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In equilibrio su una tazzina di caffè

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Tutto ciò che accade nella vita di Ettore è scandito dal caffè, un rito che diventa un momento di riflessione e che lo accompagna nei ricordi che affiorano nella sua mente, il punto di equilibrio della sua quotidianità. Dal liceo e dalle chiacchierate davanti la macchinetta del caffè con Davide e Sara, fino alla routine della vita adulta, fatta di lavoro, corse in bus e pranzi con gli amici. Ma la sua vita prenderà una piega inaspettata ed Ettore sarà costretto a fare i conti con i momenti più dolorosi che la vita conserva: vecchi e nuovi amori, cambiamenti sul lavoro e la ricerca di se stesso. Nel 2020, ormai trentenne, sarà pronto a raccontare la sua vita senza più nascondersi e a inseguire i suoi sogni per scrivere un nuovo finale.

 

21 DICEMBRE 2007

Mi alzo la mattina e comincio a borbottare.
Niente di chiaro o preciso. Bofonchio solo qualcosa contro la sveglia del cellulare, contro mio padre che starà una mezz’oretta buona in bagno canticchiando come un ebete, contro mia sorella che dormirà ancora fino alle otto, ma soprattutto contro mia madre.
Sorriso spento. Occhi semi chiusi.
«Non mi hai ancora preparato il caffè» le dico quando me la trovo davanti alla porta di camera mia.
Il caffè. La mia droga. La bestia che mi divora se la mattina non la sazio prontamente. Se appena sveglio non ci fosse il caffè, io morirei. E lei lo sa. Da ben diciassette anni, mese più, mese meno. Mia madre mi guarda fisso, arriccia la bocca pronunciando parole che non riesco a sentire, che mi giungono da chissà dove e si spengono poco prima di scuotermi le orecchie.
Capisco solo due parole: tardi e arrangiati.
Adesso sono vicino al limite per sclerare, per dare di matto, per ribaltare tutto, ma poi penso alla mia bestiolina che ha sete e che mi ordina di tornare in me per raggiungere l’obiettivo.
Mi faccio forza.
Scendo in cucina. E con MTV che passa ancora Umbrella di Rihanna, comincio a farmi il primo caffè della giornata.
Dopo pochi minuti, passati con la testa tra le mani e gli occhi anco-ra appiccicati di sonno, il profumo che esce dalla moka mi arriva deciso alle narici e mi avvolge: torno in me. Comincia così, come tutti i giorni, il mio rituale quotidiano, il più importante di tutti.

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Ore 7:10 – Caffè numero uno
Aroma perfetto, gusto medio, tazzina di colore blu elettrico, due cucchiaini di zucchero sul fondo.
Mescolo e assaporo. Bevo lentamente, sento il suo calore invadermi la bocca arida, mi sto risvegliando dal nulla, poco alla volta. Un sorso, poi due. Attendo. Poi ancora, e tre, ancora, e quattro, il caffè placa il desiderio, mi risveglia la memoria. Ma è troppo tardi per accorgersene. Sono già le sette e venti. E devo correre in bagno, scavalcare mio padre, salutare mia madre, lavarmi mani, faccia, denti. Poi vestirmi, fare lo zaino, rifare il letto, preparare l’iPod e prendere il cappotto.
Uscire.
La strada verso il liceo la conosco come le mie tasche, quelle dove rimane sempre qualche moneta e un paio di fazzoletti, per capirsi. È tutta dritta e nelle mattine d’inverno come questa sembra la via che corre verso un purgatorio poco raccomandabile: tutto grigio, immobile e ghiacciato. Le anime dannate sono i genitori che accompagnano in macchina i figli e non sanno dove parcheggiare. Hanno occhiaie marcate che sbucano fuori dalle sciarpe di lana e qualche sigaretta accesa. Forse bevono pochi caffè, ma al solo pensiero mi sale un brivido fino al cervello.
Entro in classe e solo così mi sento al caldo.
Anche se il freddo tra i banchi si chiama “Ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale” e “Interrogazione di Letteratura Greca”, una fortuna fottuta.
“Letteratura greca”: qualcosa come trenta pagine d’introduzione generale, vita, morte e miracoli di Eschilo, cinque delle sue tragedie, dodici testi, paradigmi vari e senso di giustizia e religiosità nel quinto secolo avanti Cristo da rielaborare su fotocopie sparse nello zaino e senza alcun senso logico apparente.
Aspetterò la terza ora, e poi toccherà a me.
La prima ora c’è latino, la professoressa vaneggia facendo ruotare tra le dita la sua matita dalla punta perfetta, una noia senza fine. Ripasso.
Seconda ora religione, peggio della precedente. Ripasso e mi guardo attorno.
Ogni tanto mi pare incredibile come la mia classe sembri sempre la stessa da tre anni, tutti nei soliti banchi, uguali vestiti, identiche posture. Se mi sforzo un attimo, posso intuire cosa stia pensando Sara mentre scarabocchia sulla Smemo di Valentina. Se guardo con atten-zione Davide, sono certo che dopo quattro secondi lui mi guarderà a sua volta e alzerà gli occhi al cielo. I miei amici forse li conosco davvero a memoria.
Eschilo e le sue cazzo di tragedie, chiaramente, amici miei non lo saranno mai.
E infatti, sembra passato solo un attimo ma siamo già alla terza ora, finalmente.
Letteratura greca.
La professoressa è entrata in classe con la consueta falcata di chi è pronta a interrogare velocemente, elargire voti altissimi – perché a Natale siamo tutti più buoni – e uscire due ore prima, perché dopo l’intervallo non ha più lezioni, come ogni venerdì. Sono un illuso, vero?
Diciamo solo che quando è arrivato il mio turno per essere interrogato la professoressa sembrava volesse prendersi tutto il tempo di questo mondo per farsi raccontare ogni dettaglio sulla poetica di Eschilo, ha iniziato a chiedermi questo e poi quello e poi quell’altro; e io per un attimo provavo a risponderle anche con un semplice bla bla, ma poi sembrava che volesse sapere altro e altro ancora, quindi mi sono trovato a giocare un po’ con l’astuccio provando anche a sorriderle come a proporle un armistizio, avrei voluto chiederle se avesse cambiato pettinatura o farle i complimenti perché in effetti quella maglia a quadretti le stava proprio bene. Sentivo Davide dietro di me che alzava gli occhi al cielo perché probabilmente non ne poteva più nemmeno lui e poi mi sono trovato con un sei sul registro.
Un mio sorriso a metà per accettare il tutto. E meno male che a Natale siamo tutti più buoni.
Suona la campanella dell’intervallo e Davide si avvicina mentre cerco le monetine nelle tasche per la macchinetta del caffè.
«Allora?»
«Allora, cosa?»
«Com’è andata?»
«Sei.»
«Che storia. Secondo me comunque mica male.»
«Eh.»
«Ce ne facciamo uno?»
«Ovviamente.»

2022-04-12

Aggiornamento

Grazie, grazie grazie! Abbiamo superato le prime duecento copie preordinate del mio romanzo! La storia di Ettore e dei suoi caffè lasciati in sospeso potrà finalmente essere vostra! Ed io non vedo l’ora!
2022-02-02

Aggiornamento

La campagna è iniziata da due giorni appena e già in tanti mi state sostenendo in questa avventura! Grazie davvero, grazie! Non vedo l’ora che la storia di Ettore diventi anche la vostra storia!

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Matteo Morsetti
È nato a Valenza nel 1990. Laureato in Giurispruden-za, vive e lavora a Torino. In equilibrio su una tazzina di caffè è il suo primo romanzo.
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