Ancora qui, giovane abitante di Gea? Siedi pure, perché a breve non vi sarà più tempo per il riposo, il tuo Lapis comincerà a bruciare intensamente e il tuo Viribus verrà chiamato a combattere quelle tenebre che per oltre tremila e cinquecento anni hanno fatto silenzio. Perché, giovane VitHael, se sei qui ora e davanti a me, hai deciso di lottare e di questo, io, te ne sono infinitamente grata.
Tutto ebbe inizio quando ancora le tre lune sorelle ridevano felici su Gea e Miriël, e la Prima Alleanza fondava su radici forti e potenti: Adham, principe di tutti gli uomini; Salomone, guida degli stregoni e Minhar, padre di tutti gli elfi. Nessuno, però, avrebbe mai potuto immaginare che il seme della gelosia avesse tentacoli così robusti e antichi. Fu proprio il nascere di un amore proibito a dare l’inizio a una serie di sfortunati eventi che portò uomini e stregoni alla disgrazia.
Ci sono cose che non si possono controllare, mio giovane abitante di Gea, ed è bene che tu lo sappia. Ci sono emozioni più forti dell’acqua che, silenziosa, corrode le antiche montagne. Emozioni così potenti da bruciare più intensamente dei fuochi più antichi custoditi nelle viscere del mondo, più impetuose del più furioso dei venti e più energiche della stessa terra che, genuina, dà vita alle maestose querce. E questo genere di sentimenti, amico mio, non si può combattere, non si può intrappolare né controllare, così come il sole non può, in nessun modo, smettere di scaldare e sciogliere la neve.
Quando Evharin cadde per Adham, e quando questi tradì la fiducia di Minhar amandola senza riserve, il seme di questo sentimento proibito germogliò. Ma l’amore ha le sue conseguenze e capita che, laddove rapisca, trascini anche verso la morte. La grande battaglia che portò le lune sorelle a scomparire da Gea iniziò il giorno in cui la prima VitHael emise il suo primo vagito. La forza degli elfi, mossa dalla gelosia del loro re, distrusse tutto ciò che l’amore aveva regalato ad Adham e fu nell’istante in cui la bambina pianse per la prima volta, che ogni uomo e donna e figlio di Gea persero l’immortalità tra le profondità di Atlanthides che, in un boato atroce, scomparve sotto le acque, trascinando con sé la gloria di quello che un tempo era stato il Popolo dei Coraggiosi.
Si dice spesso che si dovrebbe imparare dai propri errori e che questi non andrebbero ricommessi. Eppure, ci sono storie senza fine che sono destinate a ripetersi e da cui sembra impossibile sfuggire.
Se solo Elwing avesse afferrato con coraggio ciò che il suo cuore desiderava, la gelosia non si sarebbe impadronita del più puro degli elfi, e Tragokadon non sarebbe nato dalla carne del più bello tra i figli di Minhar, portando con sé morte e distruzione.
Ma lascia che ti dia un consiglio, mio giovane VitHael, ancora uno: l’amore non è mai uno sbaglio. Perché, credimi, quando il sole impara a baciare la neve, questa comincia a brillare come il più prezioso dei diamanti.
1. GERUSALEMME
Imboccando il vicolo stretto che, invisibile e inaccessibile agli occhi dei Dormienti, portava all’antica capitale degli stregoni, i due respirarono profumo di casa. Il rumore delle vie della caotica capitale di Gea non bastava a nascondere le urla dei mercanti che, sparsi qua e là, cercavano di rifilare i loro prodotti a chiunque capitasse a portata di mano. La polvere, mossa dall’agitarsi frenetico di streghe e stregoni intenti a farsi spazio, si alzava verso l’alto, finendo con lo scomparire nel cielo chiaro e privo di nuvole. Non vi era abitante a Gerusalemme che non fosse corrotto, o almeno questo era ciò che tutti pensavano. Quelli parevano muoversi al solo suono suadente delle monete d’oro che scontrandosi producevano una melodia invitante. La perdita del Candelabro della Vita Eterna aveva portato un popolo, un tempo rispettato e temuto, alla disfatta più totale. Le tre fiamme erano state smarrite; secondo i più, addirittura rubate. Nonostante tutti i suoi sforzi, Delrog non era stato capace di donare ai suoi sudditi speranza, anch’essa scomparsa col Candelabro. Si diceva che, con la disfatta, la follia si fosse impadronita di lui, e per questo avesse dato vita a Tragokadon, la Bestia. Solo in pochi, tuttavia, erano a conoscenza della verità.
«Tarocchi! Tarocchi speciali!» urlò una vecchia vestita di viola, afferrando il braccio di Hellawess. «Prezzo speciale per te, ragazzina» aggiunse con un filo di voce, tossendo affaticata.
«Ho fretta» rispose la mezzelfa, liberandosi da quella presa scomoda.
Tirandola a sé con più forza di quanto si sarebbe mai aspettata, la vecchia sorrise sdentata e squadrandola dalla testa ai piedi. «E fai bene, ragazzina» sussurrò, scoppiando poi a ridere rumorosamente. «Non che ti resti molto tempo, dopotutto» aggiunse infine, spalancando gli occhi e allontanandosi divertita.
Impietrita, Hellawess si coprì il volto col cappuccio rosso.
«Ti sei persa, per caso?» domandò Jasther, scuotendo il capo e afferrandole la mano, invitandola così a velocizzare il passo.
Il suo maestro, figlio biologico di Belfagor, sovrintendente di Gerusalemme, non era un tipo molto paziente. La prima volta che si erano parlati, aveva visto di lui più di quanto avesse voluto, eppure, le sembrava quasi di non conoscerlo ancora del tutto. I segreti che custodiva dovevano essere molti e, a giudicare da come suo padre gestiva gli affari, non gli era stato concesso molto tempo per essere ingenuo. La sua infanzia era stata difficile, triste e solitaria.
Sollevando il naso in alto, Hellawess sorrise alla piccola luna violacea che, sola, faceva capolino a ovest. Chissà come sarebbe stato il cielo di Gerusalemme se le lune sorelle fossero ricomparse e chissà come erano stati puri e felici quei tempi in cui avevano vegliato sulla pazza capitale di Gea. Le era stato raccontato che il giorno in cui due di esse erano scomparse dalla volta celeste, un boato profondo e terribile aveva avvolto le vie di tutto il regno. Il silenzio che ne era seguito era durato per mesi, avvolgendo tutti nella tristezza più assoluta. Le era stato detto che, una volta, la notte a Gerusalemme non faceva così paura. «Come sta tua madre?» chiese, accostandosi all’amico.
Questo, afferrando la sua collana, sorrise. L’orologio della vita, l’antico cimelio della loro famiglia, era uno degli oggetti magici più rari e pregiati che uno stregone potesse possedere. «Direi bene!» rispose, mostrandole che la pietra all’interno dei cerchi girava vorticosamente. «L’ho vista da poco. È sempre la solita, non cambierà mai. Sai, dovresti proprio venirci a trovare a Seoul un giorno o l’altro, è la città che ogni stregone dovrebbe visitare almeno una volta nella vita» disse allegro, notando però che Hella aveva smesso di ascoltarlo. «Oggi sei distratta, ti manca tua sorella?» chiese lui, avvolto dal suo mantello blu, come si conveniva a ogni erede di Hidril.
«Non sono affari tuoi, Jas» rispose lei infastidita e accelerando il passo.
«Non mi dirai che ti manca Miriël!» continuò il ragazzo, infilando il dito nella piaga.
La mezzelfa si morse il labbro, senza rispondere. Le mura del tempio non erano distanti, per fortuna. Avevano recuperato tutto ciò che Belfagor aveva loro richiesto, ma erano in ritardo. Camminando spedita e cercando di sfuggire allo sguardo curioso del suo maestro che, grazie al legame di Hûn, poteva sentire cosa lei provasse, Hella cominciò a domandarsi quando fosse successo, quando si era affezionata così tanto a Ethernity. Quando aveva iniziato a preoccuparsi per Fenix e Lyght, e per gli altri membri della banda colorata? Persino Lilith, ora, non le stava più così antipatica.
«Belfagor ci aspetta» disse Jasther, sfilandosi il cappuccio e puntando lo sguardo dritto su una delle guardie che presidiavano il Tempio d’Opale.
Quelle antiche mura avevano retto agli assedi dei demoni, agli attacchi degli elfi e al tradimento degli umani. Sulla pietra rossa dai riflessi ramati c’erano ancora le cicatrici delle numerose battaglie in cui gli stregoni non si erano piegati. Ora, ben lungi dal poter essere considerato anche solo una minaccia, l’antico popolo di Salomone viveva in pace da molti lunghi anni. Posando una mano su quella roccia dello stesso colore del sangue, Hellawess rabbrividì. “Mai un re farà ritorno a Gerusalemme”, era questo che la profezia recitava. Eppure, voltandosi verso le polverose strade della capitale, la mezza strega sorrise.
Chinando il capo dopo aver riconosciuto il figlio di Belfagor, la guardia li lasciò passare. A pochi metri dall’ingresso, a braccia conserte e con un sorriso stampato in viso, Sunhae aspettava il ritorno della sua allieva preferita. La strega, figlia della Corea del Sud, insegnava al Tempio d’Opale ormai da qualche anno. Protettrice della Fratellanza, era una delle armi migliori di cui Gerusalemme disponeva. Una guerriera forte a cui Hellawess aspirava ad assomigliare, un giorno.
«Siete in ritardo, ragazzini!» li apostrofò la strega, spalancando le braccia.
Correndole incontro, Hella sorrise. Era a casa, finalmente a casa.
«Bentornata!» esclamò quella, stringendola.
«Sunhae…» bisbigliò Jasther, chinando leggermente il capo.
Entrambi erano stati suoi allievi, i più promettenti del tempio, seppure quelli a cui aveva dedicato meno tempo, soltanto tre mesi l’anno, quelli in cui si liberavano dalle vesti elfiche per far ritorno a Gerusalemme. La doppia vita che erano soliti condurre non lasciava loro molto spazio per il divertimento. Belfagor aveva insistito affinché entrambi i suoi figli prediletti frequentassero i Giardini, il perché, però, a Sunhae era ancora nascosto. «Vi sta aspettando» annunciò la strega coreana, con un ghigno.
Nata a Seoul, Sunhae era stata trovata all’età di cinque anni da Belfagor, sporca e affamata, abbandonata a se stessa nelle strade trafficate della capitale coreana, dove solo chi scappava dalla Fratellanza andava a nascondersi. Era a lui che, da quel giorno, la donna doveva la sua fedeltà più assoluta.
Le mura rosse del tempio, calde e accoglienti, avvolsero Hellawess in un pia-cevole “bentornata a casa”. Sorridendo e guardandosi attorno, la ragazza notò le matricole intente a osservarli, curiose. I pozionanti erano vestiti di verde, di viola i fattucchieri e d’azzurro i divinanti.
«Tornate nelle vostre aule, di corsa!» tuonò Sunhae, rimproverandoli. Spalancando le porte bianche dell’ufficio di Belfagor con la sola forza della sua mente, si schiarì la gola. «Maestro…» disse a voce alta, catturando la sua attenzione.
Sdraiato sulla sua lettiga, circondato da servitrici in abiti succinti e servitori a petto nudo, lo stregone smise di sorridere. «Uscite, tutti!» ordinò serio, ricomponendosi. «Avete ciò che vi ho chiesto?» chiese impaziente, allungando le dita verso Jasther.
Questo annuì, passandogli la busta che conteneva la merce. Dando un’occhiata veloce al suo interno, Belfagor sorrise. «C’è tutto.» Sospirò soddisfatto. Quindi si diresse verso la scrivania. Nascose il sacchetto dentro a uno dei cassetti e si sedette. «Ho ricevuto una lettera da Faraghon» annunciò, nervoso. «Le rivolte a Ethernity si sono fatte più serie del previsto. La Gemma acquista ogni giorno più forza e il suo bagliore si fa più intenso ogni ora che passa» spiegò, posandosi una mano sulla tempia. Era agitato. «Persino la Fratellanza sta prendendo seriamente la faccenda» commentò, guardando il viso contratto di Sunhae che, silenziosa, si limitò ad annuire. «La Grande Prova avrà luogo prima del previsto, quest’anno» disse con voce roca, fissando Hellawess negli occhi.
Cadde il silenzio. La mezza strega iniziò a respirare veloce e a fatica. Si preparava a quell’evento da tutta una vita, eppure non era nei piani del Secondo Ordine dell’Antica Via, né in quelli della Fratellanza che si prendesse carico di un tale fardello così presto.
«Questa è follia!» ruggì Sunhae, appoggiando i palmi sulla scrivania e sfidando a muso duro Belfagor. «Non è pronta! Hellawess non ha ancora avuto il tempo necessario!» urlò, sempre più furiosa.
Sollevando una mano in aria, il potente stregone la zittì con quel semplice gesto. «L’Oracolo sta morendo» rispose calmo. «I Corvi acquistano fiducia e la Gemma di Osiris, affamata, cerca di tornare dal suo padrone» aggiunse, sollevandosi in piedi. «Solamente l’erede di Delrog, colui che ha dato vita a Tragokadon il Mietitore, riuscirà a contenere il bagliore della Gemma» spiegò, fissando i grandi occhi blu della mezzelfa. «Solo Hellawess riuscirà a fermare il ritorno della Bestia» tuonò infine, spalancando gli occhi gialli.
Francesca Catalano (proprietario verificato)
Sono emozionatissima, non vedo l’ora di averlo tra le mani
Roberto Domizi (proprietario verificato)
Non vedo l’ora di leggere il 3 capitolo della saga gli altri due sono stati una bomba sperando che il 3° non sia da meno…..