CAPITOLO I
Posillipo, Napoli, 20 luglio 1993
09:30 del mattino
Il sole inondava casa Dal Prato, colorando di un arancione chiaro e vivace tutto l’ambiente e dando una sensazione di protezione, di calore e benessere. Dalla finestra del soggiorno un filo di vento smuoveva la tenda bianca con le frange dorate, facendola svolazzare libera per casa. Si lasciava volentieri trasportare e come una ballerinadi danza classica ondeggiava al ritmo dei suoni della strada: clacson di macchine, motorini sguizzanti per le vie, urla dei venditori al mercato; armonie di esistenze che si intrecciano distratte, rumori che accompagnano la vita. Bastava spostare lo sguardo di qualche centimetro per poter ammirare il quadro più bello della collezione di Dio: il golfo di Napoli, con le sue acque azzurre e il Vesuvio sullo sfondo. Il gigante dormiente che da secoli veglia sulla città. Un incanto. La brezza salata che salivadal mare rendeva l’aria genuina e festosa, rendeva tutto più vero.
In questo presepe di luci, suoni e colori cresceva in ottima salute un bimbo, Vittorio Dal Prato, che, come voleva la tradizione, aveva lo stesso nome di suo nonno. Era un monello di otto anni con capelli ricci e spettinati, di un castano talmente scuro da sembrare nero, gli occhi azzurri e lo sguardo da furbetto. A parte il colore dei capelli, aveva ereditato tutto dalla sua mamma, o almeno così dicevano i grandi: lui non l’aveva conosciuta.
Erano passati otto anni dalla morte di Elisa. Era una donna bellissima, coi capelli rossi e ricci, che nessun parrucchiere era mai riuscito a domare, un visino delicato e impreziosito da milioni di lentiggini che facevano risaltare ancor di più i suoi occhi azzurri.
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