Alenysja scostò in fretta una ciocca di capelli dalla fronte, e rimase per un attimo sovrappensiero. Lasciò perdere rapidamente il pensiero della mensa e, quando tutti i suoi compagni furono rientrati in classe, restò sola con la professoressa al di là della porta.
«Non era prevista nessuna uscita anticipata per me oggi, prof» puntualizzò dopo un’ulteriore breve riflessione. «È forse successo qualcosa?» chiese con un tono che era diventato infine serio e preoccupato. Fu invasa da un’ansia inspiegabile, ma cercò di convincersi che, come spesso le accadeva ultimamente, stava solo volando alto con la fantasia.
«Non saprei davvero cosa dirti, Alenysja» controbatté la prof, contrapponendo un tono calmo e rassicurante, mentre abbozzava un mezzo sorriso. «Comunicazione fresca fresca, appena arrivata dalla segreteria. Adesso che lo sai anche tu, è tutto ciò che so anch’io.»
Anche se non era affatto ciò che voleva, la ragazzina si rese conto di aver lasciato traccia da qualche parte, sul suo viso, di un vago sguardo ancora perplesso.
La professoressa le si avvicinò di più e le sussurrò: «Tranquilla, non credo ci sia motivo di preoccuparsi. Tua mamma avrà senz’altro avuto qualche imprevisto». Poi la donna si sintonizzò su tonalità più neutre e cambiò discorso. «Per i compiti, ecco, li troverai come al solito nella bacheca elettronica dell’app. Ora va’, fai presto.»
Una volta in classe, Alenysja salutò frettolosamente prof e compagni, e si ritrovò nel silenzio assordante del lungo corridoio che l’avrebbe accompagnata all’uscita. Mille pensieri diversi le affollavano la mente. Sollevò le spalle per sistemare meglio lo zaino, e solo allora si ricordò del cellulare: dall’inizio delle lezioni, quella mattina, era ancora stipato in fondo alla tasca interna della cartella. E le sembrò di udire la ramanzina che sua mamma, Giuditta, le avrebbe fatto di lì a qualche istante: «Lo sai, vero, che quel cellulare ti serve per le comunicazioni importanti della giornata, te l’ho regalato apposta, non certo per tenerlo ben nascosto in fondo allo zaino come fosse l’ultima pietra preziosa sulla terra…». Alenysja si preparò ad ascoltare rassegnata quelle parole in loop per l’ennesima volta. D’altronde, da figlia unica, ben sapeva di non poter scaricare le sue colpe su nessun altro.
Quando finalmente tirò fuori il telefono dallo zaino, a due passi dall’uscita, si accorse di alcuni messaggi su Whatsapp. Tutti della mamma, come aveva ampiamente previsto: Ciao tesoro, come va? Oggi non sono propriamente in forma, esco in anticipo dallo studio, no problem, sistemerò le pratiche domani. Ho già avvisato la scuola. Passo a prenderti dopo pranzo. Ti aspetto in macchina davanti al portone. Un bacio, mamma.
«Lo sapevo…» commentò la ragazzina a voce alta, con aria di supponenza sconsolata, mentre, fermandosi per un attimo, tornò indietro con la memoria di un paio di giorni: sua mamma aveva preso un brutto raffreddore e non faceva altro che tossire tutto il tempo. Quella mattina, in effetti, a colazione, l’aveva vista peggiorata. Giuditta aveva minimizzato la faccenda, ma Alenysja aveva imparato che molto spesso gli adulti fanno così, soprattutto quelli che sono soli a mantenere la famiglia: «Non è nulla, solo un banale raffreddore» le aveva detto poco prima di uscire, mentre tossiva. La ragazzina le aveva lanciato una delle sue micidiali occhiatacce con l’intento di rendere chiara l’evidenza di quella menzogna. E la donna, a quel punto, aveva concesso: «E va bene, va bene, oggi mi sa che mi decido a passare in farmacia: mi daranno senz’altro qualche sciroppo miracoloso e in un paio di giorni al massimo starò più che bene, promesso!».
Evidentemente, però, non doveva ancora essere passata in farmacia, concluse tra sé e sé la ragazzina, abbozzando sul viso una smorfia nervosa.
Quando il pesante portone marrone della scuola si richiuse alle sue spalle, Alenysja distinse chiaramente sua madre nell’auto blu proprio davanti ai suoi occhi, esattamente come le aveva scritto nel messaggio.
«Hai visualizzato soltanto adesso il mio messaggio…» le fece Giuditta non appena l’auto fu ripartita, sollevando appena lo sguardo. Alenysja si aspettava un tono di rimprovero, ma quella di sua madre le sembrò, piuttosto, solo una rassegnata constatazione dei fatti.
«Sì, vero, mamma, non pensavo che ci fossero tuoi messaggi, non avevo ancora tirato fuori il cellulare dallo zaino, stamattina. Avevamo inglese, oggi, lo sai che la prof non vuole…»
«Va bene, va bene, non importa» tagliò corto la donna, costretta a interrompersi per tossire. «Adesso voglio solo andare a casa, bere qualcosa di caldo e andare a letto. Domani starò sicuramente meglio.»
Anche se Alenysja non aveva grande esperienza in campo medico, non ci mise molto a comprendere che sua mamma aveva proprio l’aria di chi non stesse affatto bene. Lo sforzo di tossire in continuazione le aveva fatto diventare il viso paonazzo e la povera donna faticava perfino a tenere aperti gli occhi, pesti e arrossati. Era chiaro a sufficienza che aveva urgentemente bisogno di cure e riposo. Durante l’intero tragitto da scuola a casa, Alenysja, che solitamente osservava divertita persone, cose e animali per strada con il viso incollato al finestrino, si ritrovò, quel pomeriggio, con il fiato sospeso a fissare angosciata sua mamma e a pregare che non succedesse nulla di brutto fino al loro arrivo a casa. Non aveva mai visto prima sua madre guidare in modo così distratto: l’auto aveva sbandato per ben due volte, rischiando di schiantarsi contro il guardrail.
Alla fine arrivarono a casa, entrambe miracolosamente incolumi. Ma Giuditta non ebbe la forza di parcheggiare all’interno del garage, tanto era debole e sofferente.
«Alla fine non sei più passata in farmacia come avevi detto.» Alenysja non riuscì a trattenersi dall’usare un vago tono di rimprovero, mentre posava distrattamente lo zaino sulla panca accanto alla porta d’ingresso, con il giubbino ancora indosso.
«Quante volte devo ancora ripetertelo, Alenysja?» controbatté piccata sua madre. Nel frattempo riuscì a contenere l’ennesimo colpo di tosse coprendosi il volto con entrambe le mani. «Non mi stare così attaccata. È già un miracolo che non ti sia venuta la febbre.»
Alenysja percepì nell’aria il crescente nervosismo della donna. Ma era decisa a non cambiare atteggiamento: «Dovresti misurarla tu, invece, la febbre, mamma!» replicò con il tono duro di chi sta dicendo la cosa più scontata del mondo.
Giuditta si sforzò di ritrovare un po’ di autocontrollo: «Hai proprio ragione, tesoro mio» le rispose, non potendo che constatare l’ovvietà di quella considerazione. «In effetti sono tutta un brivido di freddo.»
La donna non ebbe nemmeno il tempo di terminare la frase, che si ritrovò Alenysja proprio di fronte al naso, di ritorno dal bagno, con il termometro a infrarossi appoggiato sul palmo della mano. Lo strumento puntava esattamente al suo viso: «Forza, misura la febbre, mamma!».
Giuditta lo afferrò evitando ad Alenysja di ripetere l’esortazione.
«Accidenti» esclamò la donna dopo qualche minuto, mentre continuava ad avvicinare e allontanare dagli occhi il display dell’apparecchio. Il tono che aveva usato, tra lo stupito e l’inorridito, non prometteva nulla di buono sull’esito della misurazione.
«Hai la febbre, vero?» Alenysja moriva dalla voglia di sapere, ma, allo stesso tempo, ne era follemente terrorizzata. Si allungò sulle punte dei piedi e puntò lo sguardo sul display del termometro: «Non ci posso credere…» si lasciò sfuggire allibita.
«Credo che sia ora di cambiare questo apparecchio» disse Giuditta tra un colpo di tosse e l’altro.
Clara Castiglione Minischetti (proprietario verificato)
Un libro davvero emozionante che racconta in modo molto profondo i legami di amicizia, in particolare tra la protagonista ed il suo cane. Una storia di crescita, un’ avventura che consente di vivere in prima persona le gioie e le preoccupazioni di una ragazza che deve fronteggiare diverse difficoltà e peripezie, ma lo fa con determinazione. Un romanzo introspettivo che racconta l’amore per la famiglia nella sua visione più giovanile, le cui sfumature consentono a qualsiasi lettore di approcciarsi con interesse.
Gianmarco Divittorio (proprietario verificato)
Con la pandemia alle spalle e le minacce del coronavirus ormai riportate a semplici numeri, ripercorrere quei momenti difficili può aprire a un bivio polarizzante, in bilico tra il coraggio di dare corpo a una nuova storia e il rischio che i lettori non siano disposti a seguirne le vicende: l’autrice riesce però nell’intento di applicare un filtro sagace e leggero in questa reinterpretazione immaginifica dei tempi di lockdown, zone rosse e mascherine. Ice e la Corona del Virus si presta infatti a una lettura attenta ed emotiva, che scorre grazie ai delicati equilibri scelti nel ricamare immagini con le parole e nel dare voce ai pensieri tumultuosi della giovane protagonista e del suo fido compagno peloso. Un duo che avvince e convince grazie alle loro vulnerabilità e all’umanità di un’introspezione che tocca corde sottili e permette a chi legge di identificarsi nelle insicurezze di una bambina esposta ai tumulti di un’ombra che rischia di diventare troppo lunga, e ai sorrisi che riescono a regalare durante il percorso fino alla risoluzione, potente, della storia. Ampiamente consigliato ai lettori più piccoli e ai più grandi, per gustare un racconto ben tratteggiato e dal grande impatto!