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Paolo Boschi vive una vita di routine in un piccolo paese sospeso tra il presente e il passato, dove il tempo sembra scorrere lento e immutabile. Ma quando Biagio, un amico d’infanzia mai dimenticato, ritorna dopo anni di assenza, il passato torna a farsi sentire con tutta la sua forza. Biagio, un uomo segnato dalla vita, riaccende in Paolo vecchi ricordi e ferite mai rimarginate. Tra incontri silenziosi, scontri emotivi e scoperte dolorose, Paolo si trova a dover fare i conti con il rapporto complicato con suo padre, le perdite che ha subito e le scelte che ha rinviato. In un viaggio che lo porta a riscoprire se stesso e i legami con chi lo circonda, Paolo capisce che il tempo, pur non potendo cancellare il passato, è l’unica chiave per affrontare il futuro e trovare finalmente la possibilità di un nuovo inizio.

Prologo

Parcheggio in retromarcia, così impiego meno tempo ad andare via. Scendo e mi sgranchisco la schiena appoggiato alla portiera.

Fa troppo caldo per essere giugno. Sono le sette del mattino e l’umidità salda la camicia alla mia schiena.

Il cartello dell’agenzia è a terra. Lo raccolgo, come sempre.

Immobiliare Rossetto – un cuore, una missione, un tetto.

Lo slogan che accoglie gli interessati, accompagnato dal faccione sorridente di chi cerca di venderti una casa con il pollice alzato e il ciuffo “alla Elvis”.

A Casa Margherita c’è sempre stato silenzio, ma a quest’ora un po’ di più. Solo qualche uccellino inizia a svegliarsi e, in lontananza, si sente il segnale acustico del camion dei rifiuti in retromarcia. Quasi non noto la macchina che imbocca il vialetto. Silenziosa. Furtiva. Elettrica.

Il ragazzo dell’agenzia scende ed è già impeccabile, come sul cartello, solo un po’ assonnato.

«Boschi?» chiede, mentre mi tende la mano. «Tommaso, piacere.»

Gliela stringo, ma non rispondo. Ci siamo già presentati non più di tre mesi fa e abbiamo parlato giusto ieri al telefono.

Indossa un completo blu elettrico con tanto di gilet. L’eleganza che sfida la temperatura.

«Ho mandato un messaggio ai ragazzi,» dice, mentre fruga nella borsa sul sedile «sono per strada.» Sta per aggiungere qualcos’altro, ma una telefonata lo interrompe. Risponde, mi mette in attesa sollevando l’indice e inizia a parlare passeggiando.

Resto lì un minuto, forse meno, e mi avvio verso la casa. Non ho intenzione di arrivare tardi al lavoro, non proprio oggi.

Casa Margherita sarebbe di mia proprietà. L’appartamento al primo piano è in vendita. I due alloggi che compongono la palazzina, posti uno sopra all’altro, hanno un giardinetto che ne avvolge il perimetro.

Da che ne ho memoria, al piano terra abita Teresa; il giardino porta visibili i segni della sua solitudine e, inevitabilmente, dell’età. L’appartamento al primo piano ha visto invece alternarsi vari affittuari: turisti, lavoratori stagionali e ingegneri impegnati temporaneamente nelle fabbriche della frazione Perla. L’ultima inquilina ha lasciato l’appartamento circa un mese fa.

Due rampe di scale e ho già il fiatone.

La porta non è chiusa a chiave. Entro. La casa odora di vernice fresca e cartone.

Apro le persiane della portafinestra e una pioggia di cimici cade formando un cimitero ai miei piedi.

Prima di lasciare l’appartamento la ragazza avrebbe dovuto dare una mano di vernice alle pareti, ma, su consiglio di Tommaso “Elvis”, ho assunto un’impresa per dare un tocco più moderno e caldo in vista della vendita. Le ho risparmiato la fatica.

L’arredamento è essenziale, minimale ma in buone condizioni. Le pareti, un tempo gialle, ora sono grigio perla.

Guardo l’ora: le sette e un quarto. Sono in orario.

«Com’è?» Tommaso sorride, entra, allarga teatralmente le braccia e gira su se stesso. «Le piace?»

Noto una presa di corrente ancora coperta dal nastro di carta. Lo tolgo.

«Abbiamo pensato al grigio perché, facendo contrasto sul parquet, crea una situazione» aggiunge, aspettandosi un confronto.

Rimango in silenzio, e lui fa lo stesso per qualche minuto. Restiamo lì, fianco a fianco, zitti. Con la coda dell’occhio lo vedo che controlla l’orologio, poi il telefono. Picchietta col piede sul pavimento e sospira.

«I ragazzi sono gente per bene. Sono sicuro che vi piacerete» mi dice estraendo un biglietto da visita. «Comunque, per qualsiasi cosa, altri immobili o curiosità, non esiti.»

Ne ho già un paio. Lo fisso per qualche istante, incredulo. Prendo il biglietto, annuisco e me lo metto in tasca.

«Provo a sentire a che punto sono.» Mi mostra il telefono. «Ah, sul letto dovrebbe esserci un sacchetto per lei.»

Un sacchetto per me? È improbabile che qualcuno abbia lasciato qualcosa per me. Soprattutto, è improbabile che l’abbia lasciata qui.

Al centro della stanza c’è un letto matrimoniale, probabilmente spostato dagli imbianchini e mai rimesso al suo posto. Accanto alla finestra, un grande armadio aperto. Vuoto.

Appoggiata sulle doghe del letto, una grossa busta di carta sembra aspettarmi. C’è un biglietto attaccato con lo scotch.

La costume per Paolo

“La costume.” Non capisco.

Ne estraggo un paio di calze beige e dei jeans. Non sono miei e profumano di pulito fresco. Scorgo un paio di stivali a punta in cuoio marrone. Deve per forza esserci un errore. Cosa dovrei farci?

Poi vedo la camicia, il cappello, le macchie.

Impossibile.

Li dispongo sul letto e rivedo la persona che li ha indossati.

È passata una vita.

L’abito delle cose in sospeso che ritornano.

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Quarant’anni prima

1. Signor Ettore

Cinque minuti alle due e sono già in postazione.

Fingo di sistemare i faldoni sul ripiano vicino alle vetrate nel frattempo che aspetto.

Le stanze, che oggi formano l’Ufficio Tecnico, inizialmente erano destinate all’Amministrazione, ma quando il Signor Ettore è diventato caporeparto della sala macchine e del magazzino, le cose sono cambiate alla Ge.L.L.A, partendo dal nome stesso dell’azienda, composto da iniziali la cui provenienza non interessa quasi più a nessuno, tant’è che molti lo scrivono addirittura per intero. Quella che oggi è una fabbrica tra le più ambiziose e innovative nel settore delle viterie e bullonerie, una volta era poco più grande di un garage biposto.

La sirena segna le due e, improvvisamente, tutto accade. Ogni operaio inizia la sua manovra silenziosa e collaudata: c’è chi sistema le ultime cose sui banchi e nei carrelli, chi aveva già smesso di lavorare e aspetta la fine del turno fingendo di riordinare, e chi usa la pistola ad aria per soffiarsi via di dosso i residui della giornata.

L’intento è comune. I movimenti sono coordinati.

Li vedo dirigersi verso la porta degli spogliatoi, come se qualcuno stesse inclinando il pavimento e loro fossero biglie che rotolano, inesorabilmente, verso l’unica via d’uscita.

Il Signor Ettore ha apportato diverse modifiche funzionali al luogo: la viabilità tra i reparti, i segnali a terra e le indicazioni sugli scaffali fanno sì che gli operai non si pestino i piedi a vicenda.

Dal mio ufficio ho una visuale privilegiata e, spesso, m’incanto a osservare quella coreografia silenziosa, fatta di inerzie e gesti ripetuti.

Alle due e cinque, la stessa porta che aveva risucchiato gli operai, si apre di nuovo e ne sputa fuori altri. Questi, con la stessa organizzazione dei loro predecessori, si sistemano, impugnano i loro attrezzi e prendono posizione. Cominciano a lavorare.

È un semplice cambio turno, ma sembra una danza. Uno spettacolo di organizzazione che va in scena quasi tutti i giorni.

È stata un’idea del Signor Ettore quella di effettuare il cambio turno evitando che i dipendenti si accavallassero. Inizialmente ci furono dubbi da parte della direzione, poiché quella scelta comportava lo stop totale della produzione per cinque minuti, cinque giorni a settimana. Un buco produttivo di venticinque minuti settimanali. Follia.

Il Signor Ettore, però, è riuscito a convincerli. Ha sempre privilegiato la qualità delle condizioni lavorative, piuttosto che la quantità.

Il cambio turno era un esperimento anche per lui e, come per molte altre scelte, ha avuto ragione.

Tutti vogliono bene al Signor Ettore. La sua stazza imponente, i capelli a spazzola e la possente mascella sono il perfetto involucro del suo carisma.

Negli anni ha aiutato diversi dipendenti anche al di fuori del lavoro, trovando una casa a chi non aveva conoscenze e assistendo nel trasloco chi non aveva abbastanza braccia. Ha persino accompagnato all’altare alcune impiegate. Per molti ragazzi è un vero e proprio punto di riferimento.

Nella zona industriale, qui in frazione Perla, è ambito da quasi tutti i proprietari. Capita addirittura che aziende concorrenti facciano infiltrare alcuni dipendenti per poter carpire i suoi metodi di lavoro. Lui li becca sempre, ma li gestisce con estrema eleganza.

Tutti vogliono bene al Signor Ettore. Nessuno lo chiama per cognome, ma gli riservano il Signor davanti al nome, per conferirgli l’autorevolezza che merita.

Per me è più complicato. Potrei chiamarlo come fanno tutti gli altri, ma sarebbe strano. Per cognome, peggio ancora. Rispetto alle altre persone, per me sarebbe più semplice, e questo lo rende più complicato.

Il Signor Ettore è mio padre.

2024-10-10

Aggiornamento

250 copie sono, probabilmente, 249 copie più di quante ne potessi immaginare. Una ero sicuro la prendessero i miei genitori. La campagna è agli sgoccioli e i bilanci veri e propri li devo ancora fare. La sensazione è che io abbia passato più tempo a ringraziare le persone, più che a cercare di coinvolgerle. Oggi sono grato e voglio esserlo anche domani, dopodomani, e così via. Grazie. Vi abbraccio.
2024-08-27

Aggiornamento

Raggiungere l'obiettivo delle 200 copie di certo non mi rende uno scrittore importante, ma mi dà importanti indicazioni sulle persone. È con questa consapevolezza carica di gratitudine, che ringrazio di cuore tutte le persone che hanno investito tempo, voce e soldi per sostenermi e spingermi verso questo traguardo🙏🏻 La campagna continua e ho ancora bisogno del vostro supporto verso i prossimi traguardi! Con la speranza di incontrarvi presto, inizio ad abbracciarvi da qui. Grazie davvero a tutti❤️

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Marco Sgarrella
Marco Sgarrella, nato nel 1988 nella provincia di Novara, lavora come magazziniere. Cresciuto tra il lago d’Orta e il lago Maggiore, sviluppa fin da giovane una passione per la scrittura, dedicandosi a poesie e brevi racconti sin dal termine delle scuole medie. Parallelamente, coltiva l’interesse per la recitazione, iniziato durante l’adolescenza. “Hai ancora tempo” segna il suo esordio come romanziere.
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