Bashir è un bambino con una passione travolgente per il calcio e un grande sogno: diventare un campione indimenticabile, uno di quei giocatori che restano nel cuore di tutti. Nel frattempo, vive le giornate tipiche della sua età, divise tra scuola, allenamenti e il rapporto con la sua famiglia, di origine siriana. Con i suoi genitori, però, spesso fatica a comunicare. Bashir è affascinato e insieme tormentato dalle parole: si chiede da dove nascano e, soprattutto, come riuscire a farle uscire al momento giusto. Ha un’insicurezza che lo frena, proprio quando vorrebbe esprimere ciò che conta davvero. Sarà proprio attraverso il calcio che Bashir scoprirà il significato della solidarietà, ritroverà fiducia in se stesso e capirà che le parole che cercava sono sempre state dentro di lui, pronte a emergere.
0. La rovesciata della vita
Domenica lo stadio era pieno. Saranno stati in diecimila a guardarci. Era una delle partite più importanti di tutta la stagione. Io, come sempre, indossavo la maglia numero 10, il numero del mio attaccante preferito di tutti i tempi: Luís Nazário de Lima, detto Ronaldo. Quello vero. È un giocatore di qualche anno fa. Io l’ho visto solo al computer. Faceva dei gol incredibili. Partiva col pallone e nessuno lo prendeva più. Faceva sembrare tutto semplicissimo.
Io lo trovo fenomenale, ma quello che più mi piace di lui è che era fragile. E anch’io ogni tanto mi sento così.
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In quella partita avrò tirato una decina di volte, ma la porta sembrava stregata. La partita era ancora bloccata sullo 0-0. Con il pareggio avremmo perso il primato in classifica.
Quando mancavano cinque minuti al fischio finale arrivò l’occasione giusta.
Ero libero nel centro dell’area di rigore. Da destra arrivò un cross quasi perfetto, solo un po’ arretrato. Fui costretto a posizionarmi spalle alla porta. Il pubblico, che fino a quel momento era stato molto rumoroso, si ammutolì.
Aveva già capito che stava per accadere una magia.
Mentre la palla si avvicinava alzai il braccio sinistro e portai indietro il destro, pronto allo slancio. Saltai, piegandomi come se avessi dovuto schivare un pugno in faccia e staccai con la gamba destra mantenendo la sinistra parallela al terreno. Ero in alto e stavo disegnando una spirale con il mio corpo. Nel momento esatto in cui la palla fu all’altezza della mia gamba sinistra, con una sforbiciata rapida colpii il pallone con la destra. Caddi a terra con la schiena e mi girai subito per vedere l’esito della rovesciata: palo, gol! 1-0. Il primato era salvo. Lo stadio esplose di gioia e io con lui. Sentii gridare forte il mio nome: «Ba-shir! Ba-shir! Ba-shir!».
Un urlo sempre più forte, fino all’apice: «Bashiiiiiiirrr!!!».
Alzai lo sguardo e davanti a me non c’erano i tifosi, ma mia mamma che dal balcone mi urlava in siriano: «Vieni dentro! Non vedi che ore sono!? Vieni a lavarti, che sta arrivando papà e fra poco si mangia!».
Le luci dello stadio nella mia testa si spensero di botto e io entrai a mangiare.
Fu il gol più bello della mia vita ma nessuno l’aveva visto.
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