Quando squilla il telefono in piena notte non c’è dubbio, è qualcosa di grave, probabilmente di irreparabile: morti improvvise, un colpo di stato, un nuovo attacco a sorpresa a Pearl Harbor… insomma tutto puoi immaginare tranne cose positive, solo disgrazie e tragedie ti aspettano dietro un insistente squillo notturno. Si sa, le catastrofi avvengono solo di notte mentre dormi e sei indifeso. Nella mente di chi veglia al buio, solo la mattina è positiva e salvifica.
Ancora più straziante è l’intervallo tra uno squillo e l’altro… quello è anche peggio dello squillo stesso, ossia quel piccolo silenzio che ti dà il tempo di sperare inutilmente che il misterioso telefonatore si sia stancato, che abbia sbagliato numero o che abbia finalmente capito che a una certa ora non si telefona, perché la gente ha paura del buio e delle notizie notturne. No, squilla ancora! Aspetto un altro paio di intervalli di suono poi rispondo e lo insulto senza pietà, chiunque sia! Intanto il cuore è in gola e sono molto spaventato.
Se insiste così sarà veramente una notizia orribile…aspetto…sembra…no, ancora squilla. Basta! Ho capito, rispondo! Mentre allungo il braccio per afferrare il telefono cellulare, mi sovviene il fatto che la sera è mia abitudine spegnere sempre la suoneria, proprio perché non voglio essere disturbato durante i miei deliri notturni…e allora perché non lo spegni del tutto idiota? Boh, in effetti è una cosa stupida rimanere connesso a un mondo notturno che non vuoi ascoltare. Il cellulare ha una sua vita autonoma, non si fa dominare dall’uomo, anzi è lui, il telefono, che condiziona la tua vita come un dio geloso che ha bisogno della tua attenzione, della tua devozione, continuamente. Comunque… furioso e concitato cerco di afferrare quella specie di ministro della propaganda via satellite che riposa tranquillo, beato e silenzioso sul comodino… ma il cellulare, si sa, ha una sua volontà indipendente, e se decide di riposare… bè, non gli devi rompere i coglioni sennò te la fa pagare! E infatti…come allungo la mano per afferrare il telefono, il giuda maledetto connesso con lo spazio infinito, vede bene di lanciarsi nel vuoto per trovare il modo, scientificamente impossibile, di frantumare ogni angolo del suo prezioso vetro da cui partono tutti i comandi.
Accidenti a me, lo sapevo! L’avevo cambiato non più tardi di una settimana fa!
Tutto questo accade mentre lo squillo penetrante come la risata di una iena davanti a una carogna, non accenna a smettere. Squilla, ma come mai non si illumina questo ordigno malefico?
Si può sapere almeno chi è che chiama a quest’ora di notte?
No, non si può sapere, il telefono non è sul pavimento, almeno tastando qui e là al buio non lo trovo. A dire la verità non trovo neanche il comodino, e neanche il pavimento… intorno al letto è tutto vuoto, mi accorgo di essere ancora sdraiato…ma non mi ero alzato? Mah!
Intanto lo squillo continua senza tregua. Cerco di uscire dal letto, ma una specie di ringhiera me lo impedisce. Poi all’improvviso come se fosse la cosa più naturale del mondo, capisco che è l’ultimo piano di un letto a castello, come quello di quando ero ragazzino… deduco quindi che si esce dai piedi… la scaletta sicuramente non c’è perché non l’ho mai voluta, ho sempre fatto un piccolo salto sia per salire sia per scendere. Il telefono intanto continua la sua tortura cinese senza alcuna intenzione di smettere. Ormai devo capire a tutti i costi chi è che chiama. Salto giù dal letto a castello. La camera è strana, sicuramente non è quella in cui abito ormai da una vita, d’altronde alla mia età non posso certo dormire al piano superiore di in un letto a castello, ma è come se la conoscessi bene, anzi benissimo! Sento russare dalla mia parte sinistra in modo quasi assordante, la riconosco, è sicuramente mia nonna, solo lei poteva arrivare a questi livelli sonori assurdi quasi pirotecnici, arrivo quindi alla conclusione che nel letto sotto il mio c’è sicuramente uno dei miei fratelli.
Ok ora ho capito dove sono…e so dov’è il telefono.
Esco dalla cameretta e vado a tentoni. Subito a destra trovo la porta dello sgabuzzino da cui parte il corridoio lungo e stretto, a destra la camera dei miei, a sinistra mia sorella, a destra in fondo c’è la sala dove dorme, in un mobile letto, l’altro fratello… davanti a me dovrebbe esserci la porta d’ingresso e a sinistra la cucina in cui si trova il cane che russa anche lui alla grande, accucciato sotto il termosifone…il telefono dovrebbe essere posizionato su un mobiletto proprio davanti alla porta d’ingresso. Penso al condizionale perché è tutto buio e il silenzio irreale è rotto solo dal continuo squillo del telefono e dal russare di mia nonna… e del cane!
Possibile che nessuno si svegli con questo suono perforante? Lo sento solo io?
Arrivo al telefono, è tutto buio ma lo vedo lo stesso… è di quelli grigio topo standard forniti in canone dall’azienda telefonica. Alzo la cornetta… una voce amata:
«Micio, hai sbagliato numero…»
«Mamma!» Solo lei mi chiamava così!
Mi sveglio di soprassalto dall’emozione e dallo spavento!
II
Lunghe ore inutili
La mattina successiva a un sogno che ti ha sconquassato è sempre strana, hai una reazione confusa, ti sembra di essere uscito da un film in cui sei stato interprete e spettatore allo stesso tempo, ma in nessun modo sei riuscito ad arrivare ai titoli di coda. Mia madre… spesso mi diceva che se alla mattina quando ti svegli vuoi dimenticarti i brutti sogni, devi grattarti la testa. Non ho mai creduto a queste cose, ma a scanso di equivoci mi guardo bene dal farlo. Non ho alcuna intenzione di scordare quel che è successo o quel che ho sognato la notte scorsa. La voce di mia madre al telefono mi ha disarcionato dalla groppa della mia vecchiaia. Era lei, non c’è dubbio! Chi può non riconoscere la voce della propria madre? Faccio attenzione a non grattarmi la testa, anche se ne avrei voglia…non so perché, è strano, più una cosa non la puoi e non la vuoi fare, e più dentro di te c’è una forza quasi impossibile da contrastare che la vuole fare assolutamente! Quante volte sei stato preso dalle convulsioni di una risata con qualche tuo amico di sventura, perché di questo si tratta, che so, durante un funerale? Una situazione di tensione a scuola? O durante il silenzio potente di un concerto? Vorresti scomparire, morire, ma allo stesso tempo sei felice di subire questa tortura e vuoi goderti quel momento di autolesionismo così terrificante! Quante volte mi è successo…un’infinità! A distanza di così tanto tempo quelle risate in preda agli spasmi mi mancano da morire, quegli sghignazzi strozzati e disperati che quando sei riuscito a calmarti in qualche modo ti senti spossato, distrutto nel fisico e nella mente, con i muscoli addominali rigidi dall’acido lattico, come se avessi scaricato a mani nude un intero camion di blocchetti di cemento. Che bella sensazione lasciavano quelle risate terribili e meravigliose!
Ho deciso! Non voglio dimenticare in nessun modo il sogno della scorsa notte, anzi…
Nel frattempo non so cosa fare e come colmare tutte queste lunghe ore inutili che mi separano dalla prossima notte. Dal prossimo buio.
III
Le scuole medie
Sono passate diverse notti da quel sogno, ma la seconda puntata di quella specie di caccia al tesoro non è più arrivata. Sono rimasti solo i soliti sogni malinconici che in genere fanno i vecchi, ormai quelli non mi interessano più, quindi ogni mattina resetto tutto, come da istruzioni materne, con una bella grattatina di testa e aspetto impaziente il prossimo tunnel notturno.
I pensieri però sono rimasti, quelli sì, come il consiglio di grattarmi la testa per dimenticare quel che non mi piace, e la mente indaga ancora a lungo su ogni particolare di quel sogno.
Perché mia madre mi aveva detto che avevo sbagliato numero chiamandomi al telefono di una casa connessa a un tempo così remoto? Ma era lei che aveva chiamato? Non ero certo stato io ad aver telefonato… credo di aver solo risposto… Qual è allora il numero giusto? Chi mi stava cercando? Per dirmi cosa? Troppe domande per un semplice sogno!
Però, che bella sensazione è stata quella di saltare giù dal letto a castello come facevo quando ero studente alle medie…Aiuto, le scuole medie! Come mai sto pensando a quell’orrore!
La scuola per me è sempre stata una vita parallela rispetto alla mia, intendo la mia vita vera, cioè, quella che preferivo, dove mi piaceva vivere, l’altra la odiavo, o meglio, la ignoravo, non esisteva proprio, non era vita quella, era come un binario morto che mi seguiva come un’ombra e sul quale mi avevano collocato, obbligando il mio corpo a percorrerlo volente o nolente. Io ero da un’altra parte, per me la scuola è sempre stata solo ed esclusivamente un binario morto che tenevo in vita come la rana di Galvani. Non riesco proprio a ricordare una sola cosa positiva di quegli anni terribili, con quei “professori” … ho un po’ di ritrosia a chiamarli così ma in qualche modo lo devo pur fare, loro che tanto apprezzarono il mio operato e la mia presenza in classe, che decisero di farmi rimanere, in un moto di generosità e affetto, un anno in più, aggiungendolo agli altri tre, quindi quattro al prezzo di tre! Pensa che fortuna! Per me che ogni secondo a scuola era infinito e pesante come il mondo sostenuto da Atlante, mi ritrovai a scontare un altro anno di reclusione. Una enormità. Probabilmente ero pure innocente… Chissà!
Come mai sto ritornando a quei giorni sciagurati? Comunque… le notti sono lunghe e un pensiero vale l’altro, in attesa di una nuova chiamata dal mondo dei miei fantasmi.
Certo che la vita è proprio strana, tutto avrei immaginato tranne di diventare insegnante… e già questa cosa ancora adesso non l’ho capita, ma insegnare proprio alla scuola media dalla quale sono uscito calpestato a dovere?
Non mi sono mai sentito un “professore”, perché in tutta verità non lo sono mai stato, anche se tutti mi chiamavano così ed ero stato assunto con quella qualifica. I professori e tanto più i maestri, quelli veri intendo, sono merce rarissima e sono ben altra cosa da me… e da molti altri che pensano e sono convinti di esserlo! Evidentemente nel mondo della scuola c’era bisogno di qualcuno un po’ particolare che aiutasse i ragazzi a valicare, senza troppe ferite, quell’età di mezzo così difficile che connette le elementari alle superiori…e chi meglio di me che non ho capito mai un cazzo?
È stato come se lo Zeus dell’educazione a un certo punto mi avesse detto: «Ascoltami bene, tu devi stare qui! Oltre ai tuoi meravigliosi quattro anni di scuola media ti offro un bonus, un’autoricarica di altri trentasette della stessa, per noi dei dell’olimpo dell’istruzione la tua confusione mentale è preziosa! Quindi non tentare di ribellarti, per te ho deciso così!»
Dunque: trentasette più quattro fanno quarantuno anni di confino… il tutto senza la condizionale, senza uno sconto di pena!
Incredibile, sono stato premiato per demeriti sul campo! Specialista in confusione!
Una cosa però l’ho capita: quando la vita ti assegna un posto è inutile ribellarsi. Io ci ho provato, tante volte, ma per un motivo o per l’altro, sono stato continuamente riportato al punto di partenza: «Tu devi restare qui!» è sempre stata la sentenza di Zeus, il numero uno dell’olimpo pedagogico! Alla fine mi sono rassegnato e ho seguito quella strada, mi sono lasciato guidare dai numi dell’insegnamento.
Non vorrei tornare a quei tempi, ma ormai ci sono dentro e tanto vale lasciarmi cullare dai ricordi…tanto che devo fare?
Ricordo ogni cosa, come tutte quelle facce odiose, quegli insegnanti boriosi e incompetenti, gli amici di scuola…che poi amici non sono stati mai… gli amici veri erano nell’altra vita, quella parallela, la mia. I compagni di scuola erano solo amici pro tempore, forse è meglio definirli dei compagni di cella. Una volta uscito da quella specie di casa circondariale, sigillavo il tutto in un pacchetto unico chiamato scuola con la dicitura mentale “per oggi ho già dato, ho scontato la mia pena, passo e chiudo a chiave, butto il tutto da qualche parte del dimenticatoio, domani si vedrà, il pomeriggio è lungo e tutto da vivere”. Amen!
Per accedere alla mia seconda vita, ossia quella pomeridiana free school, dovevo inevitabilmente passare le forche caudine del pranzo, dove venivano elencati tutti i miei doveri e le mie mancanze, soprattutto quelle scolastiche ovviamente, il tutto finemente affrescato con la facile previsione di un inevitabile futuro da mendicante fallito, probabilmente anche drogato. Era chiaro che avevo la sfortuna di vivere circondato da geni, chiunque era meglio di me in tutto e per tutto, anche il tipastro che viveva sotto casa, che era un assoluto idiota a detta di tutti, era agli occhi di mia madre più studioso e soprattutto più ordinato! Per non parlare poi dei miei fratelli che erano tutti primi della classe, dei cugini premiati con medaglie al valor di pagella, altri che a tre anni facevano le parole crociate e vincevano concorsi letterari… e così via, insomma anche invertendo l’ordine degli addendi il risultato non cambiava: sei un coglione! Ed è proprio così! Tu sei esattamente come gli altri ti riconoscono, e non importa se qualcuno di loro, come i tuoi genitori per esempio, ti dicano certe cose convinti che sia per il tuo bene, alla fine anche tu ci credi e ti identifichi in quella realtà congenita che sicuramente rimarrà sempre quella fino al termine dei tuoi giorni.
Sei nato coglione e pazienza! Fattene una ragione!
Marta (proprietario verificato)
Questo libro è stato un carico di emozioni che trascinano la mente lontano nel tempo… Mi sono ritrovata tra i banchi di scuola con gli occhi, l’anima e la voce dell’autore. Consiglio davvero a tutti di leggerlo! Grazie Michele!