AMBRA
Dietro a quelle storie del passato
Per le strade della tua città
Quante bocche su di te han parlato
Non sempre dicendo la verità
Bull Brigade, A Way of Life
Camminava sul bordo del marciapiede con una mano in tasca e l’altra a cambiare canzone su Spotify, tenuto come santino sul blocco schermo del suo cellulare, salvo poi insultarsi da solo per averlo chiuso per sbaglio, alzando gli occhi al cielo.
Era uno di quegli uomini che tengono sempre i capelli castani naturalmente mossi e spettinati, soprattutto nei giorni in cui diluvia da matti – la sua condizione meteorologica preferita, comunque – e la voglia di pensare a come presentarsi è pari a zero. Era uno di quelli che non sapeva esattamente cosa dire di fronte a un regalo inaspettato e finiva sempre per sorridere e balbettare impacciato, ma sotto, da qualche parte, era felice che qualcuno si ricordasse di lui e pensasse alla sua felicità.
Rischiò di finire di faccia contro il palo del semaforo e si ricompose in fretta, cercando di far finta che gli sguardi sconcertati della vecchietta di fianco a lui non esistessero. Questi giovani d’oggi sempre attaccati a quelle diavolerie elettroniche.
Era uno di quei ragazzi bloccati a metà tra l’adulto e l’adolescente, che cercano due volte su tre modi alternativi per stupirti e farti ridere, invece che ripiegare sulla solita, banale rosa che finirà con l’appassire in due giorni, quasi fosse un regalo di cortesia, una premura in affitto da restituire con gli interessi.
Attraversò le strisce pedonali un po’ sbiadite sul pavé, pronto a buttarsi nel supermarket, maledicendosi per aver rimandato la spesa all’ultimo e staccandosi una cuffietta dall’orecchio per sentire, controvoglia, la banalità dell’ambiente circostante: genitori stressati, anziani in riga di fronte ai surgelati e finte nutrizioniste che sceglievano la lattuga migliore e le zucchine meno ammaccate del banco verdura. Mai nella sua vita, giurò, avrebbe bussato su un cocomero.
A volte capitava che si dimenticasse, oltre che di fare le compere prima di ritrovarsi con il frigo vuoto, anche come si dimostra l’affetto nel modo più semplice, più genuino, e farglielo notare diventava un’impresa titanica. Raramente riusciva a rendersi conto dell’effetto che scatenava nel cuore e nella mente degli altri, mentre ti guardava curioso con quel suo affascinante velo di chiusura e i suoi feriti occhioni al sapor di nocciola, che al sole si illuminavano quasi per magia rivelandosi piscine di dolcissimo miele, protette da uno sciame di api incazzate.
Per lui un “come va?” in un momento di distanza, una carezza in un attimo di sconforto, un pomeriggio di pace in tanta frenesia non esistevano, e non si accorgeva di quanto queste piccole accortezze fossero importanti, così tentava di chiedere scusa e rattoppare come poteva nei rari momenti di lucidità, imbarazzato, mortificato come un cagnolino sorpreso a distruggere i cuscini del divano mentre cercava di acchiappare una mosca.
Sfrecciava tra le corsie evitando a stento i carrelli messi in diagonale dalle mamme, a volte accostandoli di lato, a volte chiedendo permesso infastidito e facendosi più spazio di quanto ne servisse, borbottando tra sé e sé su quanto la gente non avesse un minimo di rispetto per il tempo altrui. Era così difficile non farsi per forza notare? Quanto egoismo c’era in giro.
Dall’alto della sua t-shirt dai colori terrosi, strappata all’altezza della manica destra, e dei jeans scuri che tintinnavano a causa delle chiavi appese ai fori della cintura, Leonardo Battaglia, buttato nel vortice del mondo durante la mattina del quindici gennaio 1994, ha sempre vissuto in un mondo e una mentalità tutti suoi, sempre sicuro di avere ragione, tra una frase cinica contro il mondo e un “no, tu sei un’eccezione, tu sei carina…” sussurrato sorridendo, non appena si rendeva conto di aver detto una cagata e non prima di aver cercato un abbraccio.
Per gli amici Leo – o anche “il coglione”, “king”, “bomber” – era spesso il primo del gruppo a proporre un comodo piccolo bar dove offrire una birra e passare qualche ora fuori dallo stress, perché lui, astemio da una vita, lasciava agli altri il privilegio di concedersi un fresco boccale dorato e spumeggiante, accompagnato da un drum tirato su alla meglio e con pochissimo tabacco, essendo il sacchetto sempre semivuoto a causa della dipendenza alla quale non poteva assolutamente rinunciare: offrire sempre agli altri.
Aspettava il suo turno alla cassa con il cesto della spesa pieno di materiale per tentare una cena e qualche scatoletta di cibo per gatti trovata in offerta. Alle sue spalle, un anziano continuava imperterrito a parlare male di lui con la moglie, analizzando con occhi carichi di giudizio il suo outfit non esattamente elegante, il viso stanco e “l’aspetto da drogato”, nonostante Leonardo avesse fatto capire che poteva chiaramente sentirli.
Si schiarì la voce e ringraziò la commessa, che gli passò un sacchetto biodegradabile, poi, dopo aver pagato, volò oltre le porte scorrevoli del negozio verso la bici legata a un palo dello STOP, non prima di aver sistemato nuovamente la cuffietta ancorata all’orecchio.
Leonardo prestava attenzione a principalmente tre cose: la sua vecchia bicicletta, ricevuta a diciassette anni e da allora mai cambiata, arrugginita e senza un freno da quando lui ne avesse memoria; il cinema, i suoi meravigliosi segreti e le sceneggiature, e soprattutto i film horror e splatter (“se vuoi qualcosa di più soft ti metti a cercare uno splatter, se invece vuoi goderti un signor film te lo scelgo io un horror bello figo, o vuoi provare gli slasher?”, dialogo accaduto di fronte alla televisione, durante una serata invernale nella quale gli era stata promessa una maratona dei suoi generi preferiti); Giuliano, un gatto rosso e ciccione che passava ventidue ore su ventiquattro sul davanzale del monolocale suo e di Leonardo, ma prima di tutto suo, perché si sa che, tra gatto e umano, chi fa le leggi e governa la casa è ovviamente il gatto.
Doug Sitter
aspetto con ansia l’uscita <3, sarà una grande sorpresa