Più non nomino il suo nome, voglio esercitarmi
a dimenticarlo anche se qui tutto parla di lui. Dovrò
mutare i miei gesti ed eliminare il duale dai miei pensieri.
L’ho accolto naufrago, profugo dal mare, sfinito
dopo il lungo viaggio. Per anni non ho ceduto ai mille
pretendenti che strinsero alleanza con me nella spe-
ranza di avermi in sposa; a lui, invece, è bastato uno
sguardo per vincermi e ottenere così un regno che suscita
l’invidia dei popoli confinanti.
Gli ho dato tutta me stessa: per lui dopo notti di
tormento ho calpestato il Pudore, ho violato il vincolo
di fedeltà alla memoria dell’unico uomo che mi abbia
mai amato veramente e di cui continuo a essere orfana.
Ah, se fossi ricordata soltanto come la vedova di
Sicheo! Ora, invece, per tutti sono l’amante ingannata,
la sciocca che pensava di poter cambiare un uomo,
la regina che per lussuria perse la ragione! Che sprofondino
nel Tartaro senza fine! Ma che ne sanno gli
altri del mio sentimento?! Quale sventura capitò a me,
nuora di Venere: vedere offeso il mio amore da quelle
onde che alla dea diedero la vita! Che il traditore in
quella stessa spuma trovi la morte!
Perché è partito? Perché l’ha fatto? Pensa davvero
di conoscere una donna che lo amerà più di me? Non
trovo requie, Arianna; una passione irrefrenabile mi
domina! Alla vita di una schiava sarebbe riconosciuto
maggior valore!
Mia cara, abbiamo avuto la malasorte di trovare sul
nostro cammino due farabutti, due egoisti che meriterebbero
di essere torturati dalle Arpie per il dolore che
ci hanno inferto! Lui tradirà ancora, come ha sempre
fatto, così come ha ingannato me e abbandonato Creusa
mentre Ilio cadeva in mani nemiche… Perfidus! Le
sue parole le porta via il vento. Gli immortali non
possono avere nel cuore uomini come questi!
Ho un’unica colpa: quella di avere amato.
Didone
Cara Didone,
non è mia intenzione biasimarti o condannare
i tuoi sentimenti perché Cupido è un dio beffardo e
crudele. Non pretendo, inoltre, di immedesimarmi
nel tuo dolore, ma, poiché anche io sono stata lasciata
dall’uomo che mi aveva rapito il cuore, vorrei alleviare
il peso dell’abbandono che ora senti e sperare di
chiarire il motivo per il quale stai soffrendo.
Sai dove ha avuto inizio questa tua afflizione che
è stata anche la mia? Da una favola: quella della metà
della mela. Te la racconto brevemente e mi auguro
che le mie parole ti siano amiche.
Un tempo noi uomini eravamo grossi come giganti,
esseri tondeggianti e uniti per le spalle, con
due volti su un solo collo, quattro braccia, venti dita,
quattro gambe e quattro piedi, due organi sessuali e,
infine, due cuori che battevano all’unisono. Forse ti
sorprenderà sapere che non siamo sempre stati o solo
uomini o solo donne, ma che eravamo anche perfetti:
ermafroditi o androgini, se preferisci. Avevamo in
noi, cioè, entrambi i connotati, eravamo a un tempo
discendenti del Sole e della Terra: venivamo dalla
Luna. Camminavamo in posizione eretta, ma quando
c’era da correre ci divertivamo come fanciulli a volteggiare
facendo leva prima sugli arti del lato destro,
poi su quelli di sinistra. Piroette avanti e indietro,
evoluzioni in obliquo, atterraggi su due piedi…
Ci libravamo nell’aria come acrobati! Tutti, uomini, donne
ed ermafroditi eravamo energici, dal temperamento altero
e con un senso di onnipotenza tale per cui
la terra dove abitavamo non ci bastava più. Volevamo
arrivare in alto, molto in alto: fino alla vetta dell’Olimpo.
Prima di noi furono i Giganti a insorgere contro gli dèi,
ma la loro tracotanza fu incenerita da Zeus
che annientò i sediziosi con un fulmine.
Per noi, invece, le divinità idearono una punizione più
blanda, atta a non sterminarci tutti, ma ugualmente
dolorosa perché ci privò della nostra interezza:
ci divisero a metà. Fu il Cronide a sezionarci, mentre
Apollo fu incaricato della sutura: lavoro non da poco,
dato che oltre a voltare il viso di ciascuna metà verso
la ferita, a ricordo del castigo subìto, c’era anche una
quantità enorme di pelle da tirare, piegare e cucire,
soprattutto attorno al ventre che il dio si divertiva a
manipolare in modi diversi, con il risultato di modellare
ombelichi come bitorzoli. Divisi, eravamo alla
disperata ricerca di quello che era nostro: ci abbracciavamo
l’un l’altro fino allo sfinimento, ma alla fine
eravamo sempre in due. Non insieme in due, ma separati
in due e, cosa ancor più grave, senza la propria
metà l’altra non voleva far nulla, per cui si moriva di
inedia e di inattività.
I semiuomini, le semidonne, gli erma e i froditi,
erano disinteressati a tutto: al lavoro come alle divinità,
tanto all’ozio quanto al sesso e avanti di questo
passo il genere umano si sarebbe estinto. Per scongiurare
questo pericolo, Zeus decise di spostare gli organi
sessuali in posizione frontale – sì, prima erano laterali,
ragion per cui procreavamo con la terra come le cicale
che si posano al sole! – così che dall’unione tra le
due metà di un originario androgino sarebbe nato un
bambino. In questo modo, l’uomo e la donna avrebbero
finalmente appagato il desiderio di unità, ritornando a
far parte dell’intero primordiale. Le cose sono rimaste
invariate nel corso dei millenni, tanto che ancora oggi
la nostra vita sentimentale – etero o omosessuale non
fa differenza: mal comune mezzo gaudio – ha un unico
scopo e cioè trovare l’altra parte di noi, quella con
cui basta uno sguardo per capirsi senza sprecare parole,
quella che non ci lascerà mai e che ameremo per
sempre. In altre parole, la metà con cui essere una cosa
sola. Finalmente, di nuovo, un tutto.
Quando sono stata piantata in Nasso, ho pensato
molto a questo mito e mi struggevo nell’animo pensando
che con quel farabutto – hai detto bene! – di Teseo se
ne fosse andata per sempre anche la mia anima
gemella. Come avrei fatto senza di lui, il pezzo mancante
per colmare i miei vuoti?
Poi, un giorno, la rabbia che provavo per quel ragazzotto
ha risvegliato in me un pizzico di sano amor
proprio e sai che cosa ti dico, Didone? Che nessuno ha
bisogno di un’altra persona per sentirsi interamente felice!
Hai forse bisogno di un altro paio di occhi
per vedere? Di due piedi in più per camminare? Di un
secondo cuore per vivere? Certo che no! Quindi, io ti
dico che questa invenzione dell’altra metà della mela
ha provocato più danni che vantaggi e decisamente
più dolori che gioie, ma soprattutto ha creato l’utopia
della persona giusta con la quale condividere una vita
tra il romanticismo smielato e l’attaccamento morboso.
Cresciamo con l’idea di essere incompleti, di aver
necessariamente bisogno di un’altra persona per stare
bene e una volta che l’abbiamo trovata, bramiamo
vivere nell’extra-ordinario, nello stupefacente, nello
strabiliante. Anche io quando sognavo la mia vita con
Teseo, non mi accontentavo di essere felice: volevo
essere felicissima, così come non mi bastava essere
innamorata, ma innamoratissima perché bisognava
essere super per essere davvero. Mai bugia fu più bugiarda!
Purtroppo, seguendo l’inganno dell’anima gemella abbiamo
finito per capovolgere la realtà con la
finzione di una commedia, dove la banalità e la quotidianità,
persino la noia e le delusioni, anziché essere la semplice
normalità sono percepiti come segnali
forieri di tempesta, indizi che qualcosa si stia incrinando.
L’estasi del primo incontro e le farfalle nello
stomaco del primo bacio non potranno protrarsi nel
corso degli anni con la stessa intensità. Rimarranno
un’eccezione.
Cosa c’entra questo discorso con il dolore che ora
ti spacca il cuore? C’entra eccome! Quello che voglio
dirti è che se anche quel Troiano non ti avesse abbandonato
e a quest’ora foste la coppia regnante di Carta-
gine, la vostra vita di coniugi sarebbe stata banalmente
abitudinaria, costellata da baci e da lunghe notti
d’amore – sì – ma anche da screzi, litigi, incomprensioni
e da tanta, tanta pazienza.
Mi domandi se esista un rimedio per metterci in
guardia da relazioni con uomini che non ci meritano?
Be’, sì e sarei pronta a giurarlo sullo Stige, se necessario!
La fine di ogni relazione è racchiusa nell’inizio,
quando il fuoco che arde dentro di noi ci impedisce
di vedere la realtà per quello che è veramente. Le nostre
fragilità hanno un peso in questa fase delicata
che può protrarsi anche molto a lungo, almeno finché
continuiamo a preferire le ombre della caverna che ci
siamo costruiti alla luce abbagliante del sole che ci richiama
a gran voce dalla fine dell’antro.
Un altro problema sono forse le domande che siamo soliti
porgere in fase di conoscenza: se, per esempio, anziché
chiedere a Teseo se fosse di alto lignaggio
o se sapesse maneggiare bene la spada, avessi cercato
di sapere qualcosa di più sul trattamento riservato
alle precedenti donne, magari non avrei visto in lui il
mio salvatore. Allo stesso modo, se tu avessi domandato
all’Innominabile quali fossero le sue passioni,
probabilmente avresti capito che il richiamo del mare
sarebbe stato più forte di lui.
Ti prego, non chiedermi chi fosse Teseo perché
ti confesso che ancora fatico a comprenderlo; so solo
che aveva una gran confusione in testa e che se non
fosse stato per il mio aiuto, a quest’ora sarebbe ancora
lì nel labirinto di Cnosso. Ma sai che c’è? Non mi interessa
più niente di lui! Passata la bufera, ho deciso
di non continuare a riversare rancore su chi neppure
poteva ascoltarlo e ho iniziato a pensare a me.
Capisci dove voglio arrivare? Gli antichi ci insegnarono
il Mēdèn ágān, a non avere nulla in eccesso;
anche l’amore – se troppo – stroppia. Anche se con
la persona che riteniamo giusta per mille motivi non
dovesse andare, non pretendiamo. Il punto è proprio
questo: non pretendere la perfezione – perché non è
di questo mondo – né la persona giusta perché semplicemente
non esiste! No, Didone, con Lui non sarebbe stato tutto bellissimo:
ti avrebbe deluso, fatto arrabbiare, condotto allo sfinimento –
qualcosa in meno
rispetto a quanto non abbia fatto ora! – e con buona
pace del tuo ego ferito, anche tu avresti fatto lo stesso
con lui!
Se, dunque, sono riuscita a persuaderti che anche con Quello
lì – così come io con Questo qui – non
avresti vissuto una vita da favola, potrai forse giungere alla
conclusione che ti innamorerai di nuovo.
Ma questa volta, fallo cum grano salis: smantella le
sovrastrutture dell’amore, liberati dalla trappola del
romanticismo a tutti i costi e se la quotidianità si rivelerà
diversa da quella che avevi immaginato, non
lasciarti scoraggiare mandando tutto a monte! Nessuna
relazione è esente da fastidi ma gli ostacoli sono
superabili, la fatica non è vana, gli sforzi sono ripagati
e tagliare traguardi – insieme – è possibile.
L’amore non è né una favola né una tragedia: è
quel che sta nel mezzo. Per cui è inutile arrabattarsi
a cercare quello 0,5 che sommato a noi diventa un intero;
impegniamoci, piuttosto, a far sì che il nostro
insieme a quello di un’altra persona faccia né più né
meno.
Questo è l’augurio che faccio a entrambe perché
anche tu come me possa tornare presto a sorridere
ancora.
Post Scriptum: del mio nuovo uomo ti parlerò
prossimamente; si chiama Dioniso ed è ebbro di voglia di vivere!
Fatti forza, Didone!
Un bacio.
Arianna
Giulia (proprietario verificato)
Questo titolo sembra davvero interessante e di sicuro diverso dal solito. Non vedo l’ora di leggerlo! Giulia.
Chiara Bernocchi (proprietario verificato)
Grazie, Valentina, per le tue parole e per il tempo trascorso in compagnia delle mie eroine.
Chiara
Valentina (proprietario verificato)
Ho letto questo romanzo qualche tempo fa. È un romanzo che parla di donne, donne epiche, amiche e innamorate. Le protagoniste sono Arianna e Didone, Andromaca e Penelope, Psiche e Calipso, Eco e Dafne, Atena e Teti. Donne che si scrivono lettere e a cuore aperto si scambiano consigli, consigli sull’amore tradito, sull’amore consapevole, sull’amore coniugale, sull’amore offeso e sull’amore materno.
Consigli sinceri come quelli che solo buone amiche sanno scambiarsi. Parole intelligenti che ci trascinano dentro il testo e approfondiscono storie e stati d’animo che non sono mai stati esplorati in maniera cosí onesta e autentica.
Grazie al libro di Chiara approfondiamo storie e punti di vista differenti.
Il coraggio non manca in queste lettere e la penna di Chiara è davvero singolare.
Leggetelo!!