Solo lo stenotipista, concentrato sul macchinario, continuava a ignorarla, il che in un certo senso le diede la forza di cominciare a parlare.
Narrò la vicenda per filo e per segno, e quando pronunciò l’ultima sillaba si stupì di averci impiegato così poco. Una serata iniziata a cena e terminata a notte fonda: sei trentenni, un ristorante, vino, un pub, superalcolici, una discoteca e uno stupro. Il tutto condensato in un racconto che non superò i dieci minuti, questo era quanto restava di quella notte.
«Ho conosciuto Fausto Machiavelli a una cena organizzata da Lorenzo Caccianemico, un conoscente di lunga data» iniziò a riferire. «La serata era stata in parte programmata per farci incontrare e quando…»
«Quindi lei aveva previamente rivelato al signor Caccianemico un qualche tipo d’interesse a conoscere l’imputato?»
La domanda, solo all’apparenza neutra, possedeva una venatura di malafede ed era, come qualsiasi altra domanda che fino a quel momento le era stata rivolta, inutile, vuota, priva di significato. Milioni di discorsi erano già stati offerti, invano, sull’altare dell’ipocrisia, quando in fondo sarebbe stato sufficiente condensare tutte le parole del mondo in un’unica, semplicissima domanda per raggiungere d’un balzo il nucleo del suo dolore. Una domanda che nessuno le aveva mai posto, ma che continuava ad agitarsi nella sua mente da due mesi: “Perché?”.
Perché è accaduto? Perché a me? Perché quella sera? Perché proprio a me? Perché sono qui in tribunale? Perché non è stato possibile evitarlo?
Ma soprattutto: Perché proprio a me?
Quella triste e solitaria parola, “perché”, riassumeva nella sua più pura essenza la domanda e la risposta, una risposta che non spettava a Eleonora, non spettava a Fausto né ai giornalisti presenti in sala: non spettava a nessuno al di fuori dei giudici che seguivano il processo, gli unici garanti di imparzialità, i soli che avrebbero potuto e dovuto renderle giustizia, a lei che si sentiva violentata nel fisico e nell’animo, in una società che ancora permetteva l’attuazione di tali scempi, a volte persino senza esigere la punizione del colpevole, o il risarcimento per la vittima.
Ma la sua avvocata conosceva Trittolemo e sapeva che con quella designazione non erano state fortunate, perché già in passato il giudice aveva manifestato una certa cautela nell’applicare la pena prevista in casi analoghi di violenza carnale. Eleonora era stata messa in guardia sul fatto che durante il processo si sarebbe probabilmente fatta allusione alla possibilità del suo consenso prima e durante il rapporto con Fausto, così, quando il presidente del collegio insinuò quel dubbio nei pensieri dei presenti in aula, lei non si fece trovare impreparata nella replica.
«Sì, signor giudice, glielo confermo. Avevo manifestato interesse a incontrare un uomo che, così mi era stato detto, era un ottimo amico di un mio caro amico.»
«Regola numero uno: non ti contraddire» le aveva ordinato l’avvocata prima del processo. «Se solo salterà fuori, in qualsiasi momento, una sottilissima discrepanza all’interno del tuo racconto, l’intera testimonianza perderà di valore.»
«Capisco. Prosegua pure.»
Eleonora continuò la descrizione della cena, elencando i nomi dei partecipanti: Lorenzo Caccianemico, sua moglie Marta e una coppia che lei aveva incontrato quella sera per la prima volta, Giovanna e Marco.
«Oltre all’imputato» precisò il giudice.
«Oltre all’imputato. Naturalmente.»
L’ultima parola venne pronunciata in modo forse troppo irruento, ma Eleonora fu rapida a riprendere la calma abituale. «Dopo cena ci siamo spostati in un pub, abbiamo parlato e bevuto: insomma, fino a quel momento è stata una serata come tante altre, niente di speciale. Eppure, a ripensarci bene, Fausto Machiavelli aveva già iniziato a manifestare preoccupanti eccessi di violenza, a cui forse avrei dovuto prestare più attenzione…»
Un demone bianco-nero con zampe di capra e occhi disperati si posò sopra la spalla del giudice, che chiese con voce rauca: «Ci può fare qualche esempio?».
Certo che poteva. Lei stessa aveva implicitamente invitato il magistrato a farle una simile domanda, inserendo di proposito degli invisibili puntini di sospensione a conclusione della sua ultima frase. «Il signor Machiavelli, l’imputato, era andato a prendere da bere al bancone e si era messo a parlare con un altro avventore. Dopo pochi minuti lo afferra per la gola e lo spinge contro la parete. Noi tutti lo vediamo, ma non capiamo per quale motivo si comporti così. Uno scatto d’ira improvviso e immotivato. Poi… non ricordo bene cos’è accaduto, credo siano intervenuti dei camerieri per fermarlo, o forse no; insomma, la situazione è stata in qualche modo riportata alla normalità ma, da quel momento, ho iniziato a non sentirmi più al sicuro in sua presenza.»
L’aula era piccola e poco luminosa: più la osservava, più Eleonora sentiva crescere un vago senso di delusione. A sorprenderla non fu tanto la scoperta che non esisteva nessuna giuria popolare (a cui le serie americane l’avevano abituata), ma soprattutto la constatazione che il pubblico ministero, i giudici che componevano il collegio e tutti gli altri partecipanti al processo erano svogliati e molto meno ieratici di come se li era immaginati. Quando ormai la deposizione stava giungendo al termine arrivò persino a notare il paradosso grammaticale secondo cui la scritta, in caratteri maiuscoli, che si faceva garante della giusta applicazione delle regole, “La legge e’ uguale per tutti”, conteneva un errore ortografico. Era come se quel luogo, mitizzato dalla televisione e dalle sue recenti fantasie, una volta divenuto reale, avesse perduto ogni attrattiva.
Enzo D’Armenio (proprietario verificato)
Un libro davvero molto bello, soprattutto grazie a una scrittura efficace, piena di invenzioni linguistiche. Racconta una storia controversa, incrociando personaggi e punti di vista differenti in una sinfonia di voci, di posture morali, di pregiudizi e naturalmente di colpi di scena.
Giulia Baronti (proprietario verificato)
Un libro impossibile da mettere giù. Una storia brillante e controversa, che mette in gioco numerosi punti di vista: ogni pagina chiede al lettore di andare avanti, di indagare, di entrare dentro la mente di Fausto e Eleonora per capire cosa veramente è successo quella notte. E quando, forse, ci saremo fatti un’idea, sarà arrivato il momento di riflettere su ciò che questa storia veramente può insegnarci. In fondo, siamo tutti un po’ giudici, un po’ cannibali.
Elisa Pittipotti Biasioni Winchester
Questo libro si è rivelato una bellissima sorpresa. Nonostante i temi impegnativi (il consenso, il giudizio sociale…), le pagine scorrono leggere e i personaggi – con le loro mille imperfezioni – rimangono impressi, vividi, nella memoria.