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Identità. Enigma e significato

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In un’epoca, il post-moderno, sempre più frenetica e instabile, si va perdendo la nostra identità. Incertezze e paure non ci permettono di vedere un futuro stabile e solido, conducendoci verso una povertà identitaria che sottolinea e riflette una decadenza di valori nella società.
La nostra identità si forma da un conflitto interno, costante e profondo, che rappresenta ciò che siamo e allo stesso tempo non siamo: dobbiamo essere due opposti per riconoscerci un singolo; abbiamo bisogno dell’identità sociale per comprendere l’identità individuale. Ma, allora, chi siamo davvero?
Procedendo per aree tematiche, questo saggio si propone come guida verso la riscoperta delle identità, dei valori e delle certezze di cui abbiamo bisogno, e pone interrogativi e riflessioni su cui sarebbe bene soffermarsi e agire.

SIAMO NEL MONDO

Credo che la maggior parte di noi
abbia idee non corrette
sulla nostra stessa natura, o la nostra identità,
e che, quando ci accorgiamo della verità,
dovremmo cambiare
alcune delle nostre convinzioni
su quello che dobbiamo fare.
Derek Parfit


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Qui o altrove

Qui o altrove, dovunque siamo, portiamo dentro di noi una idea di noi stessi, esatta o inesatta, sana o malata, nobile o modesta, naturale e inconsapevole, o studiata ed elaborata in modo meticoloso. È il nostro personale “passaporto” con cui ci presentiamo al mondo e agli altri, ed è prezioso per noi più di quanto siamo abitualmente portati a credere. È un passaporto che la società dove ci troviamo può riconoscere o respingere, ma, in ogni caso, per noi stessi rimane un elemento particolarmente importante con cui vivere. In Pane e cioccolata, Manfredi ci racconta, come sanno fare solo i grandi maestri, della storia di un italiano emigrato in Svizzera per lavoro. Dopo una serie di vicissitudini sfortunate e degradanti, perso il lavoro e il permesso di soggiorno, decide di cambiare fisionomia, si tinge i capelli di biondo per sembrare più “tedesco” e rispettabile, e assume una postura e un tono altero e consono, per nascondere la sua vera identità e confondersi, mescolandosi meglio con gli svizzeri stessi. È nella nostra natura aver bisogno talora di nasconderci, tenere al sicuro dentro di noi delle parti importanti, che è bene non siano conosciute dagli altri e, nello stesso tempo, abbiamo anche bisogno di svelarci agli altri, o di essere scoperti, come meglio vedremo successivamente. Ma in un bar assiste a una partita di calcio dove gioca la Nazionale italiana di calcio. Appena la Nazionale segna un gol, sebbene una parte di sé, quella che vuole nascondersi, lo trattiene, esplode l’altra parte, quella che ha bisogno di svelarsi, e urla con entusiasmo di tifoso. È gol! È il riscatto, minimo, di cui ha bisogno. È l’identità di un italiano migrante, derelitto, disperato, negletto, che, incontenibile, urla. È una voce che grida: «Sono io, proprio io, e sono così». È l’identità a essere incontenibile, a uscire fuori urlando, rivendicando la propria presenza e la propria essenza. In questo altrove può essere un disperato, ma rimane integro nonostante il mondo si adoperi nel suo insieme a travolgere la sua integrità. Rimane il fatto che “è solo a favore dei disperati che è concessa la speranza”.

Essere nel mondo

Non vi è medicina che guarisca
ciò che non guarisce la felicità.

Gabriel García Márquez

Siamo nel mondo. Gli altri animali lo abitano. Essere nel mondo, che si richiama al concetto di Heidegger di daseim (esserci, presenza), implica una presenza continua e attenta di ogni uomo e una ricerca di significato costante individuale e collettiva. Abbiamo bisogno, nel nostro itinerario esistenziale, di essere persone dotate di senso, di significato, in un mondo dotato di senso e significato. Questo significato si costruisce proprio nella ricerca che ci caratterizza come individui e come specie. Dagli studi antropologici provengono indicazioni del tutto simili. Ernesto De Martino ha ampiamente dimostrato la centralità dell’identità soggettiva che si esprime con il sentimento attivo di esserci, di essere nel mondo, e che l’autore definisce appunto presenza. L’antropologo ha centrato molta parte della sua ricerca sullo studio dei meccanismi sociali e rituali con cui una comunità difende se stessa e i membri che la compongono da un rischio primario e universale che coincide con la perdita o la crisi della presenza. La crisi di presenza è una problematica che investe un rischio di perdita della propria identità.

Essere poveri di identità significa non soltanto soffrire, ma anche veder diminuire la propria capacità di sopravvivere. Viceversa, sentire con forza la propria identità è inscindibile dal poter progettare, ed è la premessa per qualsiasi azione si voglia perseguire in modo efficace.

De Martino amava ricordare aneddoti importanti, come la storia del campanile di Marcellinara, quando l’antropologo aveva incontrato un contadino meridionale nel dopoguerra e, per chiedere l’itinerario, gli aveva proposto di percorrere parte del tragitto con lui in automobile. Il contadino, allontanato dai percorsi a lui abituali, fu preso da una crisi d’ansia molto forte, incontenibile, dovuta allo spaesamento imprevisto, e tornò a trovare la calma solo appena gli fu possibile rivedere da lontano il campanile del suo paese, recuperando la familiarità col territorio che gli era abituale. Perdere contatto col mondo che gli era da sempre familiare, determinava in lui uno sgomento incontrollabile. Quel mondo “nuovo” non aveva, per lui, né senso né significato.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Claudio del Conte
è nato agli inizi degli anni Sessanta nella periferia nord di Roma, territorio vivace e vivido. Fin da giovanissimo si è chiesto cosa rende felici, o infelici, donne e uomini, domanda alla quale ha trovato alcune risposte attraverso lo studio della Psicologia Clinica. In seguito, ha perfezionato gli studi con un master biennale in Psicologia del Lavoro, occupandosi di formazione aziendale. Post-romantico e grande camminatore, è molto legato al pensiero di Schopenhauer e alla cultura della Grecia antica.
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