è un rapporto tra
varietà e unità. Esiste una legge che governa l’amore.
Nessuno la conosce. Eppure le storie la contengono.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.