Se dovessi descrivere la conurbazione con una sola parola? Era una bella domanda, di quelle che non ti aspettavi, di notte, al bordo di un tavolo dalla texture di legno nella birreria del grande capo. Era già il secondo giorno che ci pensavo su, da quando una versione di Marcus inebriata dalle neurotossine me l’aveva posta tra un singhiozzo e una risata. E ci pensavo sopra, ancora peggio, nei momenti in cui mi trovavo di fronte all’odore dell’alcol, attimi che preannunciavano qualcosa di grosso. Un momento come questo.
Il bicchiere fra le dita pugnalava d’alcol le narici, mentre le bocche degli altri clienti, sfilati lungo il bancone, colpivano di stronzate le orecchie, con la luce della mattina che filtrava tra i buchi della tenda di canapa come lame pallide.
Pensavo che ci avrei messo meno a trovarla, la parola. Quella conurbazione europea sopravvissuta alle guerre dell’Eterion andava accostata a una montagna di inerme merda fumante. Ma Burja era più complessa. Puzzava, certo, ma non era inerme.
Odore d’alcol nelle narici…
Fissai la superficie del liquido azzurro nel bicchiere. Era vero alcol o una psicosimulazione? Poteva essere uno spunto per trovare la parola, una cosa come illusioneo finzione o, ancora meglio, fregatura o tradimento.
Burja. Le parole avevano la loro storia e nella storia c’era il potere.
“Trovane una buona, Lars e una sola, niente giretti di frasi piene di attributi, che ne dici?”aveva detto Marcus.
Sniffai l’azzurro del bicchiere e rabbrividii.
Qualcuno azzardava dire che Burjafosse un termine pescato dalle lingue frammentate utilizzate nell’era del petrolio, ma la verità era che nessuno lo sapeva con esattezza, né sapeva con certezza in che secolo collocare l’era del petrolio. O in che secolo si collocasse la nostra, di era.
Incertezza. Potrebbe andare bene? Non so. A Burja ce ne sono di certezze, Marcus, forse non ce n’erano prima, ma ora sì.
Governatori, Secondi, amministratori di giustizia, consigli, amministratori minori e poi i mercanti e i loro collegi, tutti titoli che avevano cercato di riempire di certezze Burja, di dargli un’aria rassicurante, che facesse dimenticare il crush delle neuroreti, la guerra e la loro… incertezza.
Il contenuto del bicchiere rifletteva i miei occhi e le lenti a contatto che mi costringevo a portare erano di un marrone talmente comune da disgustarmi. Però, non avrei osato sfoggiare un paio di occhi viola in giro. Occhi da alpha.
Cazzo, Lars, ti stai masturbando il cervello!
Era ora di chiudere le ali e tornarsene dentro gli stivali sporchi di fango. La canna dell’acceleratore plasmatico nascosto sotto l’impermeabile premeva contro il fondoschiena, come a intimarmi di sollevarlo dalla mag-piastra e andare a occuparmi del brutto affaraccio che avevo in programma. Un affaraccio di quelli per cui serviva un acceleratore plasmatico sopra il culo, uno di quelli per cui mi sarebbe servito scolarmi il cocktail che avevo fra le mani. Schiaffai i gettoni del mercato nero accanto al bicchiere e solleticai, per l’ultima volta, la sua superficie grumosa.
Compost, ma certo!
Era servito un bicchiere riciclato per farmi venire una parola di quelle buone.
Ri-Ciclo.
Ecco cos’era Burja: un ciclo eterno di compost. Mentre l’acceleratore plasmatico sbatteva affamato contro il bacino e i piedi tornavano dentro gli stivali, pensai che Burja dovesse essere proprio come quel bicchiere: merda che tornava a galla di continuo.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.