PARTE 1: PRESENTAZIONI
Carlo e la gara di scacchi
“Il passato spesso impone, come un’orma segnata
sul sentiero, la strada da seguire.”
Carlo e Jane, inutili individui di cui il sistema poteva fare tranquillamente a meno, hanno determinato i fatti, la storia. Paranoico l’uno, sognatrice l’altra, vivevano trascinando nelle loro esistenze un pesante mantello, ma il coraggio di sapere e la volontà di agire ne hanno corroso lentamente il logoro tessuto di menzogne. Si erano conosciuti in modo del tutto banale, come spesso capita nella vita: quando meno te l’aspetti, arriva qualcosa o qualcuno che ti sconvolge. Non lo chiedi. Neppure lo immagini. Accade.
11 gennaio 2022. Carlo stava andando a Berlino per una gara internazionale di scacchi. Aveva ereditato questa passione dal nonno, a Parigi. Un vecchio di poche parole, dal volto squadrato e dalle espressioni dure e impenetrabili. Ogni sera, dopo l’austera cena, si sedeva di fronte a lui. Tra loro solo un’antica scacchiera. Non sapeva quale fosse il suo sogno, era destinato a non sognare. Il vecchio sognava per lui, programmando ogni cosa: doveva diventare campione mondiale di scacchi. Aveva giocato per una vita ed era molto bravo, ma ora era il momento di gareggiare. E di vincere.
Carlo era un tipo silenzioso, chiuso e riservato. Timido al punto che nascondeva a se stesso anche i propri desideri e il proprio valore. Non era consapevole della sua genialità, ma era piuttosto sfortunato. All’età di dodici anni era rimasto senza più una madre e un padre, trasferendosi quindi a Parigi per vivere con il vecchio, il nonno paterno, un tipo burbero e cinico. Lasciare di punto in bianco i suoi amici, i suoi cugini, l’odore del mare della sua città e la lingua del suo Paese non fu semplice. Era cresciuto da solo. L’unica relazione era stata quella con il vecchio. La capitale francese aveva chiuso per sempre la porta in faccia alla sua infanzia serena, facendolo vivere come un prigioniero in un campo di lavori forzati. Conosceva la condanna, tuttavia si chiedeva quale fosse la propria colpa.
Aveva una corporatura bizzarra. Non troppo alto, mingherlino, gli occhi grandi e le labbra disegnate a sorriso. Una bocca ampia e una dentatura simpatica. Il nasone non stonava sul disegno del suo volto squadrato e su di esso appoggiava gli occhiali grandi, neri, di un astigmatico. Non era alto e aveva i piedi piatti, i fianchi larghi e un grande sedere. Giocava a nascondino con la vita, rifugiato in un mondo protetto che suo nonno non conosceva affatto. Amava creare origami, leggere e sentire la musica. In essa si rifugiava suonando e studiando quel meraviglioso linguaggio che solo gli umani sanno esprimere, nell’armonia delle vibrazioni sonore.
Tra speranze, sogni e paure, finalmente stava lasciando Parigi e il nonno. Stava andando via. Quel nuovo anno sembrava iniziare bene, almeno fino a prova contraria, perché poi un attentato su un volo diretto in Norvegia aveva fatto cadere presto quella percezione positiva.
Carlo e gli altri passeggeri restarono per ore fermi in aeroporto. Durante l’attesa estenuante, Carlo era stato l’unico in grado di rimanere impassibile, quasi sereno, certamente tranquillo. E non era da lui. Forse la distanza dal vecchio lo stava disintossicando, o forse era troppo concentrato sulle sue ansie personali per farsi investire anche da quelle che provenivano da fuori.
Stava bevendo la sua bevanda preferita, un doppio whisky con ghiaccio, al bar dell’aeroporto, mentre metteva in ordine i documenti per l’accesso alla gara. Nelle sue paranoie aveva l’abitudine di riguardare cento volte che tutto fosse sotto controllo e al proprio posto. Aveva controllato diverse volte la documentazione e cento volte l’aveva riposta in modo maniacale. Durante l’ennesimo rito di verifica, qualcosa non sembrava più essere al suo posto. Il panico: quel delirio generalizzato a cui cede normalmente l’essere umano, quando tutte le certezze cadono come birilli in uno strike del caso, del destino o della sventura. Non riusciva a trovare più la prenotazione, o meglio, la password di accesso alla gara. Quella stessa prenotazione che, se l’aereo fosse partito in tempo, l’avrebbe portato a giocare una partita che gli avrebbe fruttato non pochi soldoni e forse la stima del vecchio in caso di vittoria.
Con movimenti convulsi e disordinati riguardava tutte le carte. Di nuovo! La mente si offuscava.
Il bicchiere di whishy cadde a terra e bagnò anche una parte della sua documentazione. Stupito da tanta goffaggine che stava scatenando una serie di nefasti imprevisti, Carlo si accasciò sul bancone del bar, arrendendosi alla consapevolezza di essere davvero un ansioso cronico.
Nel frattempo, l’altoparlante dell’aeroporto annunciò che i voli sarebbero ripartiti a breve e venne annunciato anche il suo. Correre al gate? Sistemare le carte? Il tempo, sospeso come una pausa di quattro quarti sul pentagramma mentre credi di suonare un allegretto, stava cambiando il ritmo e la musica. Di certo non poteva partire senza quella prenotazione, cioè senza quel numero esatto che gli avevano spedito per posta ordinaria come si fa per il PIN di un bancomat. Erano quelle le circostanze in cui ci si rende conto che la tecnologia può salvarti la vita.
Carlo doveva prendere una decisione: verificare ancora in modo ossessivo se quel codice fosse tra le sue carte o essere, per la prima volta in vita sua, fiducioso, quindi fregarsene e pensare solo a prendere quell’aereo. Ordinò al volo un altro whisky e lo tracannò in un attimo. Posò il bicchiere, prese le sue cose senza neppure sistemarle come era solito fare e, angosciatamente angosciato, si diresse verso il gate. Correva nel suo modo goffo, reso ancora più ridicolo dalla quantità di cose che si trascinava insieme ai bagagli e al cappotto. Sembrava essere uscito da un cartoon della Disney e, con un po’ di fantasia, si poteva immaginare anche la musichetta di sottofondo di violini, archi vari e pianoforte. Quando, ecco il colpo di scena: Jane.
«Signore! Ehi, signore.»
Carlo non pensò si rivolgessero a lui e continuò il suo valzer convulso verso il gate.
«Signore!» Jane incalzava.
La sua voce dolce era insistente. Carlo, anche se la cosa gli sembrava piuttosto improbabile, si girò con il dubbio che si stessero rivolgendo a lui. Chi vuoi che parli con uno sfigato?
«Signore, credo abbia perso questo.» Jane allungò la sua mano per porgere a Carlo qualcosa.
Carlo si illuminò. Preso da un entusiasmo fatto di speranza, era certo che si trattasse del suo codice per la prenotazione alla gara. Si girò di colpo.
«Eccomi. Eccomi. Mi dica.»
«Ecco a lei, ho avuto l’impressione che avesse lasciato questo. Distratto forse dalle mille cose che ha tra le mani, l’avrà dimenticato.»
Carlo raccolse dalle mani quello che lei le stava porgendo, ringraziò e continuò verso il suo gate. Non badò molto a Jane, forse memorizzando di lei solo la dolcezza della sua voce sottile.
Non potevano immaginare che da quella scena nulla sarebbe mai più stato com’era.
ANNA RIVA (proprietario verificato)
Un racconto che si dipana tra diversi ambiti esprimendo la volontà di muoversi tra il qui e l’altrove.
Un racconto che intreccia umani, robot e umanoidi partendo dall’anno duemilaventidue e proiettandosi al duemilatrentacinque prospettando realtà segnate da profondi cambiamenti, accelerati dall’ultima pandemia.
La storia passa attraverso gli scenari politici e socio-culturali del mondo odierno.
“Carlo era deluso da quel mondo che minacciava da ogni parte la serenità: la natura si stava rivoltando, la tecnologia stava per prendere il sopravvento, la guerra tornava come minaccia dopo che da sempre aveva scritto pagine di storia umana”.
L’autrice lascia tra le righe riflessioni introspettive necessarie per cogliere la complessità di un tempo disordinati, ingolfato, caricato e sull’orlo di un crollo totale.
Roberto Baratto
Il desiderio di ritornare su quelle pagine avvincenti è stata quasi morbosa! Una storia di fantascienza, incredibilmente attuale, ambientata nei nostri giorni e che non perde occasione, con molta eleganza, di far riflettere sui temi di attualità incrociandoli perfettamente con le fantasie futuristiche del racconto.
Un elogio all’umanità, una esortazione a non perdere il senso delle cose, la natura di ciò che ci circonda di fronte all’avanzamento inesorabile della tecnologia.
Una storia a lieto fine scritta con una penna che rende tutto più familiare, più vicino alla realtà, immergendosi con semplicità in quel desiderio ormai recondito di dover e voler amare la nostra Terra.
Complimenti e grazie per questo splendido libro!
Alessandro Sasso
Libro scritto magnificamente, fantasia poliedrica e poderosa cultura dell’autrice tra riferimenti filosofici e storia antica. Avvincente storia di fantascienza comunque nello spazio-tempo contemporaneo e proiettata nel prossimo futuro. Bellissima
Sabato Luongo (proprietario verificato)
Un libro che durante la lettura oscilla dall’eccentrico al concentrico, dalla follia alla razionalita, dalla realtà al surreale, un libro che grazie all’alternare di emozioni lo rende misterioso con un finale affascinante, suggerisco vivamente di leggere.
Graziana Baldanza (proprietario verificato)
Una storia avvincente, intrigante che dopo i primi capitoli diventa talmente coinvolgente da leggerlo tutto in un fiato fino alla fine. La capacità descrittiva dell’autrice fa entrare il lettore nei panni dei protagonisti vivendone ogni emozione e le profonde riflessioni sulla nostra esistenza così in bilico tra l’umano e il transumano…a tratti la fantasia si fonde nella realtà e viene da pensare che forse qualcosa, che può sembrare solo frutto dell’immaginazione, lo stiamo già vivendo…..lo consiglierei ai ragazzi (ma non solo) così ammaliati dalla tecnologia da rimanerne spesso protagonisti passivi : questa lettura può guidarli a comprendere il vero senso del nostro vivere che mai e poi mai potrà essere consegnato a robot metallici che per quanto intelligenti non potranno mai avere un cuore di carne……
Un libro che infonde coraggio e speranza,una favola bella, in cui ognuno è chiamato a scrivere il suo finale!!!
Grazie all’autrice per questo meraviglioso viaggio nel domani che verrà…..