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Estate di mogano

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Agosto 1994. I notiziari ripetono che si tratta dell’estate più calda di sempre.

In una Milano dove il sole picchia, l’aria soffoca e l’afa fa ribollire il sangue nelle vene, si intrecciano destini segnati da segreti e ossessioni: una coppia in fuga verso il mare, un ispettore corrotto travolto dagli eventi, uno sceneggiatore squattrinato che incontra l’Afrodite della sua “pièce” teatrale, un’investigatrice sfinita che vede la sua pensione sfumare davanti a un ultimo, assurdo delitto.

Sullo sfondo, un’Italia sospesa tra euforia e nevrosi, dove l’estate non porta più leggerezza, ma solo sangue.

Mare rosso sangue

31 agosto 1994

Il sole del meriggio batteva a picco sull’asfalto bollente. Lungo le curve silenziose della costa non c’era anima viva, all’infuori delle lucertole che sonnecchiavano tra le erbacce secche ai bordi della strada. La calca dei turisti, ammesso che vi fosse rimasto ancora qualcuno disposto a sopportare quel caldo d’inferno, doveva essersi ammassata qualche decina di chilometri più indietro, sulle spiagge affollate di Savona, Bergeggi e Spotorno, cercando riparo dall’arsura sotto gli ombrelloni colorati e i chioschetti di ghiaccioli, per scampare a quei trentacinque gradi che bruciavano la pelle. Ma lassù, sulla strada che correva sotto l’afa battente, non c’era nessuno. Quel tratto di carreggiata ingiallita appariva deserto, riarso com’era dall’ultimo sole di agosto.

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La quiete soffocante fu sconvolta dall’improvviso sopraggiungere di un’automobile solitaria che, preannunciata dal rombo delle gomme e dal rumore assordante della radio, spuntò da dietro una curva, sfrecciando oltre i novanta chilometri orari. Era una Duetto cabrio del ’92, targata Milano, sportiva e grintosa, con la carrozzeria di un rosso acceso e il tettuccio in tela abbassato. Il vento scompigliava i capelli dei due giovani passeggeri accomodati sui sedili in pelle ocra.

Quello che stava al volante era un belloccio sulla ventina, spallato, atletico, di una bellezza squadrata e americana da giocatore di football, uno di quei volti ben definiti che si vedono sulle copertine delle riviste che mostrano come sono diventati i protagonisti dei Goonies. Aveva gli occhi grigio-verdi e i capelli biondi e fini, con la frangia ripartita a sipario ai due lati della fronte. Indossava una polo blu navy di marca, un paio di bermuda bianchi, dei mocassini di camoscio e, sopra la fronte, degli occhiali da sole da aviatore cerchiati d’oro. Se ne stava alla guida della Duetto con la baldanza di chi ha soldi da spendere, con un mezzo sorriso sulle labbra, e reggeva il lucidissimo volante nero in bachelite con la mano sinistra, al cui polso splendeva un massiccio Rolex d’acciaio, mentre la destra la teneva al sicuro tra le cosce della ragazza al suo fianco.

Lei era una brunetta di diciotto anni o poco più, minuta, con le gambe sode e un vitino da vespa. Aveva un faccino da bambolina abbronzata, e sulla bocca schiusa un’increspatura smaliziata e capricciosa, da diva che ha imparato a essere glamour dalla televisione. I suoi occhi erano di un marrone chiaro come il miele di castagno, ma li teneva nascosti dietro un paio di occhialoni da sole con la montatura di un rosso ancora più infuocato di quello dell’auto, e i suoi capelli dritti e bruni, ordinati da una fascetta rosa, si concludevano in due piccole trecce dietro le orecchie. Indossava una canottierina nera che le lasciava scoperto l’ombelico, una camiciola a quadretti bianchi e rossi che portava sbottonata, una gonnellina beige che le arrivava sopra il ginocchio e un paio di infradito di gomma rosa pesca. Se ne stava comodamente slanciata all’indietro sul sedile ocra, con i talloni appoggiati sul cruscotto della Duetto e le dita delle mani intrecciate sotto la nuca. Sotto i vestiti si scorgevano i lacci neri di un costume da bagno avvinghiati al suo collo sottile.

Lui sapeva di profumo da uomo e abiti costosi. Lei sapeva di feromoni e shampoo all’albicocca. A guardarli così, chiunque li avrebbe presi per il solito figlio di papà, nato dal coito sbadato di qualche dirigente d’azienda milanese, e per la classica tipa scaltra che si atteggia a ragazzina frivola e svampita nel tentativo di giocarsi bene le sue carte per vincere alla roulette e sistemarsi a vent’anni con un ricco bellimbusto.

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Filippo Orlandi
Nato in Lombardia nel 1999, vive a Vaprio d’Adda, sul fiume che separa la provincia milanese dalla campagna bergamasca. Laureato in Lettere, attualmente insegna in una scuola superiore. “Estate di mogano”, concepito durante un tragico agosto con il condizionatore rotto, è il suo romanzo d’esordio.
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