Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

Estate di mogano

Copia di 740x420 (17)
62%
77 copie
all´obiettivo
95
Giorni rimasti
Svuota
Quantità
Consegna prevista Settembre 2025
Bozze disponibili

Agosto 1994. I notiziari ripetono che si tratta dell’estate più calda di sempre. A Milano il sole picchia, l’aria soffoca e l’afa fa ribollire il sangue nelle vene.
Ci sono Lola e David, una coppietta esuberante in fuga dalla città per un giorno di mare e di amore, ignari dell’ombra li segue di nascosto. C’è Nando Moretti, un ruvido automobilista con il cadavere di qualcuno di importante nel bagagliaio, e qualcun altro già sulle sue tracce. Ci sono Francesco Scala, un disastrato sceneggiatore teatrale dall’animo illuso, e Dafne Nadini, l’ammaliante Afrodite del suo dramma, che gli nasconde più di un segreto. E soprattutto c’è Giusi Gargallo, una rassegnata investigatrice che il giorno prima della pensione si trova a indagare su un delitto dell’alta società, il cui unico testimone è un barboncino inspiegabilmente finito sulla scena del crimine.
Storie di sole e di sangue, sconnesse e intrecciate come sampietrini riarsi, sullo sfondo di un’estate che si colora delle tinte del mogano.

Perché ho scritto questo libro?

Ci sono persone che, come un tic nervoso, non possono fare a meno di riprodurre di continuo sineddochi mentali: scenari, personaggi, dialoghi. Per queste persone, affette fin dalla nascita dall’incurabile mal d’Apollo, scrivere è necessario almeno quanto respirare. È un elemento connaturato e viscerale, come lo è l’ossigeno, o il sangue nelle vene. Ho scritto questa storia come si scrivono tutte le storie: come antidoto allo scarto tra il nostro piccolo orto interiore e la realtà che c’è fuori.

ANTEPRIMA NON EDITATA

“Buongiorno, agente”, disse Lola.

La ragazza si sporse oltre la portiera con i gomiti dritti e le dita docilmente intrecciate sotto la punta del mento e rivolse all’agente i suoi occhi color miele in un ammiccante fruscio di ciglia, una recita consolidata con il tempo e con la pratica.

“Sì, buongiorno, agente”, disse David, a sua volta, con le mani sul volante e il solito mezzo sorriso stampato sulla sua faccia affabile, che ispirava fiducia e simpatia. “Certo che oggi fa proprio un caldo del diavolo, non è vero?”.

Limitandosi a rispondere con un cenno del capo, il centauro della Stradale si erse a un passo dalla portiera in tutta la sua figura scura e statuaria, racchiusa, nonostante l’atroce calura che imperversava, nel giaccone antivento della sua divisa blu. Solo quando si fu alzato la visiera del casco bianco e si fu tolto gli occhiali a specchio, rivelando un viso pulito, roseo e imberbe, da ventenne, Lola tirò un sospiro di sollievo. Quello che aveva di fronte non era un vecchio sbirro rodato, un veterano, uno di quegli ossi duri che non aspettano altro che una scusa per farti il culo. Era un ragazzino, un loro coetaneo, un allievo inesperto e fresco di concorso, e un ticchio all’angolo sinistro della bocca tradiva in lui un leggero nervosismo. Lola lo trovò perdutamente impacciato, e, proprio per questo, ancora più carino.

“Come possiamo aiutarla, agente?”, disse David.

Continua a leggere

Continua a leggere

Passò una mano sulle spalle magre di Lola, come a dirle che aveva tutto sotto controllo.

“Signore, lei stava viaggiando oltre i limiti di velocità consentiti dalla legge”, disse l’agente.

Si tolse il casco. I suoi capelli, corti e neri, erano sudati.

“Devo chiederle di farmi vedere i documenti”, disse. “Patente e libretto. Anche un documento della signorina”.

“Sissignore. Lola, amore, prendi i documenti. Ecco a lei, agente”.

Il giovane poliziotto esaminò attentamente le carte che gli vennero passate. Le licenze erano valide, i documenti in ordine. Era tutto in regola.

“David”, disse l’agente, inarcando inavvertitamente il sopracciglio nel momento in cui lesse il nome anglosassone come una nota stonata, quasi a volere chiedere da dove arrivasse.

“Mia madre è americana”, disse David. “Di San Francisco”.

“Qual è il suo impiego?”.

“Lavoro nella ditta di mia madre. Sono il responsabile vendite”.

“Responsabile vendite. E la signorina? Lei ce l’ha un impiego?”.

“Lei studia all’università. È al primo anno di lingue. Non è vero, Lola?”.

Lola, che finora aveva lasciato parlare David, si rannicchiò sul sedile, portandosi le ginocchia al petto, affondando i talloni nella fodera ocra e ritraendosi fino a sprofondare nello schienale, e annuì, senza mai staccare gli occhi insaziabili e impertinenti dal viso dell’agente della Stradale.

“Siete un po’ lontani da Milano”, disse il poliziotto.

Doveva essersi accorto dello sguardo sfacciato della ragazza. A disagio, indicava il numero di targa della Duetto, nel tentativo di cambiare argomento.

“Siamo partiti prima di pranzo”, disse David. “In città si soffoca, e io volevo portare la mia ragazza al mare, per goderci l’ultimo giorno d’estate. Fare un bel bagno. Tuffarci dagli scogli. Prendere il sole. Cose da mare”.

“Cos’avete là dietro, nel borsone?”.

“Cose da spiaggia. Il costume. Un asciugamano. Abiti di ricambio. Della birra”.

“Le dispiace farmi dare un’occhiata al suo interno?”.

“Andiamo, agente, non ci avrà preso per due criminali?”.

“Le dispiace?”.

“Nossignore”.

Il poliziotto si avvicinò al bagagliaio dell’auto e aprì il borsone bordò che emergeva da dietro i sedili, controllando accuratamente il suo contenuto, che consisteva in un pacco da sei Peroni, un telo da mare giallo, due asciugamani a righe, un costume blu da uomo, un flacone di crema solare, un romanzo rosa della collana Harmony, una radiolina gialla e dodici metri di corda di canapa, spessa e nera.

“Ma allora l’hai presa, amore!”, disse Lola, eccitata, non riuscendo a dominarsi.

“E questa a cosa vi serve?”, disse l’agente. “Cos’è, avete in programma un’arrampicata sulla scogliera? Da queste parti non ci sono vie per escursionisti”.

“Ecco, agente, vede, quando due persone sono così in complicità…”, disse Lola, mordendosi il labbro e scoprendo i denti in un fremito senza vergogna, con il sorrisetto malizioso di chi la sa lunga. “Ci sono tanti modi di divertirsi insieme”.

Il poliziotto ammutolì per l’imbarazzo e divenne immediatamente rosso in faccia. Fece un passo indietro e rimase immobile accanto alla Duetto, prendendo a giocare nervosamente con la ricetrasmittente che aveva al petto e tenendo gli occhi abbassati sulla punta dei suoi stivali.

“Quindi ce ne possiamo andare, agente?”, disse David.

“Signore, lei guidava oltre i limiti di velocità consentiti dalla legge”, disse il poliziotto, quasi meccanicamente, dopo essersi ripreso dall’impaccio e aver riacquisito un po’ del suo colorito abituale. “Lei non ne comprende la pericolosità, per la sua incolumità e per quella degli altri automobilisti”.

“Gli altri automobilisti? Ma se questa strada è deserta!”.

“E la sua signorina? Così mette in pericolo anche lei”.

“Ma la mia Lola ama il brivido, l’adrenalina”.

“Sono spiacente, signore, ma lo capisce da sé che questa non è una giustificazione. Guidare in questa maniera sregolata è irresponsabile e rischioso”.

“Guidare è sempre rischioso, agente. Prenda Ayrton Senna. Era un professionista, forse il più grande pilota di tutti i tempi. Eppure, questo non gli ha impedito di rimanerci secco al volante, proprio questo maggio”.

“Se lo dice lei”.

“Lei… Lei non sa chi è Ayrton Senna?”.

“No”.

“Non segue la Formula Uno?”.

“No”.

“Credevo che per un agente della Stradale i piloti di Formula Uno fossero delle specie di idoli, un po’ come i detective americani della televisione per un poliziotto della Scientifica. Non so se ho reso l’idea”.

“Credo l’abbia resa, signore, ma la realtà è un po’ più complessa di così”.

“D’accordo. Mi faccia la multa allora. Quant’è? Cinquanta, centomila lire?”.

“Lei stava viaggiando a centotrenta chilometri orari su una strada che ha come limite quello dei settanta. Lei lo capisce che non può cavarsela con una semplice multa. Devo chiedere disposizioni alla centrale. Probabilmente le verrà sospesa la patente per alcuni mesi, e io dovrò provvedere alla confisca temporanea del veicolo. Chiederò alla centrale di mandare una pattuglia per accompagnarvi alla questura di Savona”.

“Aspetti, mi vuole portare via l’auto? Ma dai, agente, andiamo! Cerchi di capire. Avevo promesso alla mia ragazza che l’avrei portata al mare. Le prometto che, d’ora in avanti, farò più attenzione al tachimetro. Righerò dritto”.

“Sono desolato, signore. Questa è la procedura”.

“La prego, agente, cerchi di capire il mio ragazzo”, disse Lola. “Se David ha sbagliato, e certamente ha sbagliato, l’ha fatto per troppo amore. È stato un imprudente, un vero cretino, ma l’ha fatto per farmi contenta. Era da così tanto che gli chiedevo di portarmi qua. È giusto che paghiamo, ma l’auto… Siamo venuti da Milano solo per questo. È colpa mia, agente, mi creda. David farebbe di tutto per me. Io volevo così tanto vedere il mare! Lei non farebbe lo stesso per la sua ragazza? Non farebbe di tutto per vederla felice?”.

Il poliziotto divenne rosso. Continuava a torturare la sua ricetrasmittente.

“Non lo so”, disse. “Suppongo di sì”.

“Come sarebbe a dire che non lo sa?”.

“Io non ce l’ho una ragazza, signorina”.

“Impossibile. Uno come lei sarà pieno di spasimanti”.

“Non che mi risulti”.

“Ma sì! È giovane, di bell’aspetto, di buone maniere, e poi lavora alla polizia. Le donne amano la divisa. Per non parlare della sua moto. Avrà la fila di corteggiatrici”.

“Lei dice?”.

“Ma sì! Un bel ragazzo come lei”.

“Non so…”.

“Non importa. Vedrà che ne troverà una. In ogni caso, se anche non ha una ragazza, ci sarà pure qualcun altro a cui tiene. Non mi dica che vive tutto solo soletto!”.

“A dire il vero io vivo ancora con mia mamma”.

“Sua madre! Benissimo. Prenda sua madre. Non farebbe tutto quello che è in suo potere fare per rendere sua madre contenta e orgogliosa di lei?”.

“È probabile”.

“Non ricorrerebbe a ogni mezzo per compiacerla?”.

“Naturalmente”.

“Non farebbe di tutto per farla felice?”.

“Sì. Sì, lo farei”.

“Lo sapevo”, disse Lola, con un tono dolce, quasi materno. “Lei è un bravo ragazzo. Proprio un bravo ragazzo”.

Lola si sporse dall’auto e cinse delicatamente con le mani piccole la faccia dell’agente, poi si avvicinò e gli impresse un leggero bacio sulla guancia. Il poliziotto, da rosso che era, divenne paonazzo. Sulle sue labbra si dipinse un sorriso inconscio. Lola sapeva di esserci riuscita. Quello era il sorriso della resa incondizionata. L’agente della Stradale le avrebbe obbedito. Di questo Lola ne era sicura.

“Non c’è bisogno di chiamare la centrale, agente”, disse. “Le assicuro che David e io abbiamo imparato la lezione. Anzi, vorremmo sdebitarci con lei. Lei è molto coraggioso, lo sa? Fa un lavoro rischioso. Ogni giorno mette a repentaglio la sua vita sulle strade, per proteggere noi gente comune, eppure non la pagano quanto dovrebbero. Ma io e il mio ragazzo possiamo aiutarla. Anzi, vogliamo aiutarla. È il nostro dovere di cittadini. Pensi a sua madre. In questo modo sarà più facile farla contenta. Lo facciamo per ringraziarla per la sua comprensione. Per averci lasciato andare. Non è vero, amore?”.

“Ma certo”, disse David, tirando fuori dal portafogli il libretto degli assegni. “Certo, è giusto così. Cosa ci scrivo sopra, due milioni? Facciamo tre. Tre milioni di lire, agente, possono andarle bene?”.

Si accordarono per un assegno da tre milioni di lire, coperto dalla banca a cui l’azienda della madre di David faceva capo, che il ragazzo staccò dal libretto, dopo averlo firmato. L’agente si infilò in tasca il foglietto di carta giallognolo, si rimise il casco e fece segno ai due turisti che potevano andare.

“Grazie infinite, agente”, disse Lola, esibendosi in una sfilza di smancerie.

“Le siamo grati per il suo prezioso servizio”, disse David. “Buona giornata, agente”.

Il poliziotto montò in sella alla sua Guzzi blu e bianca, inforcò gli occhiali a specchio, abbassò la visiera del casco e, spingendo la moto in avanti, tolse il cavalletto. David passò una mano sulle gambe di Lola, che nel frattempo si era rimessa comoda sul sedile. Accese il motore, ingranò la prima marcia e sollevò il pedale della frizione. La Duetto stava per partire, quando all’improvviso la moto li raggiunse, accostando a un palmo dalla portiera.

“Ancora una cosa”, disse l’agente.

La sua voce si era fatta più grave, quasi minacciosa. Il suo sguardo oscurato dalle lenti degli occhiali a specchio non si staccavano da Lola.

“State alla larga dalle spiaggette isolate”, disse. “Evitate di rimanere in giro da soli dopo il calare del sole. C’è da stare attenti. È pieno di pervertiti da queste parti”.

Lola scoppiò a ridere.

“Non si preoccupi, agente”, disse. “Noi lo siamo più di loro”.

“Guardi che parlo sul serio, signorina”, disse il poliziotto. “Negli scorsi giorni ci sono state alcune segnalazioni. Una coppia di turisti tedeschi ha giurato di avere visto un guardone che li spiava. Crediamo che ci possa essere un maniaco in giro”.

“Terremo gli occhi aperti”, disse David. “Ci conti, agente. Le prometto che staremo attenti al lupo cattivo”.

Arrivarono alla spiaggia dopo una decina di minuti. Lasciarono la Duetto parcheggiata sul ciglio della strada e scesero a piedi un sentiero che attraversava la scogliera. La cala si trovava a una dozzina di metri di dislivello più in basso. Era una spiaggia piccola, di rocce dorate, aspra, selvatica, ricavata da un’insenatura nella costa, cinta da una corona di scogli che la proteggevano dalle onde e tappezzata di ciottoli levigati dal mare. Non era visibile dalla strada, né la strada era più visibile da laggiù, perché il percorso era in pendenza e la fitta vegetazione della macchia mediterranea, composta da piante grasse, agave e cespugli di mirto, copriva la visuale. L’aria pulita sapeva di pino, corbezzolo e salsedine. Non c’era nessun altro nel raggio di chilometri.

David e Lola stesero al suolo il telo da mare giallo e vi adagiarono sopra il borsone bordò con dentro le loro cose. Si misero il costume da bagno, si spalmarono la crema solare a vicenda e poi, finalmente, poterono correre sul bagnasciuga. Si schizzarono, si avvinghiarono, si tuffarono. David la sollevava in aria agguantandola per il bacino, Lola gli si aggrappava alle spalle e gli si arrampicava su per la schiena. La frescura dell’acqua costituiva una piacevole via di fuga dall’afa mortale di quell’ultimo pomeriggio di agosto. Quando tornarono alla riva con i corpi gocciolanti e i capelli incollati al collo – David squadrato, statuario, scolpito nel suo costume blu, e Lola sinuosa, sottile, selvaggia nel suo bikini nero – stapparono un paio di Peroni, ormai calde, e si sdraiarono sul telo giallo, distendendosi ad asciugare al sole. La radiolina gialla, appoggiata su una roccia, trasmetteva Maledette malelingue di Ivan Graziani, che quell’anno si era classificata settima a Sanremo. Lola gattonò fino ai vestiti riversi per terra e frugò nel taschino della sua camicia a quadretti. Ne tirò fuori qualcosa, che tenne nascosto nel palmo della mano, e si voltò indietro verso David con un’espressione scanzonata. Tra le dita aveva uno spinello.

“Guarda che cosa ho portato”, disse, mettendoselo tra i denti.

David le porse l’accendino.

“Prima mi era presa una paura matta che l’agente lo potesse trovare”, disse Lola. “Temevo che mi sarei messa a tremare come una foglia”.

“Amore, quel poliziotto era cotto di te”, disse David, respirando il fumo dell’erba che Lola gli aveva sbuffato addosso. “Se gli avessi offerto un tiro ti avrebbe detto di sì, pur di non fare brutta figura”.

“Che cosa ci posso fare? Sono cose che succedono, quando sei così irresistibile”.

“Ti piace così tanto vedere gli uomini cascare ai tuoi piedi come cagnolini?”.

“Un po’. Però poi mi annoia. Ma tu non sei un cagnolino. Per questo ti amo”.

“Ti amo anche io, Lola”.

“Mi secca dirlo, ma avevi ragione. Questa spiaggia è il posto perfetto”.

“Te lo avevo detto che non te ne saresti pentita”.

“Già. Sto pensando a una cosa”.

“A cosa, Lola?”.

“Facciamo l’amore?”.

Lo fecero sul telo giallo, sugli scogli, in mare. Lo fecero per tutto il pomeriggio, dovunque e in ogni posizione. Lola gemeva sempre quando faceva l’amore, o, per dirla meglio, gridava. Gridava di un piacere primitivo e selvaggio, che risuonava tra le rocce della spiaggia e sembrava volere sfidare il mugghiare delle onde del mare. Gridava così forte che, se nei paraggi ci fosse stato qualcuno, l’avrebbe potuta sentire.

E, in effetti, accovacciato tra gli arbusti che dall’alto protendevano le loro frasche verso la spiaggia, qualcuno c’era. Era da un’ora che li osservava.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

Commenti

Ancora non ci sono recensioni.

Recensisci per primo “Estate di mogano”

Condividi
Tweet
WhatsApp
Filippo Orlandi
Nato in Lombardia nel febbraio 1999, vive a Vaprio d’Adda (MI), un paese di campagna arroccato sul fiume che separa la provincia milanese dalla frontiera bergamasca. Trascorre le sue prime quattordici estati tra biciclettate al fiume e fughe in montagna, fantasticando avventure con una banda di bimbi sperduti e nutrendosi delle storie di Stevenson e Jack London. Poi l’incontro con Milano – accidentale – e il liceo classico – volutissimo. Dopo il diploma, pur non essendosi mai del tutto abituato alle nevrosi della città, si iscrive alla facoltà di Lettere. Attualmente sta scrivendo la sua tesi di laurea magistrale in Filologia Moderna. In un quarto di secolo ha scritto tanto quanto ha cancellato. “Estate di mogano”, concepito durante un tragico agosto con il condizionatore rotto, è il suo primo romanzo.
Filippo Orlandi on FacebookFilippo Orlandi on Instagram
Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors