PARTE PRIMA
1
Nina non accennava a smettere.
Le reggevo la fronte da quasi un quarto d’ora. La sesta volta non c’era più niente da vomitare ma io restavo lì. Non avrei mai potuto andarmene. Era la mia sorellina.
All’età di sei anni fui colpita da una serie ricorrente di accessi febbrili. La causa sarebbe rimasta sempre ignota ma per mia fortuna l’evento s’interruppe naturalmente dopo circa otto mesi. La sua gravità era stata tale da costringere i miei genitori a ritardare la mia iscrizione alle elementari, cosicché il mio primo giorno di scuola arrivò solo a sette anni compiuti. Mentre salivo le scale di quell’immenso edificio stringendo la mano di mio padre, una bambina dalle treccine nere e dagli occhi verdissimi sfuggì al controllo della sua mamma, finendomi addosso col suo corpicino. D’istinto mi abbracciò e iniziò a piangere disperatamente perché non voleva entrare. Si presentava molto più minuta di me, non solo a causa dell’età, ma anche per una corporatura piuttosto gracile. Quella bimba si chiamava Nina. Fu amore a prima vista. E da allora diventammo inseparabili.
«Vi date una mossa, porca puttana…» gracchiò Laura Manfroi con quella sua vocetta da ragazzina di terza media. Poi prese a bussare tanto forte che credetti volesse tirar giù la porta.
«Non abbiamo finito. Te ne sei accorta?» le strillai dietro srotolando dell’altra carta igienica per levare via lo sporco dalla tavoletta.
Nina aveva fatto un casino. C’erano penne al sugo dappertutto.
«Dai, che devo pisciare…»
La Manfroi aveva vinto a buon diritto il soprannome di Reginetta di Oxford. Se l’era guadagnato sbaragliando Luisa Marchetti nella finale di quella competizione che qualcuno in classe aveva battezzato Certamen bestaemmiorum. Avrebbe fatto impallidire una squadra di metalmeccanici.
«Cercati un altro bagno, Reginetta, ché qui abbiamo un po’ da fare.»
«Fanculizzatevi, stronze.»
In quel momento avvertii un nuovo strattone alla mano e Nina rovesciò fuori altra acqua colorata. Guardandola meglio, pensai che ricordava la minestrina che faceva la mia povera nonna.
«Minchia… ’un… cià… fazzu… chiù…»
La sicilianità ereditata da sua madre mixata a quel biascichio rendeva la scena comica e surreale. Sebbene fossi ormai abituata a momenti del genere, mi scappava ogni volta da ridere.
Nina s’era calata sei cicchetti di rum e pera e due vodka lemon, aveva mischiato porto e birra di non so quale sottomarca, senza contare gli spinelli gentilmente offerti da Mirko Santulli, il pusher del I A che le faceva il filo dal quarto ginnasio. A lei non era mai fregato niente di Mirko e dava credito solo ai ragazzi più grandi ma si divertiva a stuzzicarlo. A vederlo succube di lei. E per quel sadismo che possiedono solo le adolescenti che sanno di essere belle e inarrivabili, godeva a fargli credere che: Chissà? Magari un giorno…
Sulle mattonelle del pavimento c’era un vero schifo. Per non parlare dell’odore. Quell’odore nauseante che poteva restarti appiccicato ai vestiti per giorni. Nina aveva davvero superato se stessa e non si poteva dire che fosse un bello spettacolo. Chissà cosa avrebbe detto la madre di Erika vedendo il suo bagno padronale ridotto in quel modo.
Continua a leggereErika era la nostra seconda migliore amica. Quella a cui Nina e io telefonavamo quando una delle due aveva altro da fare. Alta e non troppo magra, con dei fianchi più larghi di quanto desiderasse. Il naso appuntito e le labbra sottili. Gli occhi grandi e neri. Una ragazza né bella né brutta. Sempre molto attenta a cosa dire. Ragionatrice e riflessiva, seppur dotata d’una risata trascinante e a tratti inquietante. Un genio in inglese, latino e greco. La più grande maniaca modaiola che avessi mai incontrato nella vita.
Nina e io l’avevamo conosciuta in quarto ginnasio e, pur ammettendola nel nostro ristrettissimo clan, la considerammo subito come una specie di seconda scelta. E questo in base al crudele principio di selezione naturale di cui si abusa nell’età in cui niente sembra impossibile e ogni cosa che si reputa essenziale è – in realtà – superflua. Non c’era premeditazione o cattiveria nel nostro modo di agire. Succedeva e basta. In modo naturale. Fisiologico.
Eppure in quei tre anni di scuola la nostra amicizia s’era consolidata. Un tris imperfetto di cui io ero la più sensibile, Nina la più navigata, Erika la più mondana. Nonché, quella sera, festeggiata e figlia della padrona di casa, la signora Edita Rossellini. Lontana parente dei Rossellini del cinema ed ereditiera di stirpe nobiliare. Donna raffinata, lievemente altera e di poche parole. Suo marito, Guido Betti, colosso di un metro e novanta recentemente insignito Cavaliere di un importante Ordine, stava a capo d’una grande azienda che commerciava in non so bene cosa. Sempre in giro per affari a Roma e Milano o in luoghi lontani come l’Arabia Saudita, Il Cairo e Hong Kong.
Andava da sé che a pulire il vomito di Nina ci avrebbero pensato i filippini. La servitù in casa era prerogativa di una buona metà dei miei compagni di classe. Il mio liceo era per la gente bene. Non che i miei fossero poveri. La mia famiglia, o quel che ne restava, rientrava fra quelle che si sarebbero potute definire sufficientemente benestanti. Ma la gente bene possedeva i soldi veri e le loro maggiori preoccupazioni erano i BOT investiti in borsa o il porto dove ormeggiare lo yacht durante le prossime feste di Natale.
Malgrado tutto però, Erika era una ragazza a posto. Un po’ viziatella, d’accordo, ma il suo elevato status sociale non l’aveva mai spinta a far pesare a me o a Nina le differenze di classe che ci separavano. Né l’avevano mai spinta a fingere di essere qualcun altro, come al contrario facevano tanti figli di papà. Tutti noi vantavamo qualche stranezza. Bisognava sapersi accettare.
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Mariacuomo44 (proprietario verificato)
Scrittura destinata in particolare ai giovanissimi per il modo in cui affronta temi attuali e scomodi! Complimenti.
Riccardo Leonelli (proprietario verificato)
Un’ottima lettura: romanzo semplice e complesso al tempo stesso. Un linguaggio efficace, moderno e mai retorico. La storia di Anna mette i brividi e stupisce per il coraggio delle scelte, malgrado i tanti errori commessi. Bellissimo!