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Eterion – Seconda Parte

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Consegna prevista Dicembre 2025
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Dopo la guerra di Gerico, Lars Nagai si trova a sostenere il peso del comando, stringendo le redini di un’Alleanza sempre più divisa. Nel frattempo, una nuova spietata Stratega Kaiju trama la sua rivalsa nel Sud, dopo la riconquista dei distretti un tempo appartenuti ai fratelli Reeves. Mentre gli ingranaggi di Burja stritolano i suoi abitanti in un gioco di sotterfugi, una minaccia oltre i confini della conurbazione ha ormai iniziato a serpeggiare per la neurorete, e i segreti sepolti nel passato stanno già riemergendo in un futuro terrificante.

Perché ho scritto questo libro?

E se il futuro fosse…
E se un giorno accadesse…
E se tutto questo fosse destinato a…
Come lo immagineresti?

ANTEPRIMA NON EDITATA

Prologo

La tempesta di sabbia si abbatte sul viso. Respiro a fatica granelli che raggrumano la saliva in gola. Però, i miei occhi non sono affetti dalle sferzate. Sotto la duna, un esercito é in rotta e la valanga umana che fino a pochi secondi prima mi stava per inghiottire, ora é un insieme di sagome che corrono da una parte all’altra come ombre proiettate dal fuoco. Sollevo le braccia, sento il potere di un cielo di lampi scorrermi lungo la pelle. I brividi di piacere sono fulmini, che appena abbasso una mano si scagliano infuocati contro la marea umana di nemici. Le grida salgono, i corpi volano, e giù! Un’altra mano gli trascina contro la potenza di milioni di volt. La mia potenza. Il cielo lampa, sopra di me, come una corona. Una ramificazione di fulmini che solca le nubi compone una parola, anzi, due: “Rig Cerebro XS“. Poi un altro fulmine e altre parole: “Provalo, e prova il potere“.

Aprii gli occhi. Il soffitto di nanocarbonio era dove lo avevo lasciato. Il sonno, anche se fatto dei sogni subliminali della Rete Fujini, rimaneva una delle mie ultime libertà.

1

Nero e Oro

Qualcosa strideva fra i ricordi, sepolto in una vita lontana, nel distretto di Kyoto. Le quattro mura dell’ufficio in cui mi trovavo lo faceva tornare in echi confusi. I ricordi erano cose confuse, di quei tempi. Quattro anni dall’esodo da Burja, dieci, forse, dalle guerre dell’Eterion: un tempo che sembrava dilatarsi all’infinito.

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Brinn Larson se ne stava raggomitolato sulla sua poltroncina di argon indaco, protetto dal tavolo di carbonio nero.

«Delizioso, ragazzo mio» disse, con fare forzatamente rilassato al giovanotto al suo fianco. Uno dei suoi cento nipoti.

Gli aveva appena riempito il bicchiere di qualcosa che doveva essere “whiskey” e il suo odore di carbone bagnato mi fece accapponare la pelle. Altri ricordi, di cose che il tempo dilata e sbiadisce.

Si rivolse a me: «Incredibile pensare come si trovino queste prelibatezze più ora che prima della guerra. Le scorte degli influencer o delle alte Posizioni si sono sparse fra i consumatori. Qualcosa di giusto ne abbiamo ricavato.»

«Non hai l’aria di un semplice consumatore, Brinn e non credo tu l’abbia mai avuta.»

Dietro i ciuffi di spumosi capelli ridipinti di bianco, le rughe della fronte si affollarono l’una contro l’altra. La Griglia ne contò ben tredici.

«Grazie Jhon, puoi andare ora.» Il giovanotto posò il bicchiere di whiskey sulla scrivania con la fretta di chi lascia andare una termogranata e sgattaiolò fuori dalla stanza. Dei pannelli olografici che ricoprivano le pareti di carbonio, era rimasta solo una striscia di tessuto, come una lucente ragnatela, in cui si specchiavano i rivoli di sudore di Brinn. La Griglia contò ognuno di quei rivoli e a ognuno associò una determinata velocità. Distrassi i calcoli della Griglia pensando che quello era stato uno dei centri antialienazione più grandi del sud di Burja, un tempo, e che per quanto si nascondesse dietro maschere gentili, solo un ex potente affiliato del Tridente come Brinn Larson poteva divenire un admin del distretto di Praga per conto dei Reeves.

In quel momento, però, Brinn Larson non era più né un admin dei Reeves, né un potente affiliato del Tridente di Burja, ma un uomo tremante che beveva il suo whisky, convincendosi che una scrivania di nanocarbonio potesse essere in grado di proteggerlo da una come me.

«Non ci sono più pannelli olografici qui» dissi.

Il suo sguardo, teso, si appoggiava al bordo del bicchiere.

«Non siamo stati noi. Dopo la guerra con…» si interruppe, rischiando di strozzarsi. «Dopo quello che è successo fra voi, i Reeves e Dalmar Krein, questo centro antialienazione è stato abbandonato per un po’. Le abbiamo trovate così quando siamo tornati.»

Annuii in silenzio.

Il sudore aveva iniziato a lucidargli la fronte. Posò il bicchiere sulla scrivania e il cordiale Brinn Larson cedette il posto all’uomo che aveva gestito per conto del Tridente gli affari dei centri antialienazione dell’intera Ocelarna di Praga prima della guerra.

«Sappiamo tutti e due perché è qui, Stratega.»

«Davvero?»

«Questa è un’altra occasione per incolparmi di cose di cui non sono responsabile.»

«Sei tu che stai parlando di colpe.»

Larson sbuffò, si buttò un altro sorso di whisky in gola e fece ripiombare il bicchiere davanti a sé.

«è il problema delle Voci questa volta, dico giusto?»

«Dimmelo tu.»

«Prima era quello dei crediti delle matrici rubate da Gerico, adesso pensate che ci sia io dietro alla sparizione delle Voci?»

«Le Voci scappano non appena i padroni che li proteggono muoiono e quando i Reeves sono morti nessuno si è scomposto per la loro scomparsa. Però è passato più di un mese da quando siamo tornati, Brinn, e nemmeno una di quelle Voci è saltata fuori. Quarantacinque voci nelle mani giuste possono creare enormi problemi.»

«Cosa vi farebbe pensare che centri qualcosa?»

«Tu centri sempre qualcosa.»

Brinn deglutì la poca saliva che gli restava, si infilò due dita nel colletto della lunga tunica nera e le fece scorrere lungo il margine bagnaticcio.

Non era così tanto agitato dal nostro primo incontro, avvenuto esattamente 36 giorni prima, in una notte d’aria carica di fumo e rischiarita dai roghi dei reagenti che ardevano per il distretto di Praga. 28 settembre. Di che anno? Nessuno sa di che anno.

«Gli altri Strateghi pensano che tu stia guidando la rete di amici dei Reeves.»

«Questa è pazzia!» sbottò, calando il pugno a fianco al bicchiere. Era vero vetro? Uno come lui meritava il vero vetro? Una come me meritava il vero vetro.

Brinn si guardò il pugno e lo ritrasse come se da un momento all’altro la lama che tenevo legata al braccio glielo potesse tagliare di netto.

«Hai infilato aghi durali nei cervelli di tutti i sospetti, in quei due giorni alla ricerca di coloro che avevano complottato contro i Reeves. Qualche legame devi pur averlo avuto con i tuoi padroni.»

«Sono stato il primo ad arrendermi, stratega, con tutto il rispetto.»

«Il primo vigliacco.»

«La intenda come vuole. Un vigliacco, comunque, non si metterebbe a mettere insieme i pezzi alla deriva di una resistenza contro di voi.»

«Non è una logica sufficiente.»

«Senta,» sospirò, stringendo le dita intorno al bicchiere come a impedirsi di scivolare giù dalla sedia «sono abituato alle pressioni del Tridente e alle sue minacce. Mi dica soltanto perché è qui oggi. Se voleva uccidermi l’avrebbe già fatto.»

«Ti preferisco vivo, per ora.»

«La prego, parli.»

Una deriva. Pensieri intrusivi. Di spirali empatiche, nel mio giubbotto, c’era solo lo stemma d’oro liquido con la scritta “Fujini”. Quando avventurai le dita nella tasca interna della bioseta, pensai a quel fatto. Lo pensai insistentemente. Le dita sfiorano un’imperfezione nella bioseta e una chiave di impulsi neurali aprì una porta ad un pensiero intrusivo. Pensai al giorno della mia elezione, nel momento che precedette l’invasione di Burja, alla consegna di quelle vesti. Pensai al disappunto per le aspettative tradite. Pensai che quel giubbotto non era fatto di spirali empatiche come mi aspettavo e non avrebbe mai potuto seguire il mio flusso emotivo. Ma la trama sottile di quella scritta d’oro sul petto: Fujini… quella era trama empatica. Dita che sfiorano la bioseta. Dita che sfiorano la bioseta. Pensai a questo e a tanto altro.

Soppressione circuito di memoria.

Tirai fuori dalla tasca una nem della grandezza di un biscotto e la posai di fronte agli occhi di Larson.

«è una…»

«Sai cos’è.»

Un servo del Tridente come lui, di simulazioni di stanza neurale, doveva averne vissute parecchie, per restare fuori dall’occhio onnipresente delle potenti Reti corporative. Per questo non fece altro che sfiorarsi il rig ed entrare in quella sim insieme alla mia mente.

Le dune sono facili da riprodurre, specie se immobili, linee ondulate dentro linee ondulate più piccole che distendono l’orizzonte sotto un cielo di batuffoli, cioè, altre linee ondulate. La proiezione di Brinn Larson è un uomo di vesti arrotolate, che celano il viso e gli occhi e che affondano come radici nelle texture di sabbia sotto ai suoi piedi.

«Il Primo Mercante del sud,» dico «Sioux, fatica a lasciar andare il distretto di Vienna al mio fratello Kaiju, lo stratega Paxton. Le scaramucce si fanno sempre più pericolose e alcune tecnologie nelle mani di Sioux… rendono difficile contrastarlo anche per noi.»

«Sioux è sempre stato fin da prima della guerra un uomo infinitamente potente.» La voce di Larson rimbomba nel deserto, come se ci fossero pareti infinite contro cui rimbalzare. «Era una di quelle Lance che accedeva ai trattamenti clandestini in vasche osmogel riservate agli Eterni. Io non posso nulla per mettergli i bastoni fra le ruote.»

«Chi ha detto che voglio che tu gli metta i “bastoni fra le ruote”?»

Larson ruota verso di me. «Di cosa stiamo parlando, adesso?»

«Non voglio che tu tenti di fermare Sioux. Voglio che tu lo aiuti a non fermarsi.»

«Non capisco, Stratega.»

«Fino ad un mese fa tu eri l’amministratore di questo distretto. Lo sei stato per quattro anni, quindi hai molte più risorse di quanto non vuoi mostrarmi. Io non posso agire contro un fratello. Tu invece sì.»

Un silenzio privo dell’ululato del vento o della sabbia che ruzzola su altra sabbia si frappone fra di noi.

«Come pensi che possa agire contro lo stratega Paxton senza finire coperto di accuse?»

«Avrai la mia protezione. La protezione di uno dei tre strateghi Kaiju.»

Larson sospira. «Potrebbe scatenarsi una guerra peggiore di quella che avete portato qui nel sud.»

«è quello che spero.» 

Quando uscimmo dalla sim, la prima cosa su cui si posò il mio sguardo fu l’unico oggetto di vero arredamento dell’ufficio: l’olografia del quartiere più antico del mio distretto di Praga. Un’altra deriva e un altro pensiero intrusivo. All’inizio, per colpa dello sbalzo di realtà, la Griglia Jupiter che tenevo sotto la calotta cranica si liberò dai miei schemi di controllo e mi investì con una carrellata di analisi sulla frequenza del tremolio di quella proiezione luminosa più che del suo contenuto. A che frequenza? Quale intensità? La lunghezza d’onda? La sensazione era sempre la stessa: un pensiero intrusivo di un dettaglio insignificante, una lente d’ingrandimento calata sul mondo. Soppressione. L’intrusione di dati si affievolì e riuscii a cogliere l’olografia nel suo insieme: l’orologio dorato della torre nera di Praga, che svettava sopra una fila di persone di ogni età come uno stelo di erbaccia fra i prismi rossicci delle torri ufficio. Dovevano essere la grande famiglia naturale di Brinn Larson. Famiglia…

Larson era imbambolato nei suoi di pensieri intrusivi, che nulla avevano a che fare con i miei problemi di focalizzazione di una Griglia Jupiter.

«Per il problema delle Voci scomparse, gli altri due strateghi saranno persuasi che io non c’entri nulla?»

Domandò, ancora scosso.

Ci scambiammo uno sguardo silenzioso. Mi alzai, mi sistemai il giubbotto intorno ai fianchi, controllando che nemmeno un granello di polvere ci fosse finito sopra e poi mi diressi all’uscita.

«Sei un uomo saggio, Larson. Restalo.»

2

Carbinger Luno

Non riuscii a distinguere le allucinazioni. Quando attraversai il corridoio di camere olografiche per raggiungere l’ascensore mag, la mente riprese a trascinarsi nella focalità dei dettagli e dentro le arcate senza porte vidi corpi intrecciati che ansimavano di piacere. Cinque peli sulla spalla che sono bagnati e che si appiccicano alla pelle. Un centimetro di pelle solcata da onde grasse. Clap. Clap. Clap. Ansiti, scomposti in frequenze, direzioni, rifrangenze. Ancora! Ti prego. Sì. Ancora. Distinguere le allucinazioni dalla realtà diventava più difficile col trascorrere degli anni e benché molti dei miei fratelli incolpassero la Griglia di questa deriva del discernimento – come la definiva Paxton – la mia esperienza con la modulazione cerebrale mi aveva fornito gli indizi per elaborare un’altra teoria: non era la Griglia in sè, ma era la Griglia che incontrava la Rete il vero problema.

Soppressione. “Il sesso è l’ultimo atto di alienazione che ci resta”, diceva Luno. Avrebbe approvato l’uso che si faceva di questi vecchi centri antialienazione?

Salii fino alla piattaforma di atterraggio, avvolta nella pioggia. Le guglie di metallo, costruite in un’era in cui i materiali di carbonio e il riciclo delle cose non era ancora sbocciato, mi circondarono come guardiani immobili. Quelle torri metalliche divenivano specchi, durante la pioggia, e i falsi soli che la Rete proiettava sulle loro cime si riflettevano in esse in bagliori troppo smorti per credersi caldi.

A risollevarmi dai pensieri della deriva del discernimento ci pensò la fila di soldati freschi di arruolamento Kaiju che incanalavano la via per il portellone della mia aeronave.

Suzu mi attendeva sotto la pioggia, con gli occhi severi e le sopracciglia gonfie di calli e risse.

«è ancora vivo» disse.

«Non si uccidono uomini potenti per dei sospetti» risposi.

«Certo, come no» ridacchiò. Anche se a ridacchi e battutine ero sempre stata immune, il suo era un ridacchiare che non avrebbe suscitato simpatia in nessuno. Amaro da sembrare un ringhio.

«Quando avremo il primo attacco delle Voci scomparse, allora cambierai idea, Dak.»

«Sali sull’aeronave, questa pioggia mi infastidisce.»

«E cosa non lo fa?»

L’aeronave era una di quelle trafugate dalle piattaforme private dei vecchi alti influencer dell’Unione ed erano sempre appartenute ai Reeves e ai loro esecutori. Dopo che tutti erano morti nel mistero di Gerico, le aeronavi erano finite nelle mani di ladruncoli che non sarebbero riusciti a tenersele per loro nemmeno se fossero fuggiti nel deserto dei giganti dell’est. Quella su cui mi trovavo, mi vantavo di averla requisita personalmente, e il suo proprietario, un furbo signor nessuno che si professava fedelissimo ai Kaiju aveva scoperto che un cervello può imbrattare metri interi di fango prima di confondersi con esso.

Entrai nel ponte e le sue pareti d’avorio investirono la Griglia coi dati delle loro infinite venature. Soppressione di calcolo. Mi sedetti al centro del ponte, sopra il divano a campo d’argon  blu. Le venature d’avorio erano infinite, ma silenziose. Dov’erano i miei comandanti? Dov’erano i miei sottoposti? Feci emergere un cilindro stoc con una confezione di latte di semi. Ne bevvi un sorso, in un rumorio che riecheggiò per il vuoto della sala.

«Sei triste?»

Mi voltai. Non poteva essere Suzu, impegnato da mezz’ora dentro al bagno e non poteva essere neanche il comandante Nene, dispersa al piano superiore del ponte in una delle sue sim di gaming.

«Che c’è? Non ti ricordi?»

Ricordi, dilatati e sbiaditi da forze che degradano. Ma ricordavo.

«Certo che ricordo». Bevvi un altro sorso di latte di semi.

Era da tempo che Jared non mi faceva visita.

«Pensavi fosse una via semplice?»

«Pensavo fosse una via felice.»

Il suo volto, lungo come uno stivale e magro da far scorrere la pelle sul teschio, sapeva riempirmi di occhi che capivano.

«La felicità è molto difficile per quelli come noi.»

«Come noi?»

«Quelli con troppi legami di carne nel passato. Sono ostacoli a vivere libera da legami, averne avuti.»

«Avrò ciò che voglio, stanne certo». Due sorsi e la confezione di latte di semi si accartocciò fra le dita, inerme. Quella confezione era l’unica cosa ad essersi davvero arresa a me.

«Quando avrai tolto di mezzo lo stratega Paxton?»

Lo fulminai. «Non dire un’altra parola, sciocco!»

Jared sospirò, accarezzò il campo di contenimento invisibile dell’argon su cui ero seduta e poi si avviò alla porta della sezione posteriore.

«Sta arrivando qualcosa, credo» disse sulla soglia.

«Un’altra guerra?»

«No, Dak, qualcos’altro. Qualcosa di peggiore. Di gran lunga peggiore.»

Un urlo echeggiò per la sala superiore: «Vittoria!» il comandante Nene, parassita di quell’aeronave e dei benefici della mia nuova posizione, si affacciò dal piano superiore con le braccia teste in aria.

Quando riabbassai lo sguardo, Jared era già andato via. Sta arrivando qualcosa. Rimasi per parecchio tempo a fissare la porta da cui era uscito, con addosso i brividi di un presentimento che non avevo dai giorni che avevano preceduto il nostro esilio, quattro anni prima.

Il sistema sinaptico dell’aeronave tende i suoi fili alla Griglia.  Sento un altro mezzo che richiede l’interfaccia. Scavalco le impronte dei soldati che dovrebbero occuparsene e la vedo attraverso gli occhi del telaio sinaptico stagliarsi contro le guglie metalliche dell’Ocelarna: è un’aeronave che brilla della stessa calotta di neoalluminio della mia. Un altro stratega Kaiju.

«Dakhara, tesoro, da quanto non scambiamo quattro chiacchiere?» La sua voce nella Rete mi paralizza come aghi durali.

Il primo Stratega Kaiju, Carbinger Luno, era lì per vedermi.

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Emiliano Bianchini
Nasce a Roma nel 1994. Laureato in Medicina e Chirurgia nel 2019, e specialista in Cardiologia dal 2024. La trilogia di Eterion rappresenta il suo esordio letterario nel mondo della fantascienza.
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