Il borgo sta lì, da oltre otto secoli, seduto su un monte che non ha nome, ma che Dio ha voluto mettere là giusto per far sedere quel mucchio di case, un po’ grigiastre, dai tetti rossastri, che stanno addossate le une alle altre e si rincorrono quasi a voler gareggiare per arrivare prima all’apice di quel monte dove svetta il campanile, rigorosamente posizionato nella parte più alta, così da poterlo avvistare da qualsiasi parte si raggiunga il borgo. Da quella posizione lui domina, controlla quel mucchio di case che lo avvolgono come un mantello caldo. Intanto il batacchio scandisce regolarmente il tempo, percuote la campana per farla cantare, vibrazioni che si disperdono fra le piccole vie strette e intrigate del borgo, fino a giungere dentro le case e risuonare in ogni angolo per vibrare alle orecchie delle persone.
Nei borghi esiste da sempre una polvere misteriosa, una polvere che si addentra nelle pietre e che scorre attraverso filamenti immaginari che cuciono i sassi per non farli scappare e che si dirama nell’intreccio di una rete che trattiene come pesci in un mare, il mucchio di case.
E’ la magia di questi luoghi che restano ovattati, immuni dalla confluenza di infinite ansie, di occhi accecati incapaci di vedere lo spazio intorno ad essi, di passi attaccati nevroticamente ad orologi che inseguono gli umani con lancette che scoppiano secondi, minuti ed ore come cerbottane che lanciano fastidiose pallottole d’argilla secca. Qui la dimensione tempo resta legata allo scorrere lento del sole, ai galli che presto cominciano il risveglio, al pacato camminare di scarpe, a gesti ancestrali che altrove si sono smarriti dentro un rumore costante che fa da sottofondo all’esistenza continuamente incompiuta, male annusata, inconsapevole del tutto se non della fatica che attorciglia le anime e sfibra muscoli, che si muovono dentro una perenne stanchezza.
Intorno una selva infinita di boschi di macchia mediterranea, di pini, di ginepro, di lecci e di tanti altri esseri viventi che dimorano indisturbati, fanno da cornice a Castronuovo in Valle, una cornice che paradossalmente non ha confine perché il paesaggio sfugge agli occhi e l’immensità s’impiglia nello sguardo di chi cerca una linea cui arrestare l’immagine.
Al borgo di Castronuovo in Valle le anime sono poco più di mille, non molte, ma questo non esclude che all’interno di quel mucchietto di pietre e sassi, tutto si svolga con estrema regolarità. Nulla manca a Castronuovo in Valle, tutto e’ collocato a perfetta dimensione umana, si può dire “a regola d’arte”.
Un miraggio, un’oasi per chi si addentra fra i vicoli sconnessi e a tratti burloni, che confondono i passi stranieri e ironizzano sull’importanza di artifici che altrove si sono dati al susseguirsi dei giorni.
Nel clima silenzioso di un sabato mattina, la macchina blu cobalto di Andrea sfrecciò davanti al bar Italia. Il rumore del motore, fatto girare velocemente, spezzò per un attimo l’atmosfera ovattata, per immergervisi di nuovo immediatamente dopo che l’auto parcheggiò nel piazzale, chiamato usualmente da tutti “piazzone” antistante il bar.
Andrea Trinetti, classe 1969, aveva muscoli caldi, le notti infuocate con Virginia, al mattino successivo, lo animavano sempre al punto che gli pareva che il cervello girasse più velocemente. Quella mattina Andrea si era alzato con le parole dette la sera precedente da suo cugino Alberto, titolare di unB&B del borgo, che avevano continuato a ronzargli in testa prima di scivolare fra la pelle morbida di Virginia.
Alberto gli aveva parlato dell’uomo con il trolley rosso amaranto, che aveva fissato una camera al B&B per un paio di giorni soltanto perché dopo, parole dell’uomo “avrebbe finalmente messo piede nella casa comprata accanto ai Voltoni”. Alberto si era congratulato con l’ospite ed aveva aggiunto un caloroso benvenuto offrendogli un prosecco di buon augurio.
La notizia del nuovo arrivato a Castronuovo in Valle, a differenza di Alberto per il quale l’avventore rappresentava solo un guadagno, aveva al contrario lasciato Andrea perplesso e, dopo l’amplesso caldo e profumato vissuto con Virginia, era rimasto il resto della nottata con gli occhi aperti, fissati sul soffitto, aveva fumato una sigaretta e poi si era messo a riflettere su quell’ennesimo episodio di trasferimento al borgo di qualcuno che, improvvisamente aveva deciso di cambiare completamente vita. Episodio che non lo avrebbe così tanto colpito se a questo non si fossero aggiunte le altre situazioni capitate negli ultimi cinque mesi, che aveva reputato quantomeno “strane” . Quattro dei suoi migliori amici che da anni lavoravano alla grande fabbrica di birra di Sassecchio, attività che dava lavoro alla maggior parte del borgo di Castronuovo in Valle e di altri piccoli centri abitati limitrofi, a distanza di circa un mese l’uno dall’altro, si erano presentati una mattina in Direzione e si erano licenziati. Il fatto lì per lì non aveva destato grande scalpore, se non tacciare i quattro personaggi come “pazzi” furiosi, privi di qualsiasi senno. Così erano stati considerati da quasi tutta la comunità del borgo. L’appellativo di “pazzi” si era poi arricchito dell’aggettivo “sconsiderati” nel momento in cui fu reso noto che tutti e quattro avevano deciso di dare una sterzata alla loro vita, inseguendo sogni e passioni, che li avrebbero indirizzati verso una totale nuova gestione della propria vita.
Giuliano, il primo che si era licenziato, aveva acquistato animali alpaca e si era messo ad allevarli per venderne poi la lana. Aveva ripulito il vecchio appezzamento di terra che aveva poco lontano da casa, nella parte più bassa del borgo, quella più vicina alla macchia mediterranea che gli correva intorno. Un pezzo di terra che in tutta la sua vita non aveva mai considerato, neanche quando suo padre, orgoglioso dei raccolti fruttuosi che quel piccolo appezzamento gli donava, lo portava a calpestare appositamente le zolle friabili, con la speranza che Giuliano se ne innamorasse e proseguisse la sua attività di agricoltore. Una speranza vana in realtà. Una terra ignorata, calpestata senza amore, che per Giuliano aveva solo rappresentato un fastidio per quelle poche tasse che ci doveva persino pagare sopra, non trovando nessuno disposto ad acquistarla, dopo la morte di suo padre. Poi era arrivato quel giorno. Un malessere che si era fatto strada dentro di lui inizialmente quasi senza accorgersene, palesato con un cattivo umore che lo vedeva sempre arrabbiato con tutti. Persino sua moglie Rosalba aveva finito con il rivolgergli il meno possibile la parola. Alla fine il malessere era scaturito con una vera e propria insofferenza per il proprio lavoro da operaio, sempre dentro le mura della fabbrica, dentro il rumore di impianti che non si fermavano mai e che pareva rendere il tempo che procedeva inesorabilmente, privo di qualunque sfumatura, sempre uguale. Forse era stata proprio la mancanza di un tempo scandito dai diversi rumori del mondo che lo aveva come fatto riemergere da un limbo in cui si era improvvisamente visto sprofondato. Per un po’ non ci aveva capito nulla di quell’ammasso confuso di sensazioni nuove che si erano appollaiate insidiose nella sua mente. Anzi in un primo momento aveva persino provato un profondo smarrimento, addirittura un senso di colpa per non riuscire più a provare il sentimento di rispetto, quasi ossequioso, che aveva da sempre nutrito per quella tuta da operaio che vestiva da oltre vent’anni e che gli dava regolarmente da mangiare ogni mese, indossata con l’orgoglio di appartenenza ad un lavoro che in molti, fuori dal territorio, guardavano con invidia. Eppure tutto ad un tratto, gli ambienti della fabbrica e persino la sicurezza del suo lavoro, sempre quello ormai da anni, avevano cominciato ad opprimerlo. Il borgo nel suo silenzio ovattato, pareva parlargli e spesso, negli ultimi tempi, Giuliano aveva cominciato a fare lunghe passeggiate immerso nelle serpentine di strade che si intersecavano e si rincorrevano come confuse stelle filanti. E più camminava e più la testa si confondeva tra i vecchi pensieri abbarbicati con energia alle convinzioni di sempre, e quelle immagini che nebulose, ma tenaci, cominciavano a logorare le antiche convinzioni. Non ne aveva parlato neanche con Rosalba, si era licenziato e basta come se dovesse ormai definitivamente tagliare la testa al toro.
Gli altri tre operai dello stabilimento, avevano più o meno ripetuto lo stesso meccanismo. Qualcuno aveva impiegato più tempo, qualcun’altro al contrario ci aveva riflettuto meno e aveva da subito seguito l’istinto, fatto sta che nel giro di pochi mesi tutti e quattro avevano letteralmente mollato la vita di prima e avevano aperto attività individuali. Chi si era dedicato all’apicoltura, chi alla coltivazione di piante officinali, chi si era messo a produrre formaggio. Tutti loro insomma si erano affrancati da una vita dichiarata da chiunque sicura ed erano tornati a quelle che per loro erano le “radici”, elaborando su queste, pensieri completamente diversi l’uno dall’altro, rintracciando delle origini ancestrali che erano rimaste evidentemente silenziose per tanti anni e che avevano covato fino a quei giorni di improvvisa ribellione.
Uscito dalla macchina Andrea, con la testa ancora piena di tutti quei pensieri che lo facevano sentire inquieto, ignorando persino la pioggerella che già dall’alba picchiettava insistente, si mise a sedere dentro il bar. Era sabato, di sicuro qualcuno si sarebbe fatto vivo e lui aveva bisogno di parlare. Il suo sguardo preoccupato, doveva essere talmente pungente quella mattina uggiosa che Sebastiano, il proprietario del bar, gli si fece vicino, prese una sedia, girò al contrario lo schienale e ci si accomodò a cavalcioni come fosse una moto. Si metteva sempre seduto in quel modo, una maniera per sottolineare il possesso di quel posto.
“Cos’hai stamani Andrea? Hai una faccia che pare tu venga da una notte piena di tormenti.”
“Hai saputo?”
“Che dovrei sapere? ”
“E’ arrivato un altro.”
“ Ma un altro chi?”
“Ma te proprio non vedi mai niente eh! Il tizio nuovo, quello che andrà ad abitare la case che era della vecchia Giuseppina, almeno lei te la ricordi?”
Sebastiano che non amava farsi riprendere come uno scolaretto beccato a sbagliare qualche compito, sbuffò con la bocca, come se quella notizia, per lui che stava dietro il bancone di un bar, fosse ormai storia vecchia e ben poco interessante.
“Ma figurati se non lo so! Solo che non mi pare che sia una notizia di grande interesse e non capisco come possa riguardarti.”
Andrea non lo guardò neanche in faccia e continuò nel suo ragionamento che già da qualche ora pareva consumargli ogni minuto della giornata.
“ Ma non ti pare strano? In soli cinque mesi si sono trasferite qui al borgo sette persone che vengono un po’ da tutte le parti dell’Italia e persino dall’estero e quattro sono scappate, perché’ così si possono definire i loro licenziamenti, dalla fabbrica che da sempre ci da’ da vivere, rinnegando una consuetudine che dalle nostre parti pare una dogma, e il tutto perché? Per ritornare a vivere dentro queste viuzze e mettersi a fare un lavoro del tutto diverso da prima. E’ illogico!”
“ Io non ci trovo niente di strano in questo movimento. Si saranno stancate del posto dove vivevano e del lavoro che facevano, che c’è di cosi misterioso?”
“Ma dico io, tanta gente così, tutta insieme? Non era mai accaduto prima e ora tutto ad un tratto il borgo si anima di persone che fino a ieri erano magari professionisti benestanti, più che rispettati nel luogo dove vivevano. Guarda ad esempio i due milanesi. Lui architetto affermato, lei designer di uno degli studi più accreditati di Milano. E cosa hanno fatto? Dall’oggi al domani, hanno comprato casa nel borgo e si sono trasferiti per mettersi a coltivare piante officinali…dico io? Piante officinali… E la stessa cosa capita ai nostri concittadini a cui improvvisamente la fabbrica di birra, dove lavorano da anni, pare essere troppo stretta e mollano ogni sicurezza economica per lanciarsi in una nuova attività di cui peraltro sanno poco o niente. Per esempio Giuliano, che fino a tre settimane fa non sapeva neanche di cosa fosse fatta la terra, ora si è messo a dissodare ogni centimetro della vecchia proprietà di suo padre per allevare….alpaca… e lui che cazzo ne sa degli alpaca?!”
Sebastiano rimase in silenzio di fronte a quella scarica di parole che fuoriuscivano dalla bocca di Andrea come mele che ruzzolano da un cesto. Non aveva riflettuto in quei termini, ma adesso che ci stava pensando, cominciava a intravedere anche lui qualcosa di anomalo. Dal borgo era più facile andarsene che venire ad abitarci e negli anni passati il trasferimento da Castronuovo in Valle alla città posta a pochi chilometri di distanza, aveva finito per creare un flusso migratorio da lasciare disabitate la maggior parte delle case internamente al borgo. Neanche la fabbrica di birra era riuscita a trattenere i tanti giovani che avevano preferito allontanarsi da quel luogo, vissuto come triste, come ricordo di una povertà che comunque aveva dominato quelle aree fino alla costruzione della birreria. E comunque anche quelli che erano rimasti si erano costruiti, con i primi guadagni del lavoro in fabbrica, piccole villette, quasi sempre bifamiliari, che si ergevano sulla vallata prospiciente il borgo, quasi a voler dimenticare un passato di miseria che sentivano pesante.
Così quell’ammasso di case che si rincorrevano come gareggiassero frenetiche fra loro, adesso risuonavano per la maggior parte del vuoto che si era impossessato senza troppa fatica, di quelle stanze, un tempo animate da famiglie numerose.
Un dubbio lecito che cominciava a farsi strada anche nella testa di Sebastiano, che lo vide per un attimo abbandonare quel suo fare un po’ strafottente e sostituire all’immagine dell’uomo duro, un volto ora preoccupato, come se qualcosa di sconosciuto improvvisamente aleggiasse nell’aria con l’intenzione di creare un qualche scompiglio.
“ Cosa pensi che possa accadere Andrea?”
“Non ho idea, ma avverto un cambiamento che non fa preannunciare nulla di buono.”
Marzia Saccardi (proprietario verificato)
La piacevolezza di sentirsi parte di un posto che senti “casa” …Alessandra ha questo potere ….farti sentire dentro i luoghi che lei per prima esplora e conosce, la scorrevolezza delle sue narrazioni rendono le sue letture piacevoli e coinvolgenti .
Brava Alessandra
Gabriele Comacchio (proprietario verificato)
Beh! Non possiamo ancora sapere l’intero evolversi della storia ma già dall’anteprima si gusta la raffinata e delicatissima capacità dell’autrice di descrivere luoghi e sensazioni con la leggerezza delle ali di una farfalla ma con la profondità di una fossa oceanica. Con le sue descrizioni apre inaspettati e quindi sorprendenti scenari che rivelano l’essenza di sentimenti e stati d’animo vissuti. Fantastica.