L’uomo guardò sorpreso il metallo che protendeva beffardo dal suo ventre. Il suo sguardo, che tradiva incredulità, si spostò verso il suo avversario; le sue braccia, fino a un attimo prima così potenti, ora pendevano inermi accanto alla lama che lo aveva trapassato, recedendo organi, muscoli e vasi sanguigni. Stava morendo, e lo sapeva. Accasciandosi lentamente, l’uomo si sforzò di parlare, ma invece delle parole proruppe in un grottesco gorgoglio di sangue e saliva. Sollevò il braccio, tendendo la mano, poi ricadde.
Dicono che la morte sia orribile, che stravolga le più belle fattezze umane in un raccapricciante grido di disperazione e orrore. Dicono anche che la morte accomuni tutti, ricchi e poveri.
Eppure, persino nella morte, quell’uomo ormai esanime manteneva un’aura di nobiltà. Nemmeno l’orrida abbondanza di sangue, che aveva ampiamente macchiato le raffinate vesti, ne sfigurava la bellezza o ne sminuiva la deferenza che incuteva. La luce del giorno si rifletteva in quegli occhi ormai privi di luce, ma non vuoti.
Il suo avversario lo fissava con rispetto, ancora ansimante. Era stato un avversario terribile.
Restava una cosa da fare. Ancora una. L’uomo si riscosse all’improvviso. L’estatico silenzio in cui era sprofondato fino a pochi istanti prima svanì repentinamente, e gli sembrò di acquisire una maggiore consapevolezza dei sensi, mentre tutto il suo essere si preparava ancora a combattere. Il rumore della battaglia. L’odore dolciastro del sangue. Il dolore.
Doveva agire in fretta. Non c’era più tempo.
PROLOGO
PENISOLA DEL SINAI, II millennio a.C.
- Ti dico che ci sono tutti e due.
- Non ci credo. Sarà un altro dei tuoi stupidi scherzi. Sai quanto ci ho messo per salire fin quassù?
- Se non mi credi, allora guarda tu stesso. Non vedi che trambusto nell’accampamento?
Il ragazzo si girò verso nord. Dalla cima della grande collina sabbiosa, riusciva a distinguere chiaramente l’accampamento posto non molto lontano da lì. Buttò furtivamente uno sguardo alla sua sinistra: il sole stava rapidamente avviandosi al suo riposo, e restava poco tempo prima dell’imbrunire. Pensò velocemente.
- Quindi… – esitò – sei sicuro di averli visti entrambi?
- Tutti e due. Mosè e Giosuè.
- D’accordo. Ma se mi hai tirato uno scherzo…
Lasciò la frase a metà, a mo di minaccia. Prese a correre a perdifiato giù dalla grande collina. Accidenti, gli era costata una faticaccia arrampicarsi fin lassù! Ma solo da lì poteva vedere, lontano, il mare, e immaginare il suo odore e la sua freschezza. D’altra parte, rifletteva mentre il pendio declinava dolcemente in una piana anch’essa sabbiosa, non capitava tutti i giorni di poter vedere insieme quei due. Evidentemente, stava per succedere qualcosa. Certo che, dopo tutto quello che era successo nelle ultime settimane, non riusciva proprio a immaginare cosa avrebbe potuto preoccupare i capi d’Israele.
Era arrivato ora all’ingresso dell’accampamento. Le ombre erano ormai lunghe, e i fumi dei fuochi eseguivano la loro danza misteriosa mentre salivano in aria fino a confondersi nell’oscurità sempre più fitta. Il ragazzo era trafelato. Arrivò alla grande tenda al centro del perimetro giusto per vedere la figura di un uomo anziano scivolare all’interno. Dietro di lui un uomo più giovane, vigoroso. Trascinato dall’entusiasmo, e distratto dalla figura del vecchio, il ragazzo non si accorse di essere troppo veloce per fermarsi e quasi rovinò addosso all’uomo più giovane; nel tentativo di evitarlo inciampò in uno sgabello e cadde ingloriosamente nella polvere.
Giosuè si fermò, sorpreso. Un po’ divertito, persino. O almeno così parve al ragazzo che, mortificato cercava di alzarsi. Giosuè gli tese la mano.
- Che ci fai in giro con il buio, ragazzo?
- Ho saputo che il grande Mosè e il prode Giosuè stavano andando alla grande tenda.
- E dunque?
- Ecco…volevo vedervi da vicino, tutto qui.
L’uomo sorrise.
- Farai stare in pensiero tua madre. Ormai è buio. Và a casa.
Detto questo, gli diede un buffetto sulla guancia, come se volesse congedarlo. Gli occhi del ragazzo si illuminarono.
- La pace sia con te, Giosuè.
- E con te e la tua famiglia.
Con il cuore gonfio di gioia per aver parlato a un sì grande uomo, il ragazzo corse via felice. Giosuè sospirò. La pace. L’avrebbe mai conosciuta? Con un gesto deciso scartò il telo d’ingresso ed entrò nella grande tenda.
Il fuoco era già acceso. Le fiamme conferivano all’ambiente un vago colorito giallognolo, e le ombre sembravano impazzite, perché, incapaci di stare ferme, si rincorrevano e si spingevano in una corsa apparentemente senza senso né regole. Sopra le fiamme, qualcuno aveva messo ad arrostire un piccolo pezzo di carne. L’odore si diffuse immediatamente nella tenda.
Il rango dei partecipanti al consiglio di guerra era un chiaro segno, qualora non fosse abbastanza evidente di per sé, della drammaticità della situazione. Mose, Aronne, Cur, e tutti gli anziani più eminenti delle tribù sedevano in un’attesa carica di tensione.
Mosè alzò una mano per chiedere silenzio e, ottenutolo, aprì l’assemblea.
- Figli, i nostri ricognitori sono tornati poche ore fa presso di noi. Le notizie che portano non sono delle migliori.
Fece una pausa. L’inquietudine nella sala era ora palpabile.
- L’esercito di Amalek è in marcia. Domani al più tardi sarà su di noi .
Un mormorio si alzò dall’assemblea. In un attimo, voci gridavano su voci.
- Tuttavia! – disse Mosè accompagnando la parola con il gesto delle mani, per richiamare all’ordine – tuttavia, il Signore, Dio dei nostri Padri, è con noi. Abbiate fede.
Un uomo si alzò per prendere la parola:
- Fratelli miei, il Signore è potente, e senza dubbio opera miracoli. Se lo volesse, schiaccerebbe la terra sotto i piedi, e spegnerebbe le stelle con le sue dita. Ci ha nutrito quando avevamo fame e ci ha dissetati quando avevamo sete. Ci ha guarito quando eravamo malati. Ebbene, non ci ha comandato di combattere. Non verrà in nostro soccorso se, a causa del nostro orgoglio, ingaggeremo una battaglia che non possiamo vincere.
Giosuè era perplesso. Non si aspettava certo una risposta del genere. Non fece in tempo a replicare, che già Hadas l’anziano si era levato per parlare.
- Il fratello Eleazar ha parlato bene. Inoltre, l’esercito di Amalek è molto più numeroso di noi.
Dagli anziani si alzò un brusio di approvazione. Incoraggiato da tale sostegno, Hadas rincarò la dose:
- Che ne sarà delle nostre spose, dei nostri figli e delle nostre figlie se saremo sconfitti? Verranno passati a fil di spada! Le donne, violate! I bimbi, resi schiavi! – ad ogni affermazione il brusio aumentava di vigore – Alle spalle abbiamo il mare, davanti il nemico e oltre esso nient’altro che deserto. Io dico: facciamo la pace con Amalek!
A questo punto, la grande tenda esplose in un grido di approvazione dalle mille voci. Indignato, Giosuè scattò in piedi:
- Scenda la vergogna su di voi e sulle vostre case, Eleazar di Dan e Hadas di Ruben! Non eravate forse con noi quando il Signore Iddio umiliò il potente faraone d’Egitto? Non mangiaste forse l’agnello e il pane azzimo la notte in cui l’Angelo sterminatore colpì il fiore della gioventù egiziana? Non avete dunque assistito al prodigio che Egli ha fatto al Mar Rosso?
Gli anziani tacquero, ma l’astio era evidente nei loro occhi. Le lingue di fuoco si riflettevano sui loro visi, nascondendo in parte l’evidente rancore verso quel giovane uomo impudente. In soccorso a Giosuè venne Aronne, cercando di smorzare i toni:
- Il Dio d’Israele ha fatto grandi opere. L’hai detto tu stesso, Eleazar. Credete forse che abbia schiacciato i nostri nemici e ci abbia fatto uscire dall’Egitto per consegnarci nelle mani di Amalek? Il Signore nostro Dio ha stretto un’alleanza con i nostri padri.
Hadas parlò ancora:
- Certo ciò che dici è vero, Aronne. Nessuno in questa santa assemblea è dotato di parola più saggia e veritiera di te e tuo fratello. Eppure, fatico a immaginare che il Signore ci abbia reso liberi per menar guerra. Credo, invero, che Egli voglia per noi la pace, la prosperità e la ricchezza.
Nessun grido di incitamento stavolta. Gli occhi di tutti i presenti corsero a cercare Mosè. Egli tacque per alcuni lunghi, interminabili minuti. Nell’immobile silenzio dei presenti, si poteva udire solamente lo scoppiettare del fuoco. Infine annuì leggermente, come a sé stesso e, lentamente, facendo forza sul suo bastone, si alzò.
- Amalek sta muovendo guerra contro di noi. Ha dunque peccato contro il Signore, perché ha attaccato il suo popolo eletto.
- Ma – protesto Hadas – potremmo almeno provare a….
Mosè alzò la voce, quasi gridando:
- Amalek ha peccato contro Dio! E noi ne laveremo l’onta! – ormai nessuno fiatava. –E’ deciso. Giosuè guiderà l’esercito del popolo eletto. Io salirò sulla cima del monte che domina la piana di Refidim. Salirò lassù con il bastone di Dio, Egli ci guiderà alla vittoria, e noi voteremo allo sterminio Amalek.
Il sole non era ancora spuntato ad Oriente quando Giosuè uscì dalla sua tenda, armato per la guerra. Adorava quel particolare momento della giornata: il freddo del primo mattino e la luce cangiante nel cielo – prima timidamente, accendeva i colori, poi diventava sempre più intensa, definendo i dettagli di ogni cosa. Le stelle, brillanti fino a pochi istanti prima, divenivano via via sempre più fioche fino a spegnersi del tutto. In quei momenti riusciva a essere veramente in pace con sé stesso ed il mondo. Non sapeva spiegarselo nemmeno lui, ma si sentiva in armonia con l’essenza di Dio.
Quella mattina però, per quanto si sforzasse di apparire sereno e fiducioso, non poteva impedire a un vago senso di nausea di disturbare quella quiete.
Il giovane trasalì, distratto così all’improvviso dai propri pensieri.
- Pace a te, padre Mosè. Gli ultimi rapporti dicono che il nemico è a circa ventimila cubiti. Gli uomini hanno tutto il tempo di nutrirsi, prepararsi, schierarsi.
Mosè gli si parò davanti e lo fissò dritto negli occhi.
- Hai fede nel Dio dei nostri padri?
Giosuè lo fissò di rimando, senza battere ciglio. Attese forse qualche istante di troppo prima di rispondere:
- Certamente.
- Allora non preoccuparti.
Mosè gli mise una mano sulla spalla, lo guardò di nuovo. Poi, senza una parola si voltò e si incamminò. Senza voltarsi gli gridò:
- Vado sul monte. Abbi fede.
Giosuè lo fissò allontanarsi lentamente. Si chiese come facesse quell’uomo a mantenere sempre la calma, da risultare persino fastidioso alle volte. Si riscosse: non c’era tempo per quelle sciocchezze.
Il senso di nausea aumentava. Colonne di israeliti stavano lasciando l’accampamento per confluire nel luogo designato. L’enorme massa di migliaia di uomini in marcia sollevava un’incredibile nube di sabbia, che quasi oscurava il cielo. Si incamminò veloce, e superando gli israeliti che avanzavano a ritmo cadenzato non leniva parole di incoraggiamento e sguardi sorridenti. Un uomo veniva incontro verso di lui, correndo. Rapporto. Il nemico si avvicinava. Settemila cubiti. Giosuè incitò gli uomini, che aumentarono l’andatura.
La piana di Refidim era ormai colma di israeliti. Il fiore della gioventù di Israele era schierato a battaglia. La moltitudine delle lance era così grande che pareva sorreggere il cielo stesso. Gli scudi di bronzo riflettevano la luce del sole, conferendo all’esercito un’aura quasi mitica. Giosuè guardava fiero quegli uomini, che in così poco tempo avevano superato così tante prove. E pensare che fino a pochi mesi prima erano schiavi in terra straniera…Sapeva di dover dire qualcosa. Ma cosa? Lo stomaco ormai era un crampo unico. Non riusciva a concentrarsi, nella testa continuavano ad affacciarsi pensieri insulsi. In bocca, stranamente, aveva un sapore quasi metallico. Scorse la figura di Mosè sul monte dietro l’esercito: sospirò, forse di sollievo, forse di preoccupazione.
All’improvviso, qualcuno gridò:
Voltandosi di scatto, Giosuè assorbì immediatamente l’enormità dell’esercito nemico. Si chiese esterrefatto come avessero fatto ad avvicinarsi così tanto senza che se ne accorgesse. La terra tremava, maltrattata da migliaia e migliaia di piedi in marcia. Le grida di guerra facevano raggelare il sangue degli israeliti, Giosuè lo vedeva chiaramente negli occhi dei soldati vicino a lui. Il comandante in capo si voltò, dando le spalle al nemico. Ora era tutto chiaro, ora era, nonostante il frastuono, pace.
- Avete fede nel Dio dei nostri padri?
Gridò sopra il frastuono. Nessuna risposta.
Amalek era schierato. Solo una manciata di braccia separavano i due eserciti.
Stavolta dalle linee d’Israele si levò un boato, un rombo di tuono che spazzò la piana. Giosuè vide che Mosè, dall’alto del monte, levò le mani al cielo.
Gli uomini si mossero, veloci. Al ritmo degli ordini scanditi, incoccarano, tesero e rilasciarono. Un nube di frecce si alzò nel cielo, vi sembrò quasi appendersi. Solo un istante, però, e poi caddero sul nemico che avanzava.
Giosuè sentì il comandante degli arcieri scandire l’ordine. Sapeva cosa stava per succedere. Il cuore pulsava, nella sua testa lo sentiva martellare. Non aveva corso, eppure il fiato era corto. Lo stomaco teso. Le gambe pesanti.
- Pronti alla carica! – gridò, venendo ripagato da un grido selvaggio dei fanti.
Quando partì la seconda salva di frecce, si lanciò sul nemico. Con il ruggito della disperazione, la massa di israeliti scattò dietro il proprio comandante.
Sostenuto da quella reazione, Giosuè puntò dritto sul primo beduino. La sua vista ormai era limitata, come quando dal fondo di una grotta ne si guarda l’apertura.
Con un grido, Giosuè si avvento sull’uomo, e un momento prima dell’impatto caricò con entrambe le braccia un fendente poderoso che decapitò l’avversario di netto. Un altro uomo gli si parò davanti. Parò con la spada l’offesa del nemico, entrò nella sua guardia, lo destabilizzò con una spallata e in un attimo conficcò l’arma nella pancia. Di sfuggita si accorse appena dell’espressione di stupore dell’uomo. Si liberò di lui con un calcio, sfilando la lama ormai rossa dal corpo pesante che cadeva a terra.
Con la coda dell’occhio percepì un movimento rapido alla sua sinistra. Si abbassò d’istinto e, nel rialzarsi, trapassò l’avversario in mezzo alle gambe. Ancora avanti. Un altro nemico cadde. Ancora avanti.
L’esercito nemico arretrava su tutta la linea. Giosuè rallentò, un po’ perché esausto, un po’ per controllare l’andamento generale della battaglia. Si voltò. Le riserve di Israele erano lì, impazienti di tuffarsi nella mischia. Bene. Sopra loro, sul monte, la figura di Mosè. Nel momento in cui guardava, il vecchio cadde al suolo. Maledizione! Che il nemico sia sul monte? Impossibile…cercò di riflettere velocemente.
- Tu! – disse, indicando l’uomo più vicino – corri da Aronne e digli di salire sul monte da suo fratello! Fa in modo che non vada solo, ma che sia scortato da almeno venti uomini!
Preoccupato, riprese a combattere. La pressione di Amalek era però aumentata. La destra dell’esercito di Israele stava retrocedendo vistosamente. Prima che il panico dilagasse, chiamò la riserva a soccorso e si portò egli stesso sul posto.
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