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Il Chirurgo Bendato

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Consegna prevista Luglio 2025
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Due giovani uomini dalle convinzioni e visioni diverse sono accomunati da una missione: sconfiggere i Demoni presenti nel nostro pianeta. Nella cittadina di Virhivhanoo, avranno a che fare con uno di loro, e spinti dalle proprie ideologie si confronteranno e scontreranno su quello che è uno degli interrogativi più grandi della nostra storia.
Cos’è davvero la libertà?

Perché ho scritto questo libro?

Questo racconto nasce con l’idea di inscenare uno spaccato specifico della nostra società, tuttavia esso non è che un tassello di un puzzle complesso quale il nostro mondo. Nasce come un’iniziale curiosità che poi è diventata vera e propria indagine per poi culminare in ciò che è l’opera, ossia una rappresentazione fantastica di ciò che è crudelmente reale.

ANTEPRIMA NON EDITATA

CAPITOLO 1

LA CITTÀ DI VIRHIVHANOO

La notte oscura e tempestosa avvolgeva i due cavalieri in un fragore burrascoso ed i lampi che si susseguivano tra un rombo e l’altro erano l’unica luce ad indicare loro il cammino. Erano in viaggio da due giorni, da quando Prezmel aveva avuto una visione sulla città di Virhivhanoo riguardante la più grande carica religiosa del posto. Virhivhanoo era un paese sempre vissuto nell’anonimato, ma nel corso degli ultimi anni si era vociferato di una potente vestale nata lì e divenuta Sacerdotessa grazie all’invenzione di particolari tecniche e manufatti magici in grado di guarire le persone dalla follia e di donare sollievo anche a coloro non per forza folli, ma che versavano in disagianti stati d’animo. Tutte le menti lacerate di una città, condannate al vagabondaggio ed al ricovero presso i nosocomi potevano essere ristabilite e fatto dono loro di un’esistenza pacifica e priva di malattia, o anche solo di sofferenza, o almeno così si diceva.

Nel corso degli ultimi tempi sempre più persone erano attratte dal visitare il villaggio e la Sacerdotessa, e questo aveva sempre insospettito Fajroth, ma fu quando Prezmel vide in sogno le tracce dei rami dell’Albero Sacro aleggiare sopra quel posto, che si convinsero ad indagare meglio. Erano ai margini della città ormai, ed un paio di guardie poste nei pressi del cancello all’entrata aspettavano riparate dalla tettoia. Le loro uniformi scure lasciavano a vista sul petto la figura di un elefante con sopra una corona, simbolo del posto, e lasciavano intravedere pezzi di corazza esposti a livello delle articolazioni.

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“Prezmel!” la voce bassa e tonante di Fajroth si alzò nella tempesta chiamando l’amico, che si girò fissandolo nell’unico occhio che aveva ancora, il sinistro. “Lascia parlare me. Stavolta non creerò inconvenienti, dirò solo…” L’allegra risata di Prezmel interruppe l’amico.

“Ma tu sei pazzo, non mi va di stare a perdere tempo! Gli inventerò una scusa migliore delle precedenti! Sta a vedere!” le guardie fecero cenno di alt ed uscirono, piuttosto seccate dal loro riparo, avvicinandosi.

“Chi siete? Cosa volete?” Prezmel scese da cavallo, e con un profondo inchino prese ad annunciarsi gonfiandosi la voce ed il petto “Siamo i Fratelli Emwise! Siamo viaggiatori, artisti e musicisti. Guardi pure nei nostri bagagli, troverà solo pitture e strumenti musicali, e di ampia scelta!” La guardia più anziana fece un cenno al suo collega, che invitò Fajroth a scendere da cavallo bruscamente e prese a controllare le poche e spoglie sacche appese ai due animali. Fajroth non gradì molto il tono della guardia, ed ella non gradì lo sguardo ricevuto da questi, tant’è che subito nacque una discussione.

“Quell’unico occhio che hai usalo bene, altrimenti ti ritroverai cieco senza doverti fare le seghe.” “Ce l’hai con me stronzo?” “Cos’hai detto sacco di merda?” La guardia estrasse la spada, ma Fajroth fu più veloce e la punta del suo bastone era già conficcata nel petto della guardia, che realizzò solo quando un copioso getto rossastro eruttò dall’elefante sull’uniforme. Senza proferire parola si accasciò morendo con un’ultima espressione d’orrore rivolto al suo omicida. Un sorriso di soddisfazione prese vita sul viso di Fajroth che velocissimo estrasse l’arma dal corpo della guardia appena uccisa in un turbinio di sangue e la frappose fra sé ed il proiettile che era appena partito dalla pistola dell’anziana guardia, esterrefatta e ricoperta di panico. “C-C-Chi siete?? C-Cosa v-v-vole..” Fajroth camminava lento, ma senza esitazione verso di lui. Partì un altro colpo che si infranse sul metallo del bastone del ragazzo, che premendo un tasto nel manico fece uscire da un capo una lunga lama curva. Si trovava di fronte alla guardia, la quale inerme ormai ansimava solamente. Poggiò dolcemente la lama sul suo collo e disse, tirando a sé il colpo. “Siamo qui per la tua Sacerdotessa!”

“Ma si può sapere perché finisce sempre così?” “Cosa vuoi Prezmel? Quello mi ha insultato. Io ho solamente risposto.” “Ma ti rendi conto che già abbiamo creato casini? La discrezione non sarà mai il nostro forte continuando così!” Prezmel alzò un braccio come per ammonire l’amico, ma anche così arrivava a sfiorargli il mento, mentre intanto camminavano svelti alla ricerca di un posto dove dormire più lontano possibile dal luogo del misfatto. La pioggia continuava a cadere forte, ed i due erano già abbastanza distanti quando videro una taverna con ancora le luci accese all’interno. Si fermarono, e subito decisero di entrare. L’aria calda dei fuochi e l’odore di pietanze e bevande prese largo nelle loro narici e spalancò i loro stomaci, ragion per cui, in men che non si dica si ritrovarono al tavolo nell’angolo della sala, seduti e con già il primo bicchiere di vino nei bicchieri. Fajroth guardava pensieroso il cameriere, domandandosi se tre porzioni di costine arrostite gli sarebbero bastate, ma Prezmel interruppe questo pensiero con la sua squillante voce. “Amico mio, brindiamo alla nostra salute!” Bevvero così il primo bicchiere, versandone un altro subito dopo dalla bottiglia. “Io lo sai, ti voglio bene, ma devi essere meno…. Meno cruento. Insomma, non vogliamo per forza uccidere tutti i sudditi della Sacerdotessa. Giusto?” Fajroth stette in silenzio. “Giusto?” rincarò Prezmel, ma sapeva di sbattere contro un muro. Prese il bicchiere e bevve avidamente, mimando un gesto con le mani come a rappresentare un becco parlante. Nel frattempo arrivò il cibo, e i due vi ci si fiondarono, lasciando poco spazio ad ulteriori discorsi. Fajroth pensava comunque alle parole dell’amico, tra un morso e l’altro, e sapeva di essere stato impulsivo fin troppo, ciononostante sentiva di averne bisogno, lui aveva fame di risolvere le questioni cosi, sul nascere, ed un ricordo doloroso cominciò a riemergere dalle sue viscere portandolo a tossire fortemente, quasi a cadere dalla sedia. Prezmel inizialmente rise di gusto, ma poi quando Fajroth si riprese lo guardò negli occhi, profondamente, alla ricerca di un riflesso. Tornò serio e disse “La fretta porta all’ingordigia..” Fajroth prese un profondo respiro. Si sistemò la benda all’occhio mancante, un panno di stoffa nero come il suo cappotto ed il suo maglione, e si rimise rilassato sulla sedia. “Mangio troppo in fretta!” “È proprio questo il punto.” Mentre riprendevano il pasto l’attenzione di Prezmel venne catturata da un ampio gruppo di persone oltre Fajroth, sedute nell’angolo opposto della taverna. Insieme a loro, ad una coppia disposta vicino al gruppo e ad un trio di ragazzi alle spalle di Prezmel non c’era nessun altro, ma quel gruppo aveva qualcosa di insolito. Indossavano tutti una sorta di copricapo simile ad una gabbia rettangolare color grigio ferro, molto alta e con un lucchetto nel lato in basso a destra, tranne uno che, al centro della tavola, indossava lo stesso copricapo ma color rosso vivo e privo di lucchetto. A Prezmel dovette sfuggire un’espressione strana che prontamente fu catturata da Fajroth. “Cosa c’è? Chi c’è dietro?” “Non girarti Fajroth, ci sono, suppongo, dei locali con un copricapo direi alquanto bizzarro.” Nel dirlo gli sfuggì un mezzo sorriso che incuriosì irresistibilmente Fajroth che si girò, soffocando anch’egli una risata.  “Ma cosa sono quei cosi?” “Non ne ho idea, ma hai trovato qualcuno più particolare di te.” “Brutto nanetto, pensa per te se non vuoi trovarti dentro una di quelle cose!” i due continuarono a mangiare fin quando arrivò una cameriera con anch’essa lo speciale casco di ferro con lucchetto annesso ed un’espressione sognante stampata sul dolce viso. “I signori desiderano altro?” La sua voce lenta e soffusa era appena udibile. I due amici si guardarono e Fajroth arrossì, ma ella parve non farci minimamente caso. “Oh..ehm.. due amari. I migliori che avete, per darci la buonanotte. È possibile avere due letti per dormire qui?” Prezmel aveva preso parola, sapendo che Fajroth avrebbe passato la notte ben volentieri all’addiaccio. Gli tornò la voce della ragazza, diffusa come spore nell’aria “Se i signori vogliono pernottare qui da noi non è assolutamente un problema. Vorrete parlarne dopo aver gustato il miglior bicchiere del nostro amaro.” I due ringraziarono e lasciarono andare la cameriera. Il sospetto aleggiava su Fajroth, mentre Prezmel guardava attentamente il tavolo dietro l’amico. “Ti direi che sembra che anche quelli li abbiano lo stesso atteggiamento. Aspettiamo che se ne vadano tutti e osserviamo.” E così fecero. Non dovettero aspettare molto, dato che dopo poco anche la comitiva si alzò, dirigendosi verso il bancone dell’oste per pagare. In testa vi era l’indossatore del copricapo rosso senza lucchetto. Mentre tutti avevano un’espressione piuttosto attonita, questi pareva più rapito e ostinato, seppur sempre sul sognante. Prezmel notò che sulla tavola erano presenti solo bicchieri, nessun piatto. Nel frattempo gli occhi di uno della comitiva si incrociarono con quelli di Fajroth, che avvertì una nostalgia amara ed un senso d’impotenza addosso che gli lasciò uno strano ma pesante disagio. “Tutto bene?” gli chiese Prezmel, ricevendo un cenno del capo come risposta. I due finirono l’ultimo bicchiere ed alzandosi si avviarono anch’essi verso il bancone, dove li aspettava un assonnato oste intento a lucidare stoviglie. La folta barba bianca arricciata contrastava con la pelle olivastra. Prezmel mise mano al suo borsello, estraendo qualche moneta d’oro, ma non riuscì a resistere alla tentazione di fare qualche domanda. “Scusi buon uomo, sa dirmi come mai alcune persone indossano quei curiosi copricapi, come quello della sua gentile cameriera?” l’oste inizialmente restio, smise di lucidare i bicchieri, ne prese uno nel quale versò un liquore rosso, e lo bevve. “Scusate, ma dopo una certa ora ho bisogno di qualcosa per sopportare i clienti.” Disse con un tono scherzoso, ma nemmeno troppo. “Così vorreste informazioni sugli Headlight. Posso però chiedervi prima il motivo della vostra visita qui a Virhivhanoo?” Prezmel prese parola ancora più velocemente. “Siamo artisti, signore. Artisti di strada che hanno smarrito l’ispirazione e non la ritrovano più. Abbiamo saputo che qui a Virhivhanoo c’è una Sacerdotessa in grado di creare manufatti straordinari che permettono di trovare benessere e pace interiore.” “Bene.” Disse l’oste tracannando un altro bicchierino. “Allora sappiate che quei manufatti sono proprio l’oggetto della vostra visita.” Prezmel rimase spiazzato, ma tornò a farsi sotto rapito dalla curiosità “Cioè? Mi sta dicendo che quei cosi aiutano le persone a ritrovare la propria creatività?” l’oste bevve un altro bicchiere ancora, e con uno guardò tra lo stanco e l’irritato disse “Ora basta, voglio dormire. Se cercate maggiori informazioni sugli Headlight domani mattina potrete andare in qualsiasi chiesa e chiedere ad un prete. Vi saprà spiegare meglio di me sicuramente. Ed ora vado a letto che domani mi tocca lavorare a me, non so se posso dire lo stesso di voi.” Chiuse così ogni eventuale replica e togliendo dal tavolo la bottiglia, uscì prendendo delle chiavi da un grosso ripiano in legno in cui vi erano svariati mazzi. “La vostra camera è la numero 3, si trova al primo piano, a destra subito dopo le scale. Ed ora buonanotte signori.” I due presero le chiavi e si avviarono, ed una volta trovata, entrarono nella loro camera, una stanza tutto tranne che accogliente. “Scarsamente illuminata e poco areata. Direi che ci va già bene che sia pulita.” Disse Prezmel, mentre apriva la finestra e accendeva la sua pipa. “Domani andrò a cercare un prete. Devo saperne assolutamente di più sugli Headlight. Tu che farai? Verrai con me?” Fajroth stette un attimo in silenzio, poi una volta accesa anch’egli la sua pipa disse “Tu vai. Io cercherò informazioni sulla Sacerdotessa.

2024-09-30

Aggiornamento

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Luigi Alicata
Nasce nel piccolo paese di Marsciano, lungo le verdi valle umbre e si diploma nel 2013 come tecnico chimico biologico. Inizia un percorso universitario che lo porterà a fare l'infermiere, professione che gli permette di stare a contatto ogni giorno (e anche di notte) con la sofferenza, dalla quale ricava il materiale per mettere in moto le sue storie, passione che fin da piccolo lo accompagna a tenere la penna in mano e lo sguardo puntato sul mondo.
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