Elena, architetta solare e determinata, si innamora di Diego, un nuovo collega, affascinante ma tormentato. La loro relazione, intensa e segreta, è fatta di attese, passione e silenzi… ma anche manipolazioni e bugie. Dieci anni dopo, Maria, travolta dal dolore, ricostruisce la verità sull’uomo che le ha spezzato il cuore e portato via la serenità.
Tra simbolismi fiabeschi e introspezioni, il romanzo smaschera l’oscura figura del “lupo”, mettendo in scena la lotta tra illusione e realtà e il difficile cammino verso l’autoconsapevolezza di due donne unite dal filo rosso di un amore pericoloso.
Prefazione
Negli ultimi anni ho sentito sempre più frequentemente parlare di relazioni tossiche. Ho riflettuto molto sull’argomento, tanto da decidermi a scrivere una storia.
La tematica è, secondo me, strettamente correlata a quella della violenza, perché chi vive una situazione del genere in qualche modo subisce una manipolazione tale da divenire una violazione della propria identità e della propria persona. Le vittime di una storia tossica sono condotte a modificare il proprio essere, sono plagiate per essere a immagine e somiglianza dei propri aguzzini, sono tradite nei loro sogni, nella loro fiducia, sono umiliate, illuse, indotte a sentirsi sbagliate e in colpa per la situazione che stanno vivendo. Anche queste sono forme di violenza che segnano l’animo fino a farlo sgretolare e che lasciano segni profondi, anche se poco visibili.
È ciò di cui parlo in questo libro, intrecciando la tematica con la classica fiaba di Cappuccetto Rosso. Ho sempre amato particolarmente le fiabe, da piccola ne divoravo di ogni tipo e, da grande, non nego di amarne ancora ogni rilettura e rivisitazione, sia testuale che cinematografica. L’intro della storia è proprio la parte iniziale di questa fiaba classica. Di Cappuccetto Rosso esistono diverse versioni: quella di Perrault, che si conclude con la morte di Cappuccetto per mano del lupo cattivo che la divora, e quella dei Fratelli Grimm, diffusa in due versioni. La prima, in cui Cappuccetto e la nonna sono salvate dall’arrivo del cacciatore; la seconda, in cui l’intrepida Cappuccetto riesce a salvarsi da sola, barricandosi nella casetta della nonna e facendo affogare il lupo in un pozzo. Ho preferito la versione dei Fratelli Grimm, perché il messaggio che voglio lanciare con questa mia storia è un messaggio positivo, un messaggio di rivalsa e di rinascita. Il titolo è esplicativo, Ho incontrato il lupo e…, perché quello che vorrei far passare è che ogni vittima ha una possibilità: quella di non seguire, o meglio, di non continuare a seguire il lupo nel bosco. Nel testo leggerete che Cappuccetto a un certo punto si rende conto che “la porta era sempre stata aperta”. Quando viviamo in una situazione di manipolazione, a qualsiasi livello, abbiamo sempre la possibilità di uscirne. Con questo non voglio certo affermare che sia semplice farlo, né tantomeno che le vittime debbano in qualche modo essere colpevolizzate. Vedete, quando si vive in una relazione tossica di qualsiasi genere è come vivere in una scatola di cartone. La scatola può anche essere piccola, stretta, angusta, ma è sicura, perché la conosciamo bene e, ormai, crediamo di saperla gestire: è la nostra scatola! Il problema prevalente è che, chi si trova ingabbiato in una situazione del genere, pur avendo la sensazione costante di star male e di sentirsi soffocare, trova in quella dinamica, in quell’altalenarsi di momenti belli e terribili, la sua sicurezza, la sua routine, la sua casa. Ed è difficile, anzi, quasi impossibile uscire dalla scatola. Quasi sempre se questo accade è grazie al cacciatore che in qualche modo ci viene a salvare. Quasi sempre deve intervenire un elemento esterno, traumatico e forte, che ci permetta di uscire dall’incubo. È “lo strappo nel cielo di carta” di Pirandello, “l’anello che non tiene” di Montale, qualcosa che, improvvisamente e in maniera del tutto inattesa, ci faccia guardare la situazione da un altro punto di vista e ci permetta di avere la forza di uscirne. Finché siamo nella scatola non ci muoviamo, solo se qualcuno o qualcosa smuove leggermente il coperchio possiamo riuscire a venirne fuori. Ovviamente questo è il mio punto di vista, del tutto opinabile, ma è quello che si legge fra le righe di questo racconto.
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Non nego che molte volte ho pensato a come possano tante donne, perché sono tante, rimanere invischiate in queste situazioni; tante volte mi sono chiesta come possano non accorgersi di quello che stanno subendo. Poi mi sono calata in alcuni racconti e ho compreso. È semplice: loro non vedono. E non vedono per svariati motivi, non certo perché siano più stupide o più deboli delle altre. Non c’entra quanto siamo forti o determinate, perché in queste situazioni perdiamo di vista noi stesse e la nostra identità. Perché? Perché stiamo attraversando un momento particolarmente complesso per cui siamo fragili, perché abbiamo bisogno di qualcosa a cui aggrapparci o perché, semplicemente, noi donne crediamo nell’amore. Non importa se siamo cresciute con le fiabe sui principi azzurri o guardando Candy Candy; non importa se abbiamo letto Orgoglio e Pregiudizio o uno dei tanti meravigliosi romanzi che nella società attuale spopolano nel BookTok. Non cambia. In ogni storia che ci appassiona e ci prende l’amore trionfa, il bene vince sul male e, leggendole o guardandole, noi ci sentiamo soddisfatte per questa vittoria. Nella nostra mente l’amore, quello vero, è anche un po’ sofferenza, sacrificio, superamento di difficoltà, un cammino in salita da percorrere in due. Non è necessario avere lo spirito da crocerossina, noi crediamo tutte di poter fare la differenza per la persona che amiamo, magari non ci illudiamo di cambiarla, ma crediamo che andrà tutto bene. Tutto meraviglioso e probabilmente anche vero… tranne quando ci innamoriamo della persona sbagliata. Tranne quando colui che abbiamo di fronte, che può anche apparirci come un agnellino indifeso da salvare, come un gattino cuccioloso da coccolare o come un cane fedele che sarà sempre al nostro fianco, cela in realtà il lupo cattivo. E una volta che incominciamo a seguire il lupo cattivo e che finiamo nella scatola… è dura!
Perché ho scritto questo libro? Perché non è facile riconoscere la persona sbagliata. La nonnina dirà a Cappuccetto: «Potrei dirti tante cose, ma il lupo, Cappuccetto, devi riconoscerlo da sola». Ho scritto per tutte le donne e perché ho una figlia. Il sentimento genitoriale è sempre fortemente presente in questo romanzo. Io credo che l’arrivo di un figlio ti cambi completamente e definitivamente la vita. In positivo, certo, e lo vedrete leggendo. Quando hai un figlio, o comunque ami veramente e profondamente qualcuno, vorresti preservarlo e proteggerlo dal male. Vorresti che avesse il meglio e che non soffrisse mai. Ti piacerebbe rinchiuderlo sotto una campana di vetro per proteggerlo sempre. Ma sai che non è possibile. Se sei una persona consapevole, sai che non potrai in nessun modo evitare che quella persona si faccia del male, perché il male è necessario per crescere.
È inutile: se un bambino non si brucia il dito una volta, difficilmente imparerà quanto possa essere pericolosa una fiamma. Noi possiamo dirglielo e ripeterglielo all’infinito, possiamo raccomandarci con lui e strappargli anche delle promesse. Bugie. Sono solo bugie. Adesso ditemi, di tutte le cose che vi hanno ordinato di non fare nella vita, quante non ne avete davvero fatte? Io credo siano poche. Inutile impartire sermoni che, come diceva mia madre, “entrano da un orecchio ed escono dall’altro”. Possiamo perderci in discorsi meravigliosi, ma chi abbiamo di fronte, in realtà, non ci ascolterà e ha solo un modo per capire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato: viverlo. Questo non vuol dire però che siamo tutti condannati a bruciarci irrimediabilmente la mano sul fuoco. Può aiutarci l’esperienza degli altri… ma non attraverso le raccomandazioni, forse può farlo il racconto. Il racconto è l’unica cosa che può aiutarci. Perché il racconto, a differenza della raccomandazione, non viene vissuta come una cosa che ci cade dall’alto e che a volte vogliamo appositamente violare e sfidare. Il racconto mette in gioco il meccanismo dell’immedesimazione e dell’empatia. Attraverso il racconto noi viviamo la vita di un’altra persona. Umberto Eco scrive:
Chi non legge a settant’anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto cinquemila anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro.
Credo fermamente in questo concetto e credo fortemente nel potere delle storie. Per questo dedico questo libro alla mia bambina e a tutte le donne del mondo, sperando che la mia penna sappia cogliere i passaggi e i dettagli che permettano loro di riconoscere quando le cose non vanno proprio come dovrebbero. Spero di riuscire in qualche modo a strappare, o anche solo fare un forellino, in almeno un cielo di carta.
Buona lettura.
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