Aristea ha imparato presto che l’amore non sempre arriva da chi ci ha messi al mondo. Strappata alla madre troppo fragile per proteggerla, trova rifugio a Santa Maddalena, tra le braccia di una famiglia che non le somiglia, ma la accoglie. Cresce accanto a Jovan e Valerio, fratelli non per nascita ma per destino. In un mondo che cerca di incasellare i sentimenti, Aristea scopre che l’amore vero è quello che sfugge alle definizioni: quello che cura senza guarire, che resta anche quando la malattia consuma, che si posa dove trova spazio, fuori dalla logica, dentro l’anima. A Santa Maddalena, tra le pieghe di una famiglia costruita con le mani e con il cuore, Aristea impara — insieme a Jovan e Valerio — che si può restare accanto a qualcuno anche quando la malattia lo porta lontano, che si può amare senza capire, che si può essere famiglia senza sapere come si fa. Una storia di legami che si scelgono, di dolori che si condividono, di speranze che si intrecciano.
Perché ho scritto questo libro?
Valerio, Aristea e Jovan sono personaggi inventati, ma il loro legame è reale. L’ho vissuto io, in notti insonni passate a leggere, a inventare storie, a ridere fino a non riuscire a respirare. Ho scritto questo libro per ricordare ciò che ho perso, e per tenere vicino chi non è più qui. Per raccontare un dolore che ho trasformato in parole. E perché, in fondo, volevo scrivere qualcosa che fosse davvero mio: che parlasse la mia lingua, che avesse il mio respiro, che portasse il mio battito.
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