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Il cimitero delle chimere

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Consegna prevista Novembre 2025
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La Rossani sgranò i enormi occhi neri, contorcendo il volto in un ghigno di terrore. “No, ma cosa fai?? Mi vuoi ammazzare così?? In questo posto di merda??? Ma sei scemo??” urlò con voce resa adesso stridula dal terrore.
“Esiste un vademecum per ammazzare qualcuno?” domandò quasi annoiato Gomitolo.

“Il cimitero delle chimere” è un’ appendice naturale dell’ opera “Gli abissi dello stagno” in cui, si intrecciano in modo caotico e magmatico molti dei personaggi del libro precedente, liberi di irrompere sulla scena in modo improvviso e casuale, come insensate schegge impazzite, all’ interno di un mosaico crudele arido cinico ed impietoso, in cui la prima, e forse unica, regola è accantonare sogni aspettative e dignità, in quanto zavorre morali non sostenibili nella drammatica lotta per la sopravvivenza, quanto meno per un miserabile drappello di insulsi disadattati, patetici emarginati, anaffettivi dozzinali e sociopatici poco originali.

Perché ho scritto questo libro?

La volontà è quella di condurre il lettore, carpendone in modo magneticamente irresistibile l’ attenzione, nel sordido baratro di perversione cupidigia meschineria ed ossessiva compulsione che stagna sotto l’ ipocrita pellicola di pavida e buonista pudicizia nascosta dalla posticcia maschera sociale dal sorriso plastificato che l’ uomo contemporaneo indossa, in modo consapevolmente ipocrita.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Lo Studio dell’ avvocato Licio Rabiotti rimaneva incastonato in un anonimo vicolo posto nelle immediate vicinanze del dedalo delle più trafficate arterie del centro cittadino. Si trattava di un’ unità immobiliare autonoma, con ingresso indipendente, ubicata all’ interno di una minuscola corte posta a spartiacque tra la proprietà privata e la pubblica via. L’avvocato Licio Rabiotti non amava la pubblicità, gradendo che solamente i suoi clienti fossero informati in merito all’ ubicazione del proprio Studio. Lo Studio, segnalato da un’ insegna luminosa ubicata sopra il portone di ingresso, si dipanava su un unico piano ed era caratterizzato da una sala di aspetto, uno stanza adibita a sala archivio, ed una adibita ad ufficio di Rabiotti. La stanza di Rabiotti era illuminata da un’ ampia vetrata opacizzata ed impreziosita da una improbabile scrivania in vetro, sostenuta da una gigantesca aquila imperiale marmorizzata, di colore nero, su cui erano disseminati un p.c. portatile e numerosi fascicoli; dietro alla scrivania troneggiava una poltrona lignea in noce barocca rosso porpora, con rivestimenti i laccati in oro ed una libreria ad ante, in noce massello, satura di codici e prontuari. Le poltroncine in pelle nera riservate ai clienti erano posizionate sopra un tappeto persiano di discutibile gusto estetico.
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L’avvocato Licio Rabiotti non era un principe del foro; il suo nome non veniva associato ai processi da prima pagina destinati a lasciare un solco indelebile nella giurisprudenza. L’avvocato Licio Rabiotti era, al contrario, noto per la sua intramatura in affari confusi e fumosi da cui, però, alla fine della fiera, riusciva sempre a trarre una qualche forma di profitto. In realtà c’era stato un tempo, ormai molto lontano, in cui anche l’ avvocato Licio Rabiotti sognava di poter cambiare il mondo; ma quel tempo era terminato rapidamente, infrangendosi contro gli impietosi crinali della realtà. Ciò accade quando il giovane avvocato Rabiotti, iscritto di fresco nelle liste dei difensori d’ ufficio, venne incaricato della difesa di una sconclusionata studentessa universitaria della facoltà di giurisprudenza e figlia cadetta di una aristocratica famiglia, per avere, in un pomeriggio di molti anni prima, nella parte più amena della biblioteca universitaria, tramortito con una bastonata, legato a una sedia, cosparso di benzina ed incendiato una collega universitaria. L’ evento, all’ epoca, aveva suscitato, per le cruente modalità, un enorme clamore mediatico; tutti davano per scontato che il giovanissimo Rabiotti sarebbe stato rapidamente sostituito, tramite la mediazione del ricchissimo padre dell’ autrice, da qualche prestigioso ed affermato avvocato penalista, ma ciò non accadde. La famiglia, ritenendo prioritario salvaguardare il proprio buon nome, decise di ripudiare pubblicamente la figlia, nel cui operato non si riconosceva, abbandonandola al proprio destino. La ragazza venne estromessa dal nucleo familiare d’ origine per permettere al giovane Rabiotti di potere almeno accedere al gratuito patrocinio a spese dello Stato. L’ avvocato Rabiotti, per motivi di anzianità di iscrizione, patrocinò solo i primi due gradi di giudizio, mentre, nel terzo, fu sostituito da un prestigioso avvocato, con un’ anzianità tale da potere patrocinare anche in tale sede, offertosi pro bono per la difesa. Durante i tre gradi di giudizio, nessuno dei giudici credette alla tesi del plagio. Le perizie psichiatriche prodotte non vennero ritenute idonee a dimostrare l’ incapacità di intendere e di volere della studentessa. I giudici sentenziarono che si era trattato un omicidio efferato e premeditato. Nessuno credette alla tesi secondo cui la giovane studentessa fosse stata istigata dalle false promesse di un altro collega universitario, tali da radicare nella stessa la convinzione che il suddetto collega avrebbe donato il suo cuore a colei che avesse eliminato la collega. I referti tossicologici confermarono lo stato di intossicazione da alcol e droghe, pressoché cronico, della ragazza. Per i giudicanti fu molto più facile dedurre che la problematica ed inconcludente figlia cadetta di una facoltosa famiglia, avesse, in preda a un delirio psicotico indotto da droghe e alcol, tramortito legato a una sedia e bruciato viva la povera collega. Il giovane studente universitario che Rabiotti tentò di dimostrare essere l’ istigatore occulto era, per brillantezza di eloquio e raffinatezza di contegni, un predestinato a diventare un aulico principe del foro, nonché un arguto manipolatore. Il giovane, non casualmente, riuscì, con facilità disarmante, ad entrare nelle grazie una ragazza proveniente da una facoltosissima, oltre che potentissima, famiglia di notai ed avvocati, di cui il prestigioso avvocato penalista che sostituì Rabiotti nel terzo grado, offrendosi pro bono, era, casualmente, amico storico. Tuttavia il giovane e la nuova fidanzata attesero, con scaltrezza, la fine del processo per ufficializzare la loro unione; il giovane Rabiotti, vedendo miseramente sabotato il telaio probatorio costruito nei due precedenti gradi di giudizio da quelle raffinatissime ed invisibili trame di potere, comprese immediatamente sia il concetto di cerchio magico sia che uno come lui non ne avrebbe mai fatto parte. L’ avvocato Licio Rabiotti seppe però smaltire rapidamente la delusione ed adattarsi, iniziando ad agire, con lodevoli risultati, nella melma del disagio e della marginalità, accaparrandosi, senza pudore alcuno, tutti quegli incarichi ritenuti scabrosi e disonorevoli dai colleghi più prestigiosi, sposando la tesi che, alla fine, il profitto di dieci incarichi miserabili finiva per superare il profitto del singolo incarico prestigioso. Nel frattempo il giovane brillantissimo studente, anche grazie alla poderose spinte della famiglia della fidanzata, diventata nel frattempo, ovviamente per interesse, sua moglie, divenne l’avvocato Nino Masticoni, entrando in breve, a pieno titolo, in quella ristrettissima prestigiosa aristocrazia forense che, da sempre, bistrattava il Rabiotti nelle sedi giudiziarie con malcelata aria di spocchiosa superiorità. Tale disprezzo era ora acuito dall’ avere tentato di impantanare in un cunicolo di sordida miserabilità un loro giovane adepto, al punto tale da ritenere motivo di onta dovere abbassarsi anche solo ad un colloquio telefonico con quel sordido e discusso collega, salvo poi non lesinare a contattarlo, fuori dall’ orario di ufficio, in atteggiamento scondinzolante, per arrivare ad avvalersi delle abilità professionali delle intrattenitrici serali che il collega Rabiotti patrocinava con riconosciuta inarrivabile abilità. Per tutti questi motivi, l’avvocato Licio Rabiotti, appena rientrato nello Studio dopo un breve giro di verifica proprio presso le intrattenitrici serali della cui tutela giuridica era stato incaricato, rimase sinceramente colpito quando lesse la comunicazione e-mail dell’ avvocato Nino Masticoni, il quale lo invitava a richiamarlo quanto prima. Il tentativo di contatto del prestigioso collega a quell’ ora pomeridiana era addirittura fastidioso, atteso che la pantomima disprezzo in pubblico / confidenza in privato conveniva anche allo stesso Rabiotti, il quale preferiva essere considerato dall’ opinione pubblica il rognoso randagio costretto a rovistare tra i rifiuti, piuttosto che l’ abile traghettatore dell’ anime corrotte verso i dorati inferi del piacere perverso, di cui era l’ indiscusso gestore. Tuttavia, essendo Masticoni una faina troppo navigata per non condividere la medesima esigenza di riservatezza del nefando collega, nella mente dell’ avvocato Rabiotti prese forma l’ angosciosa idea che le loro trame potessero in qualche modo essere state intercettate. La marea dell’ ansia, però, fu rapidamente sedata riportando alla mente il tanto carsico quanto solido legame esistente tra Masticoni, il novello Questore di Alfena, Guido Maluccio, salito agli onori delle cronache, ed incensato come eroe cittadino, per la cattura del famigerato seriale killer Kodiak, ed il legale rappresentante della Ceccaldo S.p.A., Commendatore Aldo Ceccaldo, detto l’ Emiro per la sconfinata ricchezza ed arguzia imprenditoriale, storico cliente dell’ avvocato Masticoni e negli ultimi tempi addirittura incensato dalla ribalta gossippara per avere impalmato l’ ex fidanzata del calciatore Silvano Reia, neo acquisto del prestigioso Atletico Miranda. Vi era tuttavia solo un modo per fugare i residui dubbi. Rabiotti compose il numero dello Studio Nima & Co. Rispose la segretaria, la quale, udendo il nome di Rabiotti, quasi sdegnata, domandò per quale posizione stesse chiamando. Rabiotti, seppure stuzzicato dall’ idea di rispondere alla zelante segretaria che lui ed il suo adorato datore erano soliti sentirsi tramite cellulari usa e getta per fissare gli appuntamenti con le escort di lusso di cui era il procuratore, rispose che era stato contattato da Masticoni con preghiera di essere richiamato. La solerte segretaria trasmise la chiamata al proprio datore di lavoro.

“Pronto ?”

“Buonasera, sono Rabiotti”

Vi fu un silenzio imbarazzato. Rabiotti sorrise, divertito dal disagio che il suo nome provocava nell’ olimpo dell’ avvocatura cittadina.

“Buonasera Licio, grazie di avere richiamato”

“Buonasera a te Nino. A cosa devo l’ onore di questa chiamata ad un orario, per noi, così inusuale?” domandò Rabiotti calcando la voce sulle ultime quattro parole.

“Non chiamo per le posizioni che ci vedono solitamente contrapposti” nicchiò Masticoni con tono baritonale.

Rabiotti ridacchiò crudelmente.

“Ah, no? Per cosa allora?”

“Sarebbe il caso di incontrarci di persona”

“Addirittura ?”

“Si. Hai possibilità di ricevermi anche subito?”

“Il celebre avvocato Masticoni nella tana di uno dei reietti dell’ Ordine. Questa non me la voglio perdere”

“Va bene tra trenta minuti?”

“Deve essere urgente”

“Va bene o no?”

“Va bene, va bene”

“In realtà, ti ho contattato per sapere se ancora ti occupi di eventi sportivi ed, in particolare, se sei ancora il procuratore di Cartago Armentini ” esordì Masticoni con l’ inaspettata disinvoltura che l’ alto borghese dimostra di possedere allorquando penetra in ambienti che ricordano i lupanari in cui è solito intrattenersi in sordina. Lo domanda lo sorprese. Tutto si sarebbe aspettato ma non certo che un principe del foro come Masticoni potesse mostrare interesse per un atleta mediocre ed ormai spremuto come Armentini. Rabiotti gestiva, effettivamente, un parco di pseudopugili di penose prospettive, tutti appartenenti alla parte più infima della nobile categoria dei cosiddetti “mestieranti”, in particolare a quella triste sottocategoria di atleti semi amatoriali (generalmente dediti a vite sregolate ed alla ricerca di facili guadagni) che accettavano, per denaro, di lasciarsi macellare da qualche atleta emergente per aumentarne la quotazione. Cartago Armentini, nei primi anni della sua gestione, era stato un dignitoso collaudatore, ma poi, resosi conto della mancanza di talento e prospettive remunerative adeguate, si era riciclato, con risultati apprezzabili, nel settore della sicurezza dei locali e dei recuperi crediti più spregiudicati, anche per conto dello stesso Rabiotti, continuando ad accettare, occasionalmente, di essere, dietro adeguato compenso, l’ agnello sacrificale di qualche pugile emergente.

“Armentini ? Si, lo sono. Posso domandarti il motivo della tua richiesta?”

Masticoni si schiarì la voce con un colpo di tosse. Rabiotti sorrise, ricordando che era il preludio delle sue celeberrime arringhe.

“Non so se sai che un mio cliente, il Commendatore Ceccaldo, ha iniziato ad occuparsi dell’ organizzazione di eventi sportivi” esordì con voce pomposamente impostata.

“Lo avevo sentito dire”

“Ebbene, Ceccaldo è riuscito ad ottenere che l’ incontro valido per il titolo europeo dei medio-massimi avvenga qui ad Alfena, presso il Palazzetto costruito nei pressi della vecchia discoteca Golconda.

“Non era diventata zona residenziale ?”

“Ceccaldo è riuscito a convincere l’ amministrazione ad investire in un progetto differente”

Rabiotti sorrise scuotendo il capo immaginando quali mezzi il Commendatore avesse utilizzato per raggiungere il suo obiettivo. “Immagino che qualcuno dell’ amministrazione sarà stato contento di dovere cambiare auto proprio in questo periodo” nicchiò con voce sorniona.

Masticoni sorrise in modo forzato, tossendo nervosamente.

“Che c’ entra un rottame con Armentini con tutto questo ?” incalzò Rabiotti.

Masticoni scoppiò a ridere in modo sguaiatamente isterico. Rabiotti lo continuò a fissare imperturbabile.

“Giusta domanda” replicò infine Masticoni “Devi sapere che nel sottoclou era previsto l’ incontro di un giovanissimo peso massimo di notevoli prospettive, tale Geudiele Candido, con il campione regionale. Ebbene il campione regionale si è infortunato e noi abbiamo necessità di un sostituto”

Rabiotti increspò lo sguardo. Aveva visto combattere Candido e gli era stato subito chiaro, come a tutti nel settore, che apparteneva all’ olimpo dei campioni del pugilato. Armentini era un mestierante fuori allenamento che incrementava accettando, di tanto in tanto, in luogo di un corrispettivo congruo, di essere suonato da qualche pugile di buona prospettiva. Candido apparteneva  però ad un altro pianeta. Candido, per quanto giovanissimo, era un pugile vero, con un destro devastante ed un fisico statuario. Armentini era un ammasso ipertrofico ed imbolsito di muscoli, lardo ed additivi di vario genere. Il rischio di un massacro dall’ epilogo tragico era più che un’ ipotesi.

“Quando è previsto l’ incontro ?”

“Il ventuno Dicembre”

“Di che anno?”

“Il corrente”

“Tra due mesi?!”

“Ci rendiamo conto che il tempo è molto scarso per una preparazione adeguata”

“Per uno come Armentini non basterebbero secoli per una preparazione adeguata”

Masticoni scoppiò nuovamente in una tanto sguaiata, quanto fasulla, risata, tradendo un nervosismo che uno sciacallo come Rabiotti non poteva non percepire.

“Ti pongo un quesito e ti chiedo di rispondere sinceramente visto che, come sai, ho comunque modo di verificare” proseguì con voce greve Rabiotti

“Quale quesito?” domandò Masticoni con sguardo sospettoso.

“Quante telefonate hai compiuto prima di ripiegare su di me?”

Silenzio.

“Sai che mentire non serve” incalzò Rabiotti

“Molte” ammise con riluttanza Masticoni

“Mi sarei stupito del contrario”

Silenzio.

“Immagino che tutti abbiano rifiutato ed io sia l’ ultima spiaggia”.

Nuovo silenzio.

“Se anche io rifiutassi, caro Nino, non sarebbe un esordio da procuratore pugilistico confacente alla tua fama”

“Come …” azzardò Masticoni

Rabiotti sorrise crudelmente.

“Le notizie propagano anche nei bassifondi caro Nino. Ho saputo che hai superato l’ esame di abilitazione come procuratore sportivo, ovviamente in modo brillante come da tua tradizione, e non mi stupisce che tu ti stia già costruendo una scuderia di cavalli di razza da inserire negli eventi organizzati da Ceccaldo”

Silenzio.

“Tuttavia, anche stavolta, sei costretto a camminare sulla carcassa di qualche sfigato che gravita nelle melme dei bassifondi per poter rifulgere al confronto. Dico bene?”

“Sai che è così e so anche dove vuoi arrivare” rispose d’ un fiato Masticoni.

Rabiotti sorrise, esponendo una sinistra fila di denti luccicanti e sprofondando, di schiena, nella sua poltrona in stile barocco.

“Noi ci siamo sempre capiti al volo caro Nino, in ogni ambito”

“Già” rispose Masticoni dopo un lungo attimo di esitazione.

Rabiotti rise in modo ancora più crudele.

“Le puttane si pagano caro mio” gracchiò “specie quelle di alto bordo. Dovresti saperlo”

“Tu te ne intendi” lo sferzò Masticoni nell’ orgoglioso tentativo di ergersi sul baratro di miseria che Rabiotti rappresentava.

“Non sono il solo” rispose Rabiotti con tono di voce tagliente, per ricordare a Masticoni che, nonostante la sua posizione ed il suo prestigio, non era intimamente migliore di lui. Masticoni lo osservò, empio di quella livida frustrazione capace di prodursi solo in un ego ipertrofico consapevole di essere in difetto.

“Quindi, per concludere, quanto vorrebbe questa puttana d’ alto bordo?” azzardò Masticoni, ammiccando a Rabiotti, nel tentativo di dissimulare la furente marea della rabbia con un sorriso forzato.

“Quanto vale il lasciapassare per il giro internazionale nel quale te e Ceccaldo state cercando di entrare?” rilanciò Rabiotti

Nuovo silenzio.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Gabriele Donato Puccini
È nato a Pisa nel 1976. Terzo figlio di un medico cardiologo e di una professoressa, è sposato con Lisa e svolge la professione di avvocato. Appassionato di sport, animali e viaggi, ha scoperto la scrittura in età adulta, mostrando una propensione per la narrazione di storie di disagio e marginalità, che ha caratterizzato la sua prima opera "Gli abissi dello stagno"
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