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Ma prima che il loro solito gioco potesse continuare, Silvia sussultò e gridò emozionata e impaurita al tempo stesso: «Babbo, babbo! Hai visto, babbo? Una stella si è tuffata proprio nel nostro pozzo! Guarda laggiù! Andiamo a vedere, presto!».
Il papà di Silvia sobbalzò, preso alla sprovvista dall’agitarsi della bambina: «Perdindirindina! Cos’hai visto? Dove? E non continuare a saltellare sulle mie ginocchia!».
«Nel pozzo, babbo! Una stellina nel pozzo!» E alzatasi in piedi cominciò a tirare il papà, sapendo che l’avrebbe certamente seguita, appena fosse uscito dal torpore di completo relax in cui si erano immersi. Ma proprio mentre l’uomo, tanto grande quanto buono, stava per accogliere il desiderio della sua bimba, la mamma di Silvia si affacciò alla piccola finestrella della porta d’ingresso e li chiamò affettuosamente: «Ehi, voi due! Si è fatto tardi. Forza, Tatina, corri a lavarti i denti, ché poi ti metto a nanna».
«La mamma ha ragione, corri a nanna, e domani mattina ti prometto che andremo a cercare quello che hai visto» disse il papà rimettendosi comodo e dandole un gran bacio sulla guancia. Ma poco dopo che entrambe furono entrate, tra una protesta e un lamento, il papà si diresse verso il piccolo pozzo, in un angolo del giardino, poco oltre il portico. Era quasi certo che quelle della piccola fossero solo fantasie, ma era bastato così poco per risvegliare il suo animo di bambino e la sua voglia di avventura, che non resistette ad affacciarsi oltre il bordo in pietra per controllare. Sperava in cuor suo di trovare qualcosa. Niente, probabilmente stava sognando a occhi aperti… pensò, e andò a dormire anche lui, un po’ sconsolato.
«Iacrù! Iacrù, ma dove stai andando?»
«Dai, sbrigati, fifone. Se ne sono andati tutti a dormire.»
Una piccola lepre e un ranocchio saltellarono curiosi, risalendo il vialetto erboso che conduceva dai campi alla casetta, giungendo fino al giardino. Filip, questo era il nome del giovane esemplare di lepus europaeus, aveva il dorso grigio brizzolato di nero, il corpo color nocciola e la pancia tutta bianca; la punta delle lunghe orecchie era bruna, e richiamava il pennacchio all’apice della candida coda e i cerchi intorno agli occhi.
Iacrù, suo inseparabile amico, era una rana dalmatina dall’umida pelle tinta di rosso scuro, che ricordava le
foglie autunnali, movimentata da piccole macchioline e venature tendenti ora al nero, ora al bordeaux.
I due curiosi animali erano amici da sempre: poco dopo la nascita, infatti, entrambi orfani, erano rimasti l’uno accanto all’altro, aiutandosi nelle difficoltà e imparando a procurarsi il cibo e a difendersi dalle intemperie e dal freddo invernale.
Insieme, si erano ripromessi di non allontanarsi mai troppo da quei campi noti, dopo che Dino, l’ulivo più antico e saggio della Lucchesia, aveva raccontato loro le terribili sorti toccate alle rispettive famiglie: una mattina, poco prima dell’albeggiare, la mamma di Filip si era allontanata per andare a cercare qualche saporito funghetto e qualche castagna caduta dagli alberi, spingendosi fino ai boschi di San Martino; purtroppo non era più tornata, impietrita dalla pallottola di un cacciatore affamato e goloso. La famiglia di Iacrù, invece, era rimasta intrappolata tra l’asfalto caldo e le ruote di un grosso camion, mentre cercava di attraversare la strada grigia e chiassosa per trovare un posto più umido dove trasferirsi. Iacrù, da poco compiuta la trasformazione da girino a piccolo ranocchio, era rimasto ad aspettare per giorni il loro ritorno nella piccola pozza d’acqua dove era nato, ma invano. Soltanto poco dopo, quando lui e Filip erano usciti dai rispettivi rifugi spinti dalla fame, si erano incontrati e avevano iniziato a giocare insieme, saltando qua e là tra i filari delle viti, le campanule e i fiori bianchi e gialli.
Il vecchio e maestoso ulivo Dino sorgeva proprio nel giardino della casa gialla tra il pozzo e un piccolo ruscelletto, che compariva solo nei giorni di pioggia o quando i contadini delle zone vicine irrigavano generosamente i loro campi.
Filip e Iacrù erano soliti giocare in quel prato, specialmente dopo il crepuscolo o quando i proprietari si assentavano per parecchio tempo. Anche se non era una distesa particolarmente ampia, infatti, erano molto affezionati a Dino, e vicino a lui si sentivano protetti. Egli sapeva tutto, ma proprio tutto quello che riguardava le campagne circondanti la rocca di Montecarlo: prevedeva senza difficoltà i cambiamenti climatici, le catastrofi naturali, i fenomeni celesti; conosceva i rimedi naturali più antichi a tutte le malattie e ricordava nel dettaglio storie vere e leggende millenarie. Aveva inoltre molti informatori di fiducia – primo tra tutti un solingo barbagianni – pronti a riferirgli ogni cosa le sue fronde eleganti non riuscissero a captare nell’aria. Proprio quello sfortunato giorno in cui la famiglia del leprotto e quella del ranocchio erano scomparse, Dino si era fatto confidare dal notturno volatile le tristi vicende e, quando aveva ritenuto che i due giovani orfanelli fossero pronti, aveva rivelato loro tutta la verità… o quasi.
Daniela Calò (proprietario verificato)
Una storia molto coinvolgente che appassionerà grandi e piccini in un’avventura ricca di sorprese.
Anna Riviera
delicata favola per bambini e anche grandi, di oggi.