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I miei 80 giorni

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Un viaggio lungo ottanta giorni e una vita intera. Tra voli, isole e nuovi incontri, c’è un uomo che cerca di ricomporsi pezzo dopo pezzo. C’è una partenza che non è solo fisica ma anche emotiva, un giro del mondo fatto di tramonti, silenzi, lettere mai spedite e disegni lasciati come tracce. Nella vita, c’è chi sceglie di andarsene per ritrovarsi, chi ha perso qualcosa che non può più recuperare ma prova lo stesso a perdonarsi, chi viaggia con un dolore che non si scrolla mai di dosso e che porta con sé come un compagno silenzioso, tappa dopo tappa.
Una testimonianza sincera, a volte dura, altre volte commovente, sul coraggio di mettersi in discussione e riscrivere la propria vita anche quando sembra troppo tardi.

I miei 80 giorni

Da bambino non amavo leggere, preferivo rimanere davanti ai videogiochi, quelli che solo per capire come funzionavano ci mettevi giorni. Nonostante tutti gli adulti che appartenevano al mio mondo mi dicessero di leggere, a me non piaceva e non mi ci mettevo proprio.

A nove anni l’unico pensiero era passare le giornate a divertirmi sulla spiaggia di Roseto degli Abruzzi: era una distesa di sabbia enorme, per i miei occhi di bambino. Le giornate passavano veloci e insieme ai miei amici giocavamo a fare le piste: Danilo, Ugo e io, amici per la pelle!

Danilo amava il calcio, ma pur di stare insieme a noi a giocare, si accontentava di una partitella veloce e di arrivare sempre ultimo alle gare delle biglie. Ugo invece era il mio miglior amico, a lui andava bene tutto, bastava stare insieme.

Quando arrivò l’estate del 1982, il momento magico per l’Italia che giocava i Mondiali e che ci teneva incollati alla TV durante le sfide più importanti, tra una partita e una pista, iniziai a leggere il libro, “quel libro” che quarantuno anni dopo mi portò a girare il mondo da solo, proprio come fece Jules Verne. Avventuroso, ricco di colori, di viaggi: era Il giro del mondo in 80 giorni.

Sognavo un giorno di poterlo fare anche io, viaggiare come Mister Fogg. La cosa che mi affascinava era la sua capacità di non arrendersi mai, di trovare sempre una soluzione senza mai lamentarsi, superare gli inconvenienti che accadevano durante le varie tappe; a tutto c’era sempre una soluzione.

Così un pomeriggio qualunque, in un momento di stasi lavorativa, decisi di organizzare il mio viaggio in 80 giorni.

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Nel febbraio 2023, quando la stagione del mio B&B a Lipari non era ancora iniziata, decisi che era arrivato il momento di dedicare del tempo a me stesso e iniziai a navigare su Internet per ottenere le prime basilari informazioni del neofita delle esplorazioni in solitaria. La stagione sarebbe iniziata ad aprile, quindi avevo tempo per organizzare al meglio il mio tour. Iniziai da qualche volo: la California, le Hawaii, le Fiji, la Nuova Zelanda, l’Australia, tutti luoghi che non avevo mai visitato. Ultima tappa: Singapore, una tappa più tecnica e di curiosità architettonica.

Volevo anche ritornare a Bali perché era stato il mio primo viaggio internazionale. Gli zii mi portarono con loro insieme a mio cugino Giacomo a visitare quest’isola selvaggia e bellissima. Avevo dodici anni, facevo la seconda media e quei posti mi colpirono; all’epoca non si viaggiava molto. Mi ricordo che al mio ritorno la maestra mi chiese di parlare di questo viaggio a tutta la classe. Feci girare le foto, oggi sarebbe assurdo con tutte le possibilità che si hanno. Vedevo i miei compagni incuriositi. Mi sentivo molto fortunato.

Ora, tornare con gli occhi di un me diventato adulto a Bali mi incuriosiva. Sarebbe stato un po’ come ricominciare.

Avevo già fatto parecchi viaggi in solitaria, ma mai così lunghi. In Inghilterra, per esempio, avevo lavorato come volontario nelle fattorie per tre mesi, a cui se n’erano aggiunti altri due. L’anno precedente avevo vissuto a Mykonos per qualche mese, così come in Brasile.

Sapevo che in quel momento della mia vita ero più fragile del solito, ed era probabilmente un rischio partire per quel viaggio, però decisi che era giusto realizzare il mio sogno. Pensai anche che lasciare mio figlio Nicolò per 80 giorni, da solo, ad affrontare la sua esperienza universitaria in una città per lui nuova, fosse una prova importante per entrambi; anche lui come me stava vivendo la sua avventura e questo ci univa nella volontà di comprendere quanto fosse utile questo passaggio.

Molto tempo prima di organizzare il mio viaggio gli avevo chiesto cosa ne pensava di questo mio desiderio. La sua reazione mi aveva confortato e mi aveva fatto capire che avevo contribuito a crescerlo con la capacità di comprendere quello che era importante per gli altri: mi aveva risposto che era una cosa bellissima e che dovevo perseguire il mio sogno.

Con Nicolò ho un bel rapporto: anche lui è curioso come me. Dopo la separazione da sua madre, sono sempre stato un punto di riferimento per lui e abbiamo condiviso tante passioni. Per questo sapevo che mi avrebbe capito.

In quel periodo della mia vita mi sentivo come paralizzato, nelle sabbie mobili. Il B&B su cui avevo investito molta energia mi impegnava da marzo a ottobre, ma non avevo più stimoli per fare altro. Anche alcuni accadimenti avevano incrinato la passione per il mio lavoro di designer di interni, e quindi avevo deciso di chiudere lo studio e di lavorare da solo in casa.

La mia relazione, un amore durato tre anni, era ormai terminata da dodici mesi.

Lei era l’amore della mia vita. Quando mi resi conto dell’errore che avevo commesso, cercai di riconquistarla per un anno intero ma non riuscii a cambiare il corso di eventi che quell’insana decisione aveva scatenato.

Sentivo una forte sofferenza interiore che non avevo mai provato prima. I silenzi erano la mia arma preferita per punirla quando le cose non andavano, la ignoravo per settimane… avere davanti la donna che mi faceva impazzire e riuscire a ignorarla e a far finta di essere altrove…

Avevo conosciuto Giulia anni prima in aeroporto a Mykonos. Stavo lavorando all’apertura di un albergo nella baia di Agios Stefanos e vivevo in un alberghetto sulla spiaggia a Megali Ammos, il Markos Beach Hotel. Era un alberghetto molto semplice con sei camere, ma per me bellissimo. Ad Alice non piaceva perché non c’era la piscina e lo trovava troppo spartano per le sue esigenze. Si trovava su una spiaggia con pochissima gente e vicino al centro.

Stavo aspettando Alice, la mia compagna di allora che veniva a trovarmi per qualche giorno. Giulia aveva una camicia bianca di lino, un pantaloncino di jeans, le Birkenstock (all’epoca non erano di moda) e un costume nero che si intravedeva sotto la camicia. Aveva capelli lunghi castani e quel giorno erano raccolti in una morbida coda. Io, manco a dirlo invece, avevo delle infradito nere, un costume e una maglietta in tinta. Il nero è il mio colore.

Aveva un profumo buonissimo, quel profumo maledetto che in futuro mi avrebbe costretto a girarmi per cercarla in ogni luogo dove mi fossi trovato… pensavo sempre di girarmi e vederla lì. Credo fosse il Narciso Rodriguez.

Stava aspettando la sua amica Francesca, che l’avrebbe raggiunta dopo aver perso l’aereo il giorno prima.

Eravamo entrambi agli arrivi, ci scambiammo qualche occhiata, lei timida e io un fesso qualunque.

Volevo dirle qualcosa e con enorme fatica le chiesi se il volo da Milano fosse in ritardo. Una persona normale avrebbe guardato il tabellone, ma io volevo cercare un pretesto per parlare con lei.

Lei mi rispose di sì e scoprii quel sorriso che ancora oggi ricordo come se non fosse passato tanto tempo.

Francesca arrivò prima di Alice, mi ricordo ancora come mi osservò: i suoi occhi si muovevano come una pallina su un tavolo da ping pong, a destra e a sinistra, guardandoci prima uno e poi l’altra senza capire esattamente cosa stava accadendo. «Avevo già capito tutto guardandoti le gambe» mi disse qualche mese più tardi a una cena. L’uomo pitturato, così mi chiamava Francesca per via dei miei tatuaggi: lei sosteneva che Giulia si fosse innamorata di me solo per le mie gambe.

Io e Giulia ci scambiammo i numeri di telefono velocemente, si allontanò con Francesca e appena fuori dalle porte scorrevoli degli arrivi si girò per guardarmi.

Nei giorni seguenti, Giulia mi invitò diverse volte in qualche locale o spiaggia e io cercavo di darle dei consigli sui posti migliori da vedere sull’isola.

Conoscevo Mykonos benissimo, perché la amavo profondamente.

Arrivai a Mykonos per la prima volta a ventun anni dopo aver finito la stagione estiva come animatore in un villaggio in Calabria. D’estate lavoravo nei villaggi, d’inverno studiavo e nel week-end lavoravo in due locali di Milano. Ora ero lì per la ventesima volta e mi trovavo a vivere su un’isola a cui ero molto affezionato. Conoscevo ogni baia, ogni punto, odiavo quando la gente mi parlava di Mykonos come se il Tropicana fosse la cosa più figa, quando invece era la più trash. Andavo sempre da Joanna a dormire al Markos Beach, che oggi è gestito dalla figlia Mircella. Non volevo stare in nessun altro posto perché lì mi sentivo a casa. Loro erano gentili, la vista sulla baia era uno spettacolo per i miei occhi. Di fronte alla baia poi c’era Tania che aveva la taverna Niko’s beach. Era il mio ristorante preferito e lei mi trattava come un figlio. Due anni prima mi aveva chiesto se volessi progettarle l’albergo ad Agios Stefanos e io avevo accettato immediatamente con il mio solito entusiasmo. Progettare architetture era la mia passione, non l’ho mai visto come un lavoro. Avevamo contrattato che il vitto fosse compreso nella mia parcella… era una proposta assurda e ci divertì molto.

Io e Giulia non ci incontrammo mai a Mykonos, Alice era venuta per me e la nostra relazione, anche se scricchiolante, non mi permetteva di avvicinarmi a lei. Avevo detto a Giulia che ero lì con un amico. Non definivo mai Alice come la mia fidanzata. Dopo un mese, a fine ottobre tornai a Milano, il mio lavoro era concluso. Decisi di lasciare Alice, non ero felice e non sentivo nulla che mi potesse tenere legato a lei.

Alice era un avvocato, una di quelle sempre perfette, sempre coordinate, che conoscono tutti. Quelle che se vuoi fare una serata tu e lei tranquilli devi prima andare a un aperitivo perché ti deve far conoscere quello o quell’altro… «Vedrai questo può esserti utile ecc ecc.» Io non avevo nessun interesse per quel mondo e il mio modo di vivere ecologista, vegetariano e senza auto era lontano da quella gente in doppiopetto che faceva battute di bassissimo livello, soprattutto sul mio conto.

Era meglio lasciare Alice a quel mondo: non mi apparteneva e avevo bisogno di trovare il mio posto e la mia vera identità. Nei mesi successivi cominciai (senza immaginarlo) a lavorare al mio progetto di vita perché credevo potesse essere la cosa che mi avrebbe reso felice e perché avrei realizzato il mio sogno.

Vivere e lavorare al mare.

Anni prima con i miei amici Ilaria e Aldo avevo cercato di aprire un B&B a Lipsi, una piccola isola della Grecia, ma non ci ero riuscito e il tutto era sfumato in poco tempo. Una volta abbandonato il progetto “Grecia” partii per Lipari con Nicolò per un week-end lungo.

Sapevo che vedere luoghi fuori stagione, senza il caos del turismo di massa, era la mia passione. Dopo i primi giorni, girando tra i punti più belli, ci ritrovammo per caso a svoltare in una stradina di campagna poco battuta e arrivammo a uno spiazzo. Davanti a noi uno dei paesaggi più belli che avessi mai visto, un tramonto pazzesco che illuminava le isole di Salina, Filicudi e Alicudi. Tirai fuori il mio telefono e feci un video. Quando riguardai il video scoprii che il telefono aveva ripreso anche un cartello nella via laterale con scritto VENDESI.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Marco Manna
Nasce a Milano nel 1973. È un designer e un viaggiatore, da anni si dedica alla creazione di B&B ecosostenibili tra Sicilia e Monferrato e ha vissuto in Inghilterra e in Grecia. Padre di Nicolò, a cui deve il suo sguardo più autentico sul mondo, e amante dei viaggi, intraprende il giro del mondo in solitaria dopo una relazione tormentata. Da qui l’idea di dedicarsi alla scrittura come terapia personale, che confluisce in “I miei 80 giorni”, il suo primo libro.
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