Nel XII secolo a.C. iniziano i lavori della Torre di Babele dedicata al Dio Marduk, il Dio tutelare della famiglia. La ziqqurat, come veniva chiamata dalla tradizione mesopotamica, raggiunse il suo completamento e il suo massimo splendore sotto la guida del re babilonese Nabucodonosor I. Alta 5.433 cubi, due spanne e 15 me’eraf (circa 130 metri), era composta da sette terrazzi sovrapposti, ognuno più piccolo di quello sottostante. Ciascuno di questi terrazzi era rivestito con mattoni di colori differenti. Il piano inclinato per raggiungere la cima si trovava a nordest ed è su questo lato che erano state posizionate le principali stanze del tempio, di cui la ziqqurat era la torre.
Lo scopo della torre era il ricongiungimento degli uomini con il loro Dio.
Elevarsi fino a Lui per poter sedere accanto a Lui.
Durante la sua costruzione i più grandi imperatori del mondo conosciuto si unirono nella città di Babilonia, con la decisione e la volontà di portare avanti il progetto.
Insieme alla torre furono creati i tre rotoli della conoscenza che rappresentavano il nome dei popoli, cioè il verbo e il credo. Tre pergamene scritte con le lettere dell’alfabeto ebraico, unica lingua nota a quel tempo, attraverso cui il mondo sarebbe stato rivolto a un futuro unico e coeso e che avrebbero elevato l’umanità alla presenza e alla stessa conoscenza di Dio.
I rotoli erano definiti e articolati in base alle tre esigenze primarie dell’uomo: Linguaggio, Amore e Lavoro. Ma il vero contenuto di essi era oscuro. Si vociferava che ognuno elencasse specificatamente i comportamenti sacri e gli atteggiamenti che l’uomo avrebbe dovuto assumere per ottenere l’onore di sedere accanto a Dio e che in esse era custodito il potere divino.
Le pergamene furono gelosamente conservate all’interno della torre, nelle più segrete stanze. Solo ad alcuni erano concessi l’accesso e la visione. Il loro verbo era sacro, segreto e troppo potente per essere dominio di tutti. Colui che le possedeva avrebbe ottenuto una fonte di conoscenza tale da poter governare ogni popolo.
Così facendo, però, gli uomini scatenarono l’ira del loro creatore, che considerò la torre come un atto di superbia: il tentativo di alzarsi al cielo per essere come Lui, o, addirittura, per dimostrare di essere superiori a Lui. I tre rotoli della conoscenza non erano altro che il sigillo e l’accordo scritto, ciò che provava il tradimento e la determinazione all’elevarsi a un’entità dominante.
La rabbia di Dio si scatenò furente nei confronti dei popoli. Li disperse e li costrinse a vagare per il mondo, a non capirsi più l’un l’altro perché obbligati a parlare lingue diverse e la torre, che era considerata lo splendore del mondo, fu condannata al disfacimento. Dio incaricò Dario I, re di Persia, appartenente alla dinastia di Achemenide, di compiere l’opera e distruggere le pergamene della conoscenza. E fu così che Babilonia, la città che Nabucodonosor aveva reso imprendibile, la città dalle cento porte di bronzo, dalle imponenti mura fortificate da centinaia di torrioni, la città degli splendidi palazzi reali e della famosa E-temen-anki, la Torre di Babele, un giorno dell’anno 520-19 a.C. si arrese ai colpi del re di Persia, il quale sfogò il suo odio contro di essa sterminandone i cittadini e annientandone il potere e la gloria.
Tutto fu possibile per un iniquo stratagemma che Zopiro, principe persiano agli ordini di Dario, mise in atto fingendosi disertore e consegnandosi ai Babilonesi. Trascorsi sessanta giorni e avendone conquistata la fiducia guidando più volte i Babilonesi contro Dario e portandoli alla vittoria, all’attacco in forze dei suoi connazionali, egli aprì due porte e fece entrare i Persiani in Babilonia, i quali, naturalmente, ebbero partita vinta. Fu il colpo fatale per il regno di Babilonia e i suoi grandiosi monumenti.
Koldewey localizzò la Torre di Babele nel luogo oggi chiamato es-Sachm; della grande E-temen-anki non rimaneva che un cumulo di rovine, in quanto, alla distruzione iniziata da Serse, contribuirono anche gli abitanti della zona che la utilizzavano come cava, asportando mattoni per la costruzione delle loro abitazioni, e le secolari infiltrazioni dell’Eufrate, che penetrando attraverso il terreno trasformarono un simbolo di potenza e orgoglio in una enorme fossa.
Durante l’attacco e la distruzione condotti alla torre, Dario trovò le tre pergamene nel salone principale dei sotterranei.
All’ingresso della stanza, due statue di leoni d’oro facevano da guardia. Il salone, di forma circolare, era immenso, decorato da splendidi affreschi raffiguranti le più importanti battaglie babilonesi e da bassorilievi che documentavano lo splendore dei progressi, delle conquiste e la remissività dei popoli stranieri. Sulle pareti, torce infuocate davano quella luce fioca e tenue che elargiva sapienza e misticismo al posto. I capitelli del colonnato centrale erano anch’essi d’oro massiccio e custodivano al proprio interno le pergamene, poggiate su un drappo di stoffa color porpora sostenuto da un leggio in legno di ciliegio.
Dario sapeva che le pergamene nascondevano qualcosa, per questo decise di tenerle con sé e di distruggerle in seguito.
Accadde però qualcosa che Dio non poteva prevedere. Il re, incuriosito dal significato delle pergamene e avido di ottenere il potere in esse nascosto e tanto famigerato, decise di studiarle, ma non sapeva che i papiri erano stati chiusi col sacro sigillo di Dio e potevano essere aperti solo all’interno della torre, nella stanza delle scritture.
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