Costretta a rimanere in casa per via delle restrizioni dovute al lockdown, Elisa decide di intraprendere un percorso di terapia per affrontare le sue paure: un viaggio nella sua adolescenza, passata a combattere contro Elaisa, il suo “io” più oscuro, che le impedisce di vivere con entusiasmo gli eventi della vita.Una volta scoperto che la sua diversità è la sua più grande forza e non qualcosa di cui avere paura, a Elisa non resta che imparare nuovamente a sentire le emozioni, lasciandosi andare senza più dubitare di sé. Solo rimarginando quelle ferite ancora aperte, infatti, potrà iniziare davvero a vivere.
INTRODUZIONE
Cercavo un titolo semplice ma deciso, che potesse riassumere in maniera diretta il contenuto di queste pagine e allo stesso tempo racchiudere in un fil rouge tutta la mia storia, con i suoi passaggi chiave, i suoi rettilinei, le curve, le inversioni a U, le soste, le salite e le discese. Volevo qualcosa che mi portasse a pensare a Tuscania, a Sisifo, al luogo dove tutto ha iniziato a prendere un altro senso.
Così, chiuso l’ultimo capitolo, o quello che credevo essere l’ultimo (in realtà è il terzultimo), inizio a rifletterci e a giocare un po’ con le parole per farmi venire in mente qualcosa…
Come un baleno, un’illuminazione improvvisa, una lampadina si accende. Ecco l’ispirazione per il mio titolo! Era lì che mi aspettava e da lì a breve mi avrebbe condotto al titolo che stavo cercando.
“Touché”! Quale chiave e partenza migliore per accogliere, al tempo stesso, quella bambina che non si è mai sentita vista e quella donna stanca di combattere contro se stessa che, con fatica, decide di appoggiare l’ascia di guerra per riconoscersi ferita!
Ammetto, ho avuto anch’io qualche dubbio iniziale sul significato di “touchè”, e prima di prenderlo in considerazione sono andata a controllare sul dizionario onde evitare figuracce, quindi se non conoscete bene il suo significato, don’t worry, siete in buona compagnia.
Per tutti i comuni mortali, invece, che hanno la fortuna di essere stati baciati dalla semplicità di pensiero e che al posto mio avrebbero sicuramente trovato subito qualcosa di intuibile, facile, che leggi e ti appare subito chiaro e lampante senza passare attraverso chissà quale parola, il dizionario dice: “Touchè, da toucher, ‘toccare’, esclamazione di chi ammette di essere stato colpito nel vivo da una battuta pungente e appropriata dell’avversario”.
Io mi permetto di aggiungere: “Resa consapevole e dignitosa, a cui segue un punto e a capo”.
Avversaria o alleata è la vita, dipende tutto da come prendi l’onda.
Touchè, perché la vita tante volte mi ha messa KO, mani alzate e spalle al muro, toccandomi nel profondo e mostrandomi, non senza dolore, che spesso siamo noi stessi a farci del male non accogliendo le nostre ferite e i nostri fallimenti, ma avendo invece sempre da ribattere e da dover “aggiustare” qualcosa.
Veronica e Cristina, che mi seguono in questo percorso terapeutico, ne sanno qualcosa: quando sono arrivata al centro di Viterbo, le mie congiunzioni preferite erano “ma” e “però” (“Sì, ma… però…).
Touchè, perché a Sisifo ho iniziato a fidarmi, a non difendermi, a non volere avere sempre l’ultima parola; e così ho lasciato un pezzettino del mio cuore, dell’Elisa che ero, lì per far spazio a una nuova parte di me.
Touchè non contempla repliche, non concede spazio a contro affermazioni, a risposte avversative, non ne ha bisogno. È docile, è aperto, è accogliente.
Quindi, touchè. Quindi, ferita sì, ma ancora viva.
Leggendo sul vocabolario ho scoperto che “touchè” si usa anche nella scherma quando si viene toccati da una stoccata avversaria, e nel rugby quando la palla oltrepassa le linee laterali del campo e viene rimessa al centro. Non si finisce mai di imparare!
P.S. Se non aveste capito, Touchè era il mio primo titolo, la mia prima scelta, ma purtroppo qualcuno è arrivato prima di me in libreria!
Continua a leggere
PROLOGO
Eccoci qui. Tra una coperta, il divano e quattro accordi alla chitarra, il divano e di nuovo la coperta, alle 16.55 di un pomeriggio di marzo in isolamento dal mondo a causa di un “fastidioso puntino che pensa di essere un re” (così si chiama il Covid-19), mi trovo qui, davanti al PC, a scrivere – non si sa per quale assurdo motivo o allineamento astrale – udite, udite… della mia vita! Che tra l’altro, se ci penso, sono più numerose le avventure e i viaggi pindarici che ho fatto a cavallo di pensieri che si credevano i Chissachì della storia, rispetto ai chilometri effettivamente percorsi su questa Terra.
Allora, da dove cominciare… Inizio da una telefonata, proprio di questo pomeriggio. Una telefonata di una cara amica col settimo figlio in grembo, col fiatone, che attraversa le calli deserte di Venezia – ricordo che siamo in situazione mondiale di emergenza virus – per arrivare puntuale all’appuntamento con la ginecologa per controllare che tutto proceda per il meglio. Nel frattempo, tra un ponte e una boccata di ossigeno, dispensa positività a una che conosce e sopporta da ben quindici anni e che è – dice sempre lei, l’amica ottimista con cinque figli e uno in arrivo, che trova il lato positivo anche in quel callo malefico che ti ricorda che è lì ogni volta che appoggi il piede a terra – che è, dicevo, a un punto di svolta, all’arrivo alla vetta dopo anni di prediche, telefonate, pianti e sedute psicoterapiche. O così sembra.
Di quale cima si stia parlando sarà più chiaro via via che srotolerò la mia storia. Ah, dimenticavo: la sottoscritta si chiama Elisa; l’amica per natura inguaribilmente ottimista si chiama Maria.
Bene, una volta fatte le presentazioni, cominciamo dal perché sono finita, volontariamente, in cura da una psicoterapeuta non proprio dietro l’angolo (il detto “Tutte le strade portano a Roma” nel mio caso è vero, dal momento che abito su al nord, in quel di Udine!). Forse in pochi sono abituati a sentire una persona parlare apertamente dei suoi casini, perché diciamocelo: non ci piace far sapere in giro i fatti nostri, soprattutto se così intimi e personali, e soprattutto ammettere davanti ad altri che sì, a un certo punto della nostra vita, abbiamo avuto bisogno di un aiuto e di qualcuno che ha scelto come vocazione quella di “sgrovigliare” cuori e teste, storie e matasse emotivo-psicologiche di persone, perché da soli, per quanta forza di volontà, sforzi e preghiere fatte, credenti e non, non ce l’abbiamo fatta. Ma non è mica un fallimento, sapete! Anzi, significa aver riconosciuto di avere una difficoltà, e questo è il primo passo per farcela. Io, testona come sono, ci sono arrivata con i miei tempi alla soglia dei trent’anni, con un pit stop in corsa per un cambio d’olio e un rifornimento di autostima a ventuno: un anno da uno psicologo, questa volta della mia città, che mi ha aiutata tanto, ma che non è stato risolutivo.
Alessandra Orlando (proprietario verificato)
Una storia vera e profonda raccontata in modo spiritoso e coinvolgente! Conoscere e accettare se stessi è il primo passo verso la felicità…. Elisa riuscirà a trovare la strada giusta? Leggete il libro per scoprirlo!
Giulia Canteri
Bellissimo! Cioè, sembra di avere di fronte una persona in carne ed ossa che ti racconta della sua vita e dei suoi “casini” (casini delicati e molto profondi) in chiave autoironica e con uno stile all’apparenza (abbonami il termine) “disorganizzato” ma che in realtà tiene incollati alla storia. Oltre il fatto che adoro i libri scritti in questo modo. Grande!💪
Cristina Congedo
Una soave nota di nostalgica malinconia associata ad una tenera visione di sé e della sua vita. Elisa è alla ricerca di un “significato” unico e autentico mentre combatte contro i suoi pensieri ossessivi di una bimba non vista. Ha ragione Elisa:”la vita non si ferma” e neanche lei.