Durante la lezione, che passava di spalle alla classe a incasellare col gesso sulla lavagna le sue rassicuranti definizioni, ogni tanto si fermava esausto, si sedeva alla cattedra e ci guardava.
Nei suoi occhi si leggeva lo sconforto di un uomo consapevole di non essere capito. Mai, credo, lo sfiorò l’idea che il problema fosse lui e non noi. Guardava sconfitto la nostra ignoranza, non riuscendo a vedere il riflesso della propria.
Quando iniziai la scuola, nella mia classe eravamo in diciannove. Non che proprio lo ricordi, ma spesso sentivo snocciolare quei numeri.
In terza media eravamo rimasti in otto.
Non c’era anno che le classi, e più in generale la popolazione della Famiglia, non si modificasse, nonostante la politica dell’istituto fosse tesa a favorire che l’alunno, quand’anche fosse stato adottato durante l’anno accademico in corso, lo terminasse nella scuola interna, cosa che avveniva comunque di rado. O la famiglia adottiva abitava in un’altra città, se non in un’altra nazione o, comunque, si trattava di famiglie generalmente altolocate che non vedevano di buon occhio la permanenza del proprio nuovo “figlio” presso l’orfanotrofio.
Vi erano poi i nuovi arrivi, sebbene la preferenza andasse ai bambini più piccoli, esistendo altre strutture – per lo più ecclesiastiche – per l’aiuto ai ragazzi più grandi. Nonostante ciò, capitava che qualcuno entrasse nell’istituto durante l’anno.
La giornata iniziava con la sveglia che suonava alle sette, poi tra le sette e mezza e le otto veniva servita in refettorio la colazione.
L’istituto accoglieva in media una settantina di orfani che la mattina facevano risuonare posate e tazze insieme a risa e grida. Se qualcuno tra i più piccoli piangeva, a seconda del caso, veniva preso in giro o confortato da qualche compagno sino all’arrivo di un adulto, generalmente laico a parte alcune suore che prestavano servizio dal vicino convento.
Nel refettorio, seppur non vi fosse una regola scritta, ci disponevamo per età: dai più piccoli, seduti vicino ai tavoli degli adulti che vivevano nell’istituto, via via ai più grandi. La mia crescita, si può dire, è stata infatti scandita dal posto a tavola occupato in refettorio.
Raggiunta la maggiore età, si doveva abbandonare la Famiglia. La legge, infatti, non consentiva a un “adulto” di restare in orfanotrofio.
Quando si poteva, quindi, si assumeva il ragazzo come un normale lavoratore che prestava servizio in cambio di vitto, alloggio e qualche soldo. I posti disponibili non erano però molti, così si cercava tramite amici, amici di amici o vecchi residenti di procurare qualche lavoro all’esterno e una stanza a poco prezzo.
Finita la colazione, si passava dal bagno e quindi in camera a posare l’occorrente per la toeletta, per poi andare in aula.
Sino all’una meno dieci si tenevano lezioni da cinquanta minuti ciascuna, con un intervallo di quindici minuti a metà mattina. Poi nuovo rito al refettorio, che aveva stranamente sempre lo stesso odore di “refettorio”, qualunque fosse il pasto servito: un indefinito aroma umido di grano cotto e fagioli.
Chi aveva tra i quattordici e i diciassette anni, nel pomeriggio tra le due e un quarto e le cinque e un quarto faceva attività tecnica, per imparare un mestiere.
Io scelsi il restauro.
Si era poi liberi sino alle sette e mezza di sera, quando veniva servita la cena.
I più grandi potevano uscire, ma il rientro era previsto al massimo per le diciotto e trenta d’inverno, un’ora dopo sul finire della primavera, quando il sole concedeva più ore di luce.
Catto Chiara
Sono rimasta davvero molto colpita nel leggere questo libro, dallo stilo semplice e scorrevole, ma allo stesso tempo elaborato e ricercato, soprattutto nella descrizione di dettagli rilevanti che si susseguono capitolo dopo capitolo, suscitando un grande interesse nel lettore. Leggere questo libro per me è stato come intraprendere un viaggio interiore, toccando temi esistenziali e imprescindibili come l’ amicizia, l’ amore e la paura dell’abbandono, ponendo domande essenziali sul nostro passato che inevitabilmente ci appartiene. I protagonisti ti entrano dentro in modo repentino, con le loro svariate emozioni, che a tratti sembrano quasi tangibili, in particolar modo quelle del protagonista Davide. Il tutto è calibrato perfettamente da una narrazione che mescola continuamente sogno e realtà, fantasia e vita vera, fino ad arrivare appunto all’epilogo in una sorta di quiete. Complimenti a Manuel Galdo e alla bontà di questo progetto davvero meritevole!
Gianfranco Dell’Aglio
Questo di Manuel Galdo è davvero un bel libro, caratterizzato da un scrittura semplice, molto chiara e scorrevole oltre che da una trama che riesce a tenere incollato il lettore, pagina dopo pagina, fino all’epilogo… per nulla scontato.
Gli eventi cruciali, che scandiscono la storia di questi ragazzini, provocano ogni volta una vera e propria scossa al lettore.
Leggendolo mi sono tornate alla mente le atmosfere mistery/fantasy dei libri di Carlos Ruiz Zafón, che ho letto anni fa e che ho molto apprezzato, pur trattandosi di un altro genere.
È una storia che riesce ad emozionare, lasciandoti addosso, una volta terminato il libro, una piacevole malinconia.
Non è semplice riuscirci… ma l’autore è stato in grado di farlo pienamente.
Quindi consigliatissimo, da leggere e far conoscere per permetterne la pubblicazione.
Luigi Mastrandrea (proprietario verificato)
Quando ho iniziato a leggere questa storia, credevo di essere di fronte ad un racconto di avventura, forse interessante, magari avvincente, ma pur sempre un racconto. Ed invece mi sono ritrovato immerso sempre più in un’atmosfera inaspettata, che mi ha ricordato quella di ‘Stand by me’ (il film tratto dal racconto di Stephen King), in cui la parte adolescente dello spettatore/lettore viene risvegliata dal suo torpore e si sente coinvolta nella trama insieme ai protagonisti, convinta di comprenderne lei sola le motivazioni ed il motore delle scelte. Salvo poi a scoprire, all’ultima pagina dell’ultimo capitolo, che ci vuole una gran parte dell’essere adulto per comprendere veramente il senso di tutto.
Mi è piaciuto lo stile, volutamente essenziale e sempre diretto, che permette una lettura fluida e snella, e che di contro non ti dà il tempo di capire quale storia si stia intrecciando intorno a te. Solo all’improvviso ti rendi conto di una trama che ha avuto davvero inizio chissà quando nelle pagine precedenti, e che ti ha cullato senza che te ne accorgessi con il suo filo conduttore, costante e mai scontato. Allora non resta che arrivare subito all’altro capo del filo, all’ultima pagina dell’ultimo capitolo, per mettere insieme tutti i pezzi, con la fantasia dell’adolescente e la saggezza dell’adulto, e scoprire qual è la verità.
Scoprire di aver letto davvero un bel libro.
Laura Gagino (proprietario verificato)
Una storia davvero brillante e avvincente, ho fatto fatica a staccarmene e mi sono mancati i personaggi una volta terminata la lettura. Scritto bene, con suggestioni quasi poetiche. Spero sinceramente che questo progetto possa vedere la luce, perché è un libro che merita di essere pubblicato.
Matteo Badino (proprietario verificato)
Una scrittura semplice asservita alla narrazione di una storia complessa, densa di sentimenti e non priva di svolte. Personaggi sinceri, dialoghi brillanti, una discreta dose di avventure e un movimento inesorabile della trama da un segno più ad un segno meno, controbilanciato dal movimento inverso della dimensione del protagonista. Una riflessione potente sulla natura e sulle fragilità dell’uomo, sulla fantasia come salvezza del fanciullo, che diviene peccato capitale per l’adulto.
Manuel Galdo, nato a Milano, il giardinaggio…. tutto giusto, ma ti sei dimenticato di dire qualcosa: chi è davvero Manuel Galdo? Conosco la risposta. Manuel Galdo è una delle persone più straordinarie che, se ne avrete la sfacciata fortuna, incontrerete. E non lo incontrerete in chiesa o in banca, in un modo usuale, da gente normale. Sarà tutto strano, e magico, fin da principio.
Un’incredibile intelligenza divergente in un anima immensa, una sequela di dissonanze protette da una mente libera, uno spirito traboccante di grandi sentimenti per cose piccole agli occhi della gente. Per me un amico, spesso un riferimento, talora un rifugio, sempre un fratello.