Fu inspiegabile, incredibile, traumatico, velocissimo, violento.
Isaac era nella sua camera, nell’appartamento che divideva con Marìe, al secondo piano di una palazzina relativamente nuova, situata in un quartiere rispettabile. La sveglia stava suonando già da un minuto, gli ci vollero alcuni secondi per emergere dal sonno profondo. Sdraiato supino, senza aprire gli occhi, fece scivolare il braccio sotto il leggero piumino blu: la traccia di calore di lei era evaporata da un pezzo. Al sabato mattina, come sempre, Marìe si era già alzata di buon’ora per andare a lavorare.
Appena la mano trovò il vuoto, Isaac se ne ricordò, emise un gemito e si rigirò dall’altra parte.
Da qualche mese, lui aveva perso il suo lavoro da impiegato, e, nonostante la promessa verso se stesso di non poltrire fino a tardi, realizzò fossero già le 9:00.
Tardi, diamine.
La volontà e la disciplina, pensò, doveva ancora affinarle completamente.
Si pentì di aver bevuto quella birra in più la sera prima: sentiva la testa annebbiata e il pensiero lento.
Decise di alzarsi, forse la situazione sarebbe migliorata andando a fare jogging per smaltire quel paio di chili in più accumulati nell’ultimo anno. Alzò il braccio e spense il trillo metallico della sveglia appoggiandoci la mano sopra.
Aprì gli occhi, con la testa ancora posata sul cuscino, fissò il soffitto. Una sensazione improvvisa di leggerezza stranamente lo colse. Non ebbe il tempo di pensare a null’altro: prima la sensazione di leggerezza crebbe fino a diventare, nel secondo dopo, una vera e propria fluttuazione, la quale si trasformò, in un terzo momento, in un volo a piombo sul soffitto.
Ancora prima di realizzare cosa stava accadendo, Isaac si ritrovò a precipitare sul soffitto della camera. Il letto lo seguì e, per uno strano ribaltamento della situazione, finì sopra di lui.
In quel preciso istante un boato sinistro accompagnò un momento cruciale per l’umanità. Nello stesso momento, Isaac udì un rumore composito di differenti materiali che si rompevano: legno, vetri frantumati, lamiere, urla disumane.
Sentì i mobili della casa mentre si ribaltavano sul soffitto come se non pesassero nulla. Il tavolo da pranzo in legno massiccio, in un frastuono, atterrò sul soffitto del soggiorno, le sedie fecero lo stesso, Isaac udì il rumore di qualche schienale mentre si spezzava, il divano con un tonfo atterrò sul soffitto, i complementi d’arredo in vetro si disintegravano a causa dell’impatto, i mobili si distruggevano sopra di essi. Le pentole, i piatti e i bicchieri, in un’esplosione, si ribaltarono dentro i moduli componibili della cucina. Le porcellane della nonna di Marìe si frantumarono dentro la teca. Il frigo planò anch’esso sul soffitto, si rovesciò e trascinò con sé il cavo fino a staccarlo dal muro, poi smise di funzionare.
Il mobile del bagno, la lavatrice, l’asciugatrice, le scope nello sgabuzzino, gli scatoloni nel ripostiglio fecero altrettanto.
L’acqua contenuta del water si versò nel soffitto, bagnando e impregnando l’intonaco.
Le tende silenziosamente si accasciarono su loro stesse, in un movimento elegante, ondulatorio e discendente.
Isaac era sotto shock.
L’adrenalina si mise subito in circolo e i postumi della sbronza svanirono. Sentì il peso del materasso su di sé. Non poteva essere successo davvero.
Marìe. Marìe. Marìe.
Nei primi secondi pensò a lei.
Il sangue rimbombava nelle tempie, aveva battuto forte la testa, gli usciva del sangue dal naso, un ginocchio gli doleva in modo insopportabile. Nell’impatto per istinto aveva messo le braccia in avanti, sentiva i polsi e i palmi doloranti e formicolanti. A contatto con la superficie dura del soffitto, la spalla sinistra aveva compiuto una mezza rotazione ed era caduto su un fianco.
Fece un rapido controllo per verificare non si fosse rotto qualcosa.
Il peso della struttura in legno lo schiacciava e rendeva difficile il respiro.
Riuscì con fatica a spostare il materasso. Si alzò in piedi e guardò attorno a sé lo scenario che gli si presentò davanti: appariva come la camera di un albergo, nella quale delle rockstar ubriache si erano lasciate andare in rituali di distruzione e poi se ne erano andate.
Urlò per sfogare lo spavento, cercò di calmarsi, imprecò un paio di volte e si rese conto che la Terra si era rovesciata.
Doveva raggiungere Marìe, assicurarsi stesse bene.
Pensò a suo padre, un uomo anziano che viveva da solo nella casa fuori città. Doveva essere accaduto ovunque. Tutto il mondo si era capovolto. Sentiva in strada gente urlare, chiamare aiuto, ma tutto intorno, nonostante le grida umane, regnava un’atmosfera irreale.
Si alzò in piedi, con passo incerto scavalcò le doghe del letto, raggiunse l’armadio.
Ringraziò di averlo fatto costruire su misura: la sua altezza raggiungeva il soffitto, e nell’inversione si era solo capovolto. Aprì l’anta, vide i vestiti ammassati su quello che ora era il fondo dell’armadio, si chiese come mai con quel che era appena accaduto, la sua preoccupazione comprendesse il fatto di non voler uscire di casa in mutande.
Non si dilungò sulla questione, recuperando lucidità afferrò la prima felpa con cappuccio che vide, indossò i pantaloni della sua tuta preferita e le scarpe da ginnastica.
Andò nel soggiorno, scavalcò l’ammasso di mobili caduti sul soffitto raggiungendo l’ingresso. Le schegge di vetro scricchiolarono sotto le suole.
Aprì la porta, come in un’architettura impossibile di Escher, vide il pianerottolo e le scale sopra la testa. L’incredulità ancora lo rendeva lento nei movimenti, ci mise quasi un minuto per uscire dall’appartamento, le gambe sembravano non voler obbedire al suo volere. Si rese conto che qualcuno dentro l’appartamento dei Levyn, i dirimpettai, stava urlando e chiedendo aiuto. Riconobbe la voce infantile di Emma, la figlia della coppia: la bambina di sette anni piangeva in preda al panico.
Cercò di aprire la maniglia del portone d’ingresso ma constatò che era chiusa dall’interno.
«Emma! Emma! Sono Isaac! Sono qui, piccolina, adesso ci sono io, la porta è chiusa! Emma!! Emma! Puoi aprire la porta? Riesci a sentirmi?»
Una rapida riflessione lo portò a pensare al modo di poter entrare all’interno dell’appartamento. Sarebbe potuto uscire dalla finestra del pianerottolo, per provare a entrare dalla finestra della cucina.
Si staccò dall’uscio dei Levyn, guardò il soffitto del pianerottolo composto da travi di legno e dipinto di bianco e constatò che la finestra fosse più distante dal soffitto di quanto immaginasse.
Tornò in appartamento, recandosi al ripostiglio. Benedisse la lungimiranza di Marìe in fase di trasloco che con grande diligenza, con uno stampatello irregolare e in ordine alfabetico, aveva annotato un elenco di oggetti contenuti in ogni rispettivo scatolone.
Aveva sempre detestato quella puntigliosità, quella precisione quasi maniacale, ma gli fece risparmiare tempo prezioso nella ricerca.
Trovò subito quel che gli serviva, lacerò con forza il cartone e ne tirò fuori il suo vecchio equipaggiamento da arrampicata. Rovesciò picchetti, corde, moschettoni e le imbracature sul soffitto, ora diventato pavimento, andò in camera a recuperare lo zaino.
Indossò l’imbracatura, mise l’altra nello zaino, assicurò i moschettoni alla propria cinta, prese i caschi, domandandosi se davvero gli sarebbero serviti in una situazione tanto assurda.
Ringraziò di aver fatto alpinismo in gioventù e di non aver mai regalato o venduto l’attrezzatura. Ficcò il primo paio di corde dentro lo zaino, assicurando il secondo con un capo alla sua cintura. Poi si mise il fascio della corda su una spalla, in modo da avere le mani libere, prese i picchetti e il martello, trascinò fuori lo zaino dall’ingresso. Tornò indietro e prese i guanti antiscivolo, un canovaccio che appallottolò malamente in tasca, il martello, un coltello, e il kit di primo soccorso.
Affrontò la finestra. Saltò dal piano sfalsato del soffitto, sulla parte travata. Il legno gemette sotto il peso dei suoi ottanta chili. Mosse dei passi incerti sopra la trave sbiancata, poi si accostò al muro. Arrivava a malapena alla maniglia, ci mise qualche minuto per aprirla, per poter accedere all’esterno. Saltò e si arrampicò aggrappato al telaio, si mise a cavalcioni sul serramento.
Quel che vide dall’altra parte lo terrorizzò: il cielo appariva enorme, vuoto e senza fine.
Lo stordimento durò qualche secondo, realizzò che un passo falso gli sarebbe costato la vita. Guardò l’ambiente circostante, familiare e allo stesso tempo adesso ostile.
Le case, i condomini, gli alberi, tutto ciò che era ancorato a terra aveva, per qualche strana legge, resistito. Ciò che vide lo impressionò: la visione si apriva in un girone dantesco, composto sul fondo da auto che galleggiavano nel vuoto, persone che annaspavano portate via dal vento, cani randagi impazziti ululavano in preda al terrore scalciando inutilmente, biciclette con lucchetto appese in giù, insegne stradali dondolanti.
Chi era stato sorpreso nell’inversione fuori da un ambiente murato sembrava spacciato.
Un gruppetto di anziani era aggrappato stoicamente a una panchina, chiamavano aiuto già al limite della resistenza. Uno di loro cedette e cadde nel vuoto.
Decine di automobili, sospese nel cielo nell’atmosfera, simili a capsule spaziali ospitavano astronauti terrorizzati.
Dentro le auto, le persone erano in preda al panico, battendo i palmi sul vetro, cercavano di attirare l’attenzione di qualcuno. Isaac vide, a un centinaio di metri da lui, un uomo calvo e corpulento dentro un Suv. Con le mani incollate al volante pigiava in maniera ostinata l’acceleratore, inutilmente, nella convinzione assurda che ciò lo avrebbe portato avanti di qualche metro. Non c’era terreno sotto le ruote.
Il grosso motore dell’auto di lusso soffriva, mentre l’aria odorava fortemente di gasolio.
Un gruppo di persone vide Isaac dall’altra parte della strada e lo chiamò a gran voce. Erano a cavalcioni sui rami di un grosso platano, uno di quelli che costeggiavano le strade, chi era stato fortunato e veloce nei riflessi si era rifugiato lì. Un gruppo di studenti stava raggomitolato sulla pensilina assieme a una donna e suo figlio.
Nelle case e negli appartamenti, le persone assistevano impotenti allo scenario apocalittico dinanzi ai loro occhi, qualcuno piangeva terrorizzato, qualcuno cercava un modo per uscire, sfidando il vuoto con passo tentennate.
Tutto era come prima, ma appariva capovolto: l’uomo avvertì un senso di nausea crescente, si accorse di respirare con la bocca aperta, come un pesce che annaspa fuori dall’acqua.
Cercò di controllare l’ansia, se si fosse lasciato andare al panico sarebbe finita. Doveva cercare Marìe.
Un uomo sul platano lo chiamò: «Ehi, tu, sulla finestra! Sì, tu. Lancia la corda!».
Isaac lo guardò inebetito. Doveva stabilire delle priorità. All’interno dell’appartamento sentiva ancora la bambina piangere.
Si guardò intorno, la cacofonia di urla, latrati, clacson, disperazione e pianti lo disorientava. Cercò di focalizzare dentro di sé una lista.
Recuperò lo zaino, e urlò all’uomo di rimando.
«Devo rientrare nell’appartamento qui, ci sono persone che hanno bisogno del primo soccorso.»
Una donna terrorizzata gli rispose: «Svelto, lancia la corda!».
Isaac pensò che se avesse perso le corde non sarebbe riuscito a raggiungere Marìe.
Quindi pazientemente rispose loro che sarebbe entrato prima nell’appartamento per aiutare i vicini e poi avrebbe cercato altre funi. Nel frattempo loro dovevano solo stare calmi, non si sarebbe dimenticato di loro.
«Ti aiuto io» disse una voce calma dietro di lui. Era il vecchio, un uomo anziano e distinto che stava al piano di sotto.
Isaac lo aveva visto di rado, spesso il vecchio non usciva di casa, e raramente lo si vedeva parlare con qualcuno. Se lo faceva, era per pura cortesia e non per interesse.
Lo fissò con aria vacua, ancora sotto shock. Vide le mani nodose e secche del vecchio, come sottili rami di ulivo, tenere una specie di cordone grezzo impolverato e liso, evidentemente un cimelio di qualche decennio passato.
Il vecchio lo guardava di rimando, studiandolo da sotto le sopracciglia cespugliose e bianche, come a capire cosa aspettasse, poi sbottò.
«Ragazzo, ti sei innamorato o aspetti venga buio per fare qualcosa?»
Isaac si destò dal torpore scuotendo la testa. «Ci sono, ci sono… cosa facciamo?»
«Direi che le tue corde sono di sicuro più robuste, rispetto a queste del mio equipaggiamento che usavo da giovane… sono più pesanti, proporrei di assicurare te con la mia corda, in fondo ti serve come sicurezza, per recuperare gli altri invece useremo la tua, che è sicuramente meglio.»
Isaac evitò di dire di avere del cordame di riserva nello zaino, l’istinto gli disse di tacere. Non per il vecchio, che sembrava una persona ragionevole e a modo, ma per la gente sull’albero. Si girò a studiare gli individui che lo osservavano dalle fronde, a una ventina di metri dalla palazzina.
Alcuni sembravano uomini di manovalanza, la donna pareva sull’orlo di una crisi di nervi, quello yuppie in doppiopetto blu lo scrutava a lato da un ramo solitario con la ventiquattr’ore appoggiata al ginocchio. Si sentiva confuso ma sciolse il nodo.
Il vecchio parve captare la sua esitazione, o quantomeno intuirne i dubbi.
In effetti il piano dell’anziano era sensato, dopotutto non voleva neppure avere qualcuno sulla coscienza: non aveva scelta se non agire così. Si scambiarono le cime, annodò la corda lisa al moschettone, aggiustò il freno, e scivolò giù per il muro, fino a raggiungere di nuovo la sporgenza del tetto esterno alla casa.
Arrampicandosi sulla portafinestra, si aggrappò alla maniglia e la aprì, per fortuna non era chiusa a chiave. Quando scavalcò la porta, apparve la cucina rovesciata, proprio come era successo nel suo appartamento. Sembrava fosse esplosa una bomba. Cocci di stoviglie, bottiglie rotte, il computer fracassato, la tv ancorata alla parete…
Superò i mobili demoliti, e si diresse nella zona notte chiamando la bambina.
Quando arrivò in bagno, lo trovò semiallagato: la signora Levyn giaceva sul soffitto, svenuta, la figlia le stava appresso chiamandola e scuotendola inutilmente.
L’inversione era avvenuta mentre Emma si stava facendo la doccia, l’acqua era ancora aperta e sgorgava dal soffione. Isaac la chiamò, la bambina era una maschera di dolore. Corse verso di lui e lo abbracciò. L’uomo rispose all’abbraccio, cercò di calmarla, prese l’accappatoio appeso sulla porta, la avvolse poiché tremava come una foglia.
«Spiegami cos’è successo… così possiamo aiutare la mamma…»
Tra singhiozzi la poverina raccontò. «Mi stavo lavando, la mamma era qui con me, poi tutto è andato sottosopra e ha battuto la testa…»
Isaac guardò la signora Levyn stesa a terra e capì non c’era tempo da perdere.
Chiara Parise (proprietario verificato)
Gravità inversa” inizia con l’apocalisse, ma lo scenario presentato non è certo quello di una guerra nucleare, né una calamità naturale così come l’uomo la conosce. Il genere umano, infatti, è costretto a difendersi da un nemico invisibile e molto potente, la gravità, che avendo improvvisamente mutato la sua natura invertendosi, spinge qualsiasi cosa non radicata stabilmente al suolo a perdersi nel blue del cielo, che mai come in questo romanzo assume una connotazione tanto spaventosa.
Le storie di Marie, Isac, Vasilji, Margaret, Sybille e gli altri protagonisti di “Gravità inversa” si intrecciano in un continuo ed estremo sforzo per la sopravvivenza e per la ricerca delle persone care, in un crescendo di azione che porterà alcuni di loro a scontrarsi non solo contro questa pericolosa forza ineluttabile ma anche contro i loro stessi simili, secondo la logica dell’ homo homini lupus. Nella lotta per la sopravvivenza, infatti, non mancheranno episodi di pura irrazionalità, che costituiranno un ostacolo in più da superare in una situazione che si presenta estremamente drammatica.
I continui richiami storici e filosofici offrono delle riflessioni molto interessanti sul senso della cooperazione e la solidarietà, che appaiono come la sola vera speranza di salvezza.
Gabriele Martini (proprietario verificato)
Non sapevo realmente cosa aspettarmi, ma lo spunto da cui parte la storia mi ha molto incuriosito: cosa succederebbe se, improvvisamente, la gravità terrestre si invertisse?
L’autrice Silvia Gheno ce lo racconta in questo romanzo distopico, attraverso tre linee narrative ben distinte. Ogni protagonista si trova ad affrontare una realtà completamente “rovesciata”, letteralmente parlando, e si trova faccia a faccia con la consapevolezza di dover sopravvivere in questa nuova condizione. “Gravità inversa” ci mostra dunque come si comporterebbe l’umanità
in caso di estrema emergenza, sia
raccolta in piccole comunità improvvisate che come singoli individui. Sarà la solidarietà o piuttosto l’egoismo, a prevalere?
Un’idea decisamente molto originale, arricchita dalla saggezza di alcuni monologhi, da descrizioni accurate e da alcuni personaggi con un forte significato simbolico ed allegorico.
Puntiamo ad una serie Netflix!
Jennifer Cuccarolo
Questo è un libro che ti cattura, lo si legge d’un fiato. L’ho trovato avvincente, spesso sorprendente. Offre molti spunti di riflessione e non è per nulla banale!
Le situazioni accuratamente descritte, i personaggi riportano le più svariate sfumatune caratteriali e confermano come, non sia quello che materialmente una persona possiede a farne un vero leader, ma intelligenza, correttazza e carisma.
Personalmente l’ho “divorato” e l’ho adorato!
Lo straconsiglio!
Alice Munari (proprietario verificato)
Gravità Inversa è un libro che nasce da un’idea originale: cosa succederebbe se la forza di gravità si invertisse?
Silvia riesce a descrivere gli accadimenti con minuziosità di particolari, ipotizzando fenomeni fisici che vengono ben disegnati agli occhi del lettore. Ma ciò che stupisce ulteriormente è la sua capacità di descrivere l’Uomo, con le sue diverse sfaccettature e con le differenti modalità di reazione ad una situazione di pericolo reale per la propria vita e per quella altrui.
Ne esce così un libro avvincente, profondo, pieno di adrenalina che tiene il lettore incollato ad ogni pagina fino alla fine.
Mara Carron (proprietario verificato)
Gravità Inversa è una riflessione sulla società ed il modo nel quale gli esseri umani si organizzano e reagiscono alle dinamiche dettate dal bisogno di sopravvivere. La narrazione si ispira alla migliore tradizione del romanzo distopico: Cecità di Samago e il signore delle mosche di Golding. L’incipit qui prevede che la gravità ad un certo punto smetta di funzionare e tutto il mondo ed i suoi abitanti improvvisamente si ritrovino sottosopra. Un trigger interessantissimo il capovolgimento che rende la trama scorrevole ed avventurosa.
Notevole anche la scrittura, descrittiva ed elaborata e mai banale nei dialoghi. Ho veramente adorato alcuni personaggi che per me rimarranno indimenticabili: la Cuoca e la Segretaria hanno la resilienza dei migliori personaggi di Tarantino, Vasile l’Accattone e la sua nemesi l’Ingioiellata le cui interazioni oscillano tra tragico e comico e da sole valgono la lettura.