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Il Diavolo e io (o Le guerre perse)

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Fabio è un giovane studente in piena “crisi universitaria”: alla soglia dei vent’anni, si trova combattuto tra continuare gli studi, nonostante abbia perso la voglia, e lasciare tutto, gettandosi senza paracadute in una nuova vita. Quello che non vacilla, però, è il suo amore per la Lazio: sempre al fianco della sua squadra del cuore, ogni domenica si ritrova allo stadio. È proprio passeggiando tra le vie di una Roma autunnale diretto allo stadio, che fa un incontro che gli stravolgerà la vita. Davanti a lui, un uomo all’apparenza normale, gli rivela di essere il Diavolo. Fabio, scettico e sconvolto insieme, si troverà a fare i conti con questo spirito guida sui generis che lo accompagnerà in un percorso alla scoperta di sé e lo aiuterà ad affrontare un altro incontro destinato a sconvolgere i suoi piani: quello con Giulia.

EPILOGO, PARTE PRIMA

Fu il Diavolo in persona a svegliarmi quel giorno, lo avevo incontrato spesso nei mesi precedenti ma non si era mai presentato a casa mia, nel piccolo appartamento in via del Castello Di Carte numero dodici. Era un freddo giorno di gennaio, un lunedì, e la nebbia aveva tolto colore al mondo circostante. Ricordo che la vista del Diavolo mi stupì perché di solito lo incontravo quando ero fuori, anche nei posti più strani, ma mai in casa. Quel lunedì, però, si presentò accanto al mio letto, mi picchiettò sulla spalla mentre mi sussurrava di svegliarmi e io puntualmente aprii gli occhi, quello che si dice sul suo potere di persuasione è piuttosto vero, secondo la mia esperienza. Quando vide che mi stavo destando si sedette sulla poltroncina vintage un po’ sdrucita che tenevo accanto all’armadio e incrociò le gambe come faceva sempre. Con l’impareggiabile eleganza che solo una creatura demoniaca può avere, sorrise e allargò le braccia. Mi tirai su con la schiena e mi appoggiai al muro restando seduto a letto, mi stropicciai gli occhi e faticosamente realizzai che il Diavolo desiderava di nuovo parlarmi.

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«Buongiorno, caro!» esordì con la sua voce calda e suadente.

Aspettò una mia risposta, sempre tenendo le braccia spalancate come ad accogliermi.

«Buongiorno, signor Diavolo» risposi con voce stentata.

«Ancora con questo “signore”? È più di un anno che ci conosciamo ormai, sento che si è sviluppata una sorta d’intimità tra di noi, ma tu continui a trattarmi come uno sconosciuto.»

«Signor Diavolo, non vorrei risultarle scortese, ma preferisco così.»

Tenne uno sguardo perplesso, quasi deluso, per una frazione di secondo e poi, come se nulla fosse accaduto, si alzò di scatto dalla poltroncina e mi venne incontro mostrandomi un sorriso a trentadue denti.

«Bene, Fabio, veniamo al dunque. Ti starai chiedendo perché sono qui questa mattina.»

Risposi con un cenno di assenso.

«Be’, non c’è una risposta precisa, semplicemente mi sembrava la cosa migliore da fare e quindi l’ho fatto.»

Mi alzai a fatica dal letto e aprii le tapparelle dell’unica finestra nella stanza, ne entrò una luce bianchissima che riempì l’ambiente.

«Non so perché, ma non mi stupisce più di tanto» riuscii a dire prima che lui ricominciasse a parlare.

«Insomma, stamattina l’istinto mi ha detto il tuo nome, e quindi eccomi qua.» Distolse per un attimo lo sguardo da me, sembrò distrarsi e poi di nuovo si voltò, mi scrutò con cura dalla testa ai piedi e viceversa. «Ma ogni tanto ti guardi allo specchio?» mi chiese allora e poi riprese senza attendere la mia risposta: «Mi dai l’impressione di esserti un po’ lasciato andare da un paio di mesi. Hai messo su una discreta pancetta».

Mi studiai nello specchio per alcuni istanti, aveva pienamente ragione, me ne ero accorto anche io, ma non avevo avuto mai il coraggio di dirmelo.

«E questi quadri? Li hai fatti tu?» riprese, indicando delle tele appese al muro in maniera sommaria.

«Sì, li ho fatti io, ultimamente dipingo.»
«“Dipingi” mi sembra un parolone, al massimo scarabocchi.» «Mi scusi, signor Diavolo, se è venuto per insultarmi può

anche andarsene subito, non sono interessato a sentirmi of- fendere per tutto il giorno.» Avevo imparato che gli piaceva che io rispondessi a tono, come si può immaginare è un gran- de fan delle discussioni, soprattutto di quelle particolarmen- te sterili. Fui io stavolta a non aspettare che controbattesse e uscii dalla camera strisciando pigramente le pantofole sul vecchio parquet. Mi diressi in cucina, o meglio, mi diressi nella stanza che era ingresso, salotto e cucina della piccola casa in cui vivevo, aprii il frigorifero e tirai fuori il cartone del latte come ogni mattina. Dalla mensola sopra al lavandino presi la tazza e ci versai latte e caffè solubile, mescolando con un cucchiaino per agevolarne lo scioglimento.

Lasciai tutto sul tavolino mentre gli ultimi grani di caffè solubile roteavano in sospensione sulla superficie del liquido. Mi voltai di nuovo verso i pensili della cucina e da un’altra mensola estrassi una scatola di cornflakes mezza vuota. Quando feci per richiudere lo sportello, vidi che il Diavolo si era materializzato lì dietro, accanto a me, e mi guardava compiaciuto. Aspettò che mi fossi seduto, si accomodò anche lui sulla sedia di fronte a me e disse: «Hai presente i granelli di caffè che ogni tanto non si sciolgono? Quelli che peschi per sbaglio cercando di mangiare i cereali e sono così amari che ti rovinano il palato?».

Non alzai lo sguardo dalla tazza e cominciai a mangiare.

«Opera nostra,» continuò «nell’aldilà ci divertiamo un casino a vedervi imprecare di prima mattina» concluse sogghignando. «Idea geniale» risposi, fingendo disinteresse. In realtà dentro ribollivo, conoscevo benissimo quella sensazione, e la odiavo, ma non volevo dargli quella soddisfazione.
«Senta, signor Diavolo, c’è qualcosa in particolare che deve dirmi? Qualcosa che devo fare per lei? O è venuto solamente per darmi fastidio?» lo incalzai.
Ci pensò su per qualche secondo, poi mi guardò dritto negli occhi, ricambiato, e con tutta la calma del mondo mi disse: «Credo di no, fai come se non ci fossi e vai avanti con la tua giornata. Suppongo che accadrà qualcosa di interessante, altrimenti non sarei qui, il mio istinto stamattina era di poche parole, non mi ha spiegato bene».

«Ottimo.» Realizzai che mi si prospettava una giornata molto lunga e sospirai, fu un riflesso spontaneo, ingenuo eppure importante, il Diavolo ne fu particolarmente soddisfatto.

2023-07-18

Aggiornamento

Obiettivo raggiunto! Grazie a tutti quelli che hanno contribuito a dare vita a questa storia. “Il Diavolo e Io (o Le guerre perse)” sarà pubblicato anche grazie al vostro aiuto! C’è ancora qualche giorno per raggiungere i prossimi obiettivi della campagna di crowdfunding, diamoci sotto con il passaparola per far conoscere la storia di Fabio ad ancora più persone. Grazie a tutti, siete stati meravigliosi e mi avete regalato un sogno.

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Romanzo molto scorrevole e piacevole che allo stesso tempo permette una riflessione sulla felicità e sulle relazioni con noi stessi e gli altri.

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Gianmarco Busso
È nato il 24 agosto del 1999 a Orvieto (TR) e vive a Baschi, un piccolo paese sulle sponde del Tevere. Laureato in Scienze della comunicazione all’università Alma Mater di Bologna, oggi lavora nel mondo del vino. Da sempre vive la sua vita alla ricerca dei momenti che valgano la fatica del viaggio. "Il diavolo e io (o le guerre perse)" è il suo romanzo d’esordio.
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