Sara vuole essere madre. Vuole creare vita. Il suo più grande desiderio, però, viene ostacolato da una malattia che la porterà quasi ad abbandonare il suo progetto.
Attraverso un racconto che si mescola tra passato e presente, Sara ripercorre la sua infanzia, le sue gioie e i suoi dolori, in una storia a cui fanno da sfondo donne forti, come la “nonna bis”, e donne tormentate, come sua madre, che ha amato e odiato per tutta la vita, ma che sarà il motivo che la spingerà a riscattarsi, a ricercare quella maternità tanto odiata da una, quanto agognata dall’altra.
È una storia di perdita e di rivincita, in cui Sara dovrà rinunciare al suo amore più grande per sposarne uno più “tiepido”, senza mai però rinunciare all’ambizione di diventare madre.
enricodanzi (proprietario verificato)
Ho letto il romanzo.
Mi è piaciuto. Molto.
La prima, immediata sensazione è stata quella di essere davanti a un’opera che ti ‘affascina’. Nel senso letterale: ti fascia, ti avvolge, ti tiene lì attaccato. E questo nonostante non vi sia una trama vera e propria. Il racconto altro non è che il richiamo di più storie al femminile, una saga matriarcale che percorre la famiglia della protagonista Sara, le sue ave. Il racconto sta nel continuo confronto tra il riCORdo (parola/azione che già rimanda al cuore, al titolo) di queste storie passate e il presente della protagonista, attraversata dalla malattia. In sostanza la trama del racconto finisce per identificarsi con il viaggio di conoscenza/consapevolezza che, attraverso il suo stato patologico da un lato e il ricordo delle ave dall’altro, Sara compie per giungere a trovare una sua collocazione in quello che, dal punto di vista femminile, matriarcale -se vogliamo-, rappresenta il motore stesso della vita: la successione, perpetua, madre-figlia-madre-figlia-madre-…
Si parte con una donna in condizione di malattia. Il presente è una malattia, una malattia con tanto di diagnosi. La diagnosi è il presente, lo stato patologico della donna. Attenzione la malattia non è tanto il cancro, in sé. Il cancro è solo il paradigma della malattia della donna. La malattia è il suo malessere da “cuore guasto”, appunto. Da lì, dalla diagnosi, si comincia la retrospezione, che qui, rimanendo in metafora, costituisce l’anamnesi della donna. È giunta al “cuore guasto” attraverso quella storia, che non è solo la propria precedente vita biologica, ma è anche e soprattutto la propria vita come frutto di quella saga matriarcale. Il proprio “cuore guasto” è come se fosse il portato di tutti quei “cuori guasti” che hanno segnato le vite delle proprie ave. E dalla diagnosi si passa alla prognosi, al percorso di guarigione, guarigione che potrebbe essere identificata nell’appropriazione della idea di maternità, quale che ne sia la modalità di espressione, o, forse meglio ancora, nello svelamento della capacità di essere madre.
Il viaggio è duplice, in due direzioni contrapposte: nel passato e nel presente-futuro.
Nel romanzo il ritmo, tra queste due direzioni, è alternato. Non c’è prima tutto il passato e poi tutto il presente-futuro. Ogni passaggio del racconto è offerto al lettore in entrambe le due prospettive e il collegamento tra di esse è sempre evidente, persino testualmente dichiarato: il punto d’inizio dei paragrafi “presente” coincide con la fine dei paragrafi “passato”.
E questo continuo prospettare contemporaneamente le due direzioni del viaggio, collegandole proprio testualmente, rivela a sua volta un significato ulteriore: il percorso di Sara verso l’appropriazione della idea di maternità avviene non solo e non tanto per mezzo delle sue personali esperienze di vita, quanto piuttosto attraverso l’appropriazione della consapevolezza del patrimonio storico genetico consolidatosi nelle precedenti generazioni femminili.
Quanto alla guarigione, attenzione, non è concepita come punto di arrivo statico, è piuttosto un punto di partenza. Il finale è aperto. La consapevolezza di poter essere madre, forse anche di voler essere madre conduce a sua volta a un nuovo cammino, che è cammino aperto, per sue stesse natura e definizione dinamico. La condizione di Sara-madre è tutt’altro che di quiete, è nuova avventura, sempre all’insegna di quel meccanismo, ancestrale, madre-figlia-madre-figlia-madre-…
La seconda percezione è che l’autrice ha una sua originalità, un suo stile, il suo scrivere non è anonimo.
A me è parso di individuare due registri linguistici diversi. Uno per il passato, per il mondo ‘semplice’, caratterizzato da un lessico e da una sintassi naïf, con rimandi anche dialettali. Un altro per il presente, con sintassi e lessico canonici, grammaticalmente più ortodossi. In ogni caso ho avvertito uno stile scarno, asciutto, sobrio all’essenziale ogni qualvolta l’autrice ha voluto metterci davanti a realtà nude, crude, senza croste. E quella sobrietà arriva al cuore del lettore.
C’è poi un uso oltremodo ricco delle immagini. Il racconto si dipana e acquista esteticamente anche e soprattutto grazie alle numerose similitudini e metafore, numerose ma sempre ben dosate, mai esagerate. Si rincorrono, si incastrano, divenendo corpo unico con l’elemento narrativo e arricchendolo.
Questo, a mio parere, il segno che l’autrice dispone di un patrimonio tecnico ‘professionale’ non comune.
Una cosa è senz’altro certa. Il Cuore guasto è un’opera nella quale vale sicuramente la pena immergersi. È piacevole. E interroga.
Enrico Danzi
RITA SAVOINI (proprietario verificato)
Alessandra, ho letto la bozza non editata. Bellissima, mi è piaciuto molto leggerti. Hai uno stile davvero coinvolgente, la ricerca della bella parola accompagna il lettore in un viaggio carico di emozioni. Hai reso i colori e i profumi con estrema raffinatezza e compostezza nella tua danza delicata tra passato e presente. Avrai successo, ne sono certa. Sicuramente le tue impronte in questa terra spesso arida non andranno perdute. Bravissima Alessandra!