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Il maestro di Tolmezzo

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Il giovane Benito Mussolini a ventitré anni ha ricoperto l’incarico di maestro nella scuola elementare di Tolmezzo, durante l’anno scolastico 1906/7. Un anno da dimenticare, come egli stesso scriverà nell’autobiografia, o invece un anno importante per la maturazione del giovane, che l’anno successivo sarà a Trento come giornalista e in seguito sarà la figura storica controversa che tutti conosciamo?
L’autore da un lato ricostruisce le vicende vissute dal giovane Benito sulla base di un’attenta ricerca d’archivio e della stampa del tempo, dall’altro cerca di ricostruire il personaggio sulla base di come lui stesso si presenta nelle autobiografie e di come gli storici hanno ricostruito la sua vita e il suo pensiero negli anni precedenti la venuta a Tolmezzo.
Un romanzo storico che si sviluppa sulla finzione letteraria del ritrovamento di due diari: quello di Mussolini e quello di un tolmezzino, suo grande amico. Questo consente all’autore di proporre una ricostruzione psicologica del giovane maestro in difficoltà, in una professione scelta per lui dalla madre, in un ambiente che lo rifiuta per le sue idee di socialista rivoluzionario.

 

L’arrivo in Carnia

La mia vita, sabato 20 ottobre 1906

Il viaggio è stato penoso. La notizia dell’incarico mi era giunta improvvisa. Dovevo prendere servizio come insegnante alle scuole elementari di Tolmezzo, lunedì 22 ottobre.

Ero partito dalla stazione di Forlì alle cinque di mattina. Un viaggio in treno che m’è parso interminabile. Come se stessi andando ai confini del mondo. Ero in effetti diretto ai confini dell’Italia. A Udine, come ultima coincidenza, ho preso il treno per Vienna. Ma non sono arrivato al confine di Stato di Pontebba, sono sceso poco prima, alla piccola stazione precedente di Piani di Portis.

«Per Tolmezzo e Villa Santina si scende» ci ha ricordato, passando per i vagoni, il controllore dei biglietti. E sono sceso.

Le stazioni ferroviarie coincidono di solito con delle città o quantomeno con dei paesi. Dove sono sceso, ho visto invece solo poche case a ridosso dei binari, qualche magazzino, e una stazione di posta.

«Da qui partono le carrozze che collegano alla ferrovia tutto il vasto comprensorio montagnoso della Carnia» così mi ha informato l’unico passeggero che condivideva con me una sgangherata carrozza diretta a Tolmezzo dove ero destinato.

In due non potevamo non presentarci. Scoprii così che il caso, come primo contatto con il paese al quale ero diretto, mi aveva fatto incontrare un signore che faceva Ciani di cognome e che di professione era tipografo. Aveva da poco pubblicato proprio una guida della Carnia. L’incrocio delle coincidenze o destino che dir si voglia, mi aveva portato a imbattermi con chi mi poteva fare da guida qualificata nell’anticiparmi la conoscenza dei luoghi verso cui ero diretto.

A prenderla come un segno del destino potevo considerarmi fortunato. Era di buon auspicio.

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Ma mentre ascoltavo la sua entusiastica presentazione del territorio chiamato Carnia, guardavo dal finestrino della diligenza il paesaggio delle alte montagne che mi venivano incontro. In basso scorreva un fiume che la mia guida mi disse essere il Tagliamento e Monte Amariana la montagna che scorgevo sulla destra staccarsi improvvisamente dalla strada, per innalzarsi ripida e proiettarsi contro il cielo. La sua mole massiccia si distingueva appena alla flebile luce dell’imbrunire. La vedevo incombere sulla carreggiata, mi pareva gravasse come un peso insopportabile sul mio animo. Mi sentivo opprimere con una stretta al cuore, come fosse un triste presagio. Altro che buon auspicio!

Ho accettato un incarico di lavoro così lontano dal mio paese, senza entusiasmo. Non mi preoccupa la lontananza. Su mia scelta ho già trascorso quasi due anni in Svizzera. Mi fa arrabbiare l’ingiustizia che credo di stare subendo. Con tutti i titoli in regola, avendo anche assolto all’obbligo del servizio militare, mi attendevo di avere un posto vicino a casa. Invece, con la discrezionalità che hanno i Comuni nell’assumere i maestri elementari, mi sono stati preferiti altri colleghi, e soprattutto donne, come se, per il mestiere di maestro, i Comuni ritenessero più adatto il sesso femminile.

A darmi fastidio c’è anche il dubbio che mi rimugina per la testa che, a procurarmi questo posto al confine dell’Italia, ci sia di mezzo anche lo zampino di mia madre, sebbene sia già morta da più di un anno. È stata lei a volere che prendessi il diploma di insegnante elementare, e si è molto dispiaciuta quando ho lasciato la professione, preferendo l’avventura della vita all’estero.

A Tolmezzo c’è già un maestro, Lombardi, che è stato mio compagno, se non di classe, certo di scuola in collegio a Forlimpopoli.

In Friuli mi hanno già preceduto due maestre che avevo conosciuto quando avevo preso a insegnare appena conseguita la licenza magistrale. A Osoppo c’è la Scavolini che conosco appena, a Resia invece la Paola Danti che aveva preso il posto di mia madre alla sua morte, e con la quale ho in corso una relazione di qualche importanza, anche se, per quanto mi riguarda, solo epistolare.

Ma non sono stati questi colleghi ad avvertirmi di fare domanda. Mia madre era amica di un’altra maestra, di qualche anno più anziana di me, come lei tutta casa e chiesa. Si chiama Emma Mambelli e insegna da qualche anno alle dipendenze del comune di Tolmezzo, nella frazione di Cazzaso. Credo sia stata lei a segnalare a mio padre che si era liberato un posto in questo comune, e in qualche modo anche a raccomandarmi.

Se poi, come mi ha anticipato il primo tolmezzino che ho avuto l’avventura di incontrare, il mio impegno sarà quello di tenere sotto controllo una classe terribile, immagino che siano entrambe soddisfatte. Mia madre, in combutta anche dall’aldilà, è riuscita ad assegnarmi una penitenza, per i miei comportamenti da scapestrato che ha sempre considerato riprovevoli e persino sacrileghi.

Ho ventitré anni. Quello che mi sta davanti è un anno veramente importante. È l’anno nel quale devo decidere cosa fare da grande. Mi sono diplomato maestro, come ho detto, più per volontà di mia madre, maestra, che per una mia scelta.

Ho insegnato un anno senza infamia e senza lode dalle mie parti, a Gualtieri Emilia, e non escludo neppure di restare a fare l’insegnante per tutta la vita. Vorrei tuttavia continuare gli studi per diventare professore e avere a che fare con ragazzi più grandi. Ho lasciato l’insegnamento per provare l’avventura di due anni all’estero. In Svizzera ho iniziato l’esperienza del sindacalista, ho preso a fare il giornalista. Mi sono immaginato anche come scrittore, ho scritto racconti e poesie.

Ho mosso qualche passo su tante strade. Ma non mi sono fatto ancora l’idea di quale sarà la mia strada maestra. Un anno qui, ai confini dell’Italia, se non del mondo, dovrà servire per mettere basi più solide al mio futuro! Almeno lo spero!

Il nuovo maestro

Il beffardo, sabato 20 ottobre 1906

Oggi sono rientrato da Udine con l’ultima diligenza, quella che parte dalla stazione ferroviaria alle diciannove e venticinque per arrivare a Tolmezzo alle venti e cinquantacinque. Almeno secondo gli orari esposti, perché poi nella realtà, tutto è più flessibile rispetto alla presunta precisione a cui farebbe pensare quel dettaglio dei minuti sulla tabella esposta alla partenza. Una flessibilità legata a quella della ferrovia che da Udine porta in Austria e che sulla puntualità lascia sempre molto a desiderare. Anche se, a onor del vero, va detto che ha portato a un miglioramento radicale di tutto il sistema di trasporti della montagna friulana, quando è stata attivata proprio trent’anni orsono.

Quando mi reco a Udine per affari, mi capita alle volte di utilizzare l’ultima corsa. Di norma, sono solo. La maggior parte della gente rientra con la diligenza delle diciotto e cinque che arriva a Tolmezzo alle diciannove e trenta. Oggi invece ho fatto tardi e il contrattempo ha favorito l’incontro e la conoscenza con un originale passeggero che viene dalla Romagna e con il quale mi pare di essere subito entrato in sintonia, se non proprio in amicizia.

Un giovane sui vent’anni, vestito di nero, con un foulard nero, annodato a fiocco sopra la camicia bianca, come usano fare gli anarchici.

Da come si è mosso scendendo dal treno, guardandosi attorno, ho capito subito che il giovane era la prima volta che metteva piede in Carnia e quindi mi è parso un dovere di cortesia attaccare bottone. Io avevo già preso posto, lui s’era attardato a informarsi.

Quando salì gli diedi il buonasera. «È la prima volta che viene da queste parti?» gli chiesi poi, tanto per dir qualcosa.

Si guardò attorno, forse sorpreso di vedere che eravamo solo noi due.

«Buonasera» mi rispose. «Non deve essere un centro molto trafficato Tolmezzo» aggiunse poi, continuando a guardare i posti vuoti e notando le condizioni poco raccomandabili della vecchia diligenza.

«No, no, si sbaglia!» gli ho replicato. «È il capoluogo della Carnia!»

«La Carnia?» mi ha chiesto, come se sentisse quel nome per la prima volta.

«Sì, è il territorio che comprende la parte montuosa del bacino del fiume Tagliamento. Deriva il suo nome dai Carni, le popolazioni celtiche che lo hanno abitato prima della conquista da parte dei Romani.»

«Anche dalle mie parti, prima dei Romani, c’erano i Celti Boi» ha preso a dirmi lui, presentandosi subito come uomo di cultura.

«Scusi» lo interruppi. «Stiamo parlando dei Celti e non ci siamo neppure presentati. Mi chiamo Gio Batta Ciani, Titta per gli amici, ma anche per i nemici, perché nel nostro dialetto, Gio Batta diventa Tite. Io invece, non ho mai capito perché, sono diventato Titta. A Tolmezzo gestisco una tipografia. Piccola ma molto moderna.»

Così dicendo gli diedi la mano.

«E io mi chiamo Benito Mussolini» mi rispose, toccando la mia mano senza stringerla, con una diffidenza che mi parve strana. «Sono un maestro elementare e ho ottenuto un incarico proprio a Tolmezzo, dove sto andando a prendere servizio.»

Avremmo potuto fermarci ai convenevoli. Ma il giovane maestro m’era risultato simpatico a pelle, e quindi mi sedetti di fronte a lui, sentendomi in dovere di fargli da guida, anticipandogli qualcosa sul paese dove avrebbe posto la residenza, almeno per qualche tempo.

Anzi, potei confermargli che sapevo del posto che s’era liberato e che gli era stato assegnato. Ancora ai primi di agosto il Consiglio comunale aveva deliberato di istituire una sesta classe sperimentale, destinandovi come insegnante il maestro che faceva anche da direttore. S’era quindi liberato il posto occupato da lui precedentemente, quello delle classi quarta e quinta. Posto però che era stato occupato dal vecchio maestro Zearo, che aveva approfittato della situazione per liberarsi d’una classe, la seconda, che l’anno prima lo aveva fatto impazzire.

So queste cose perché ne ho sentito parlare, e quindi ho potuto anticipare al nuovo maestro che non gli si presentava una situazione né facile né piacevole, visto che, come ultimo arrivato, gli avevano riservato la classe più difficile.

Gli ho anche suggerito di prendere alloggio alla nuova trattoria La Scala, a quattro passi dalla scuola e con costi minori rispetto al Leon Bianco, dove mi aveva detto d’aver prenotato.

Quando siamo scesi a Tolmezzo in piazza XX settembre, per mostrarmi cortese, ma soprattutto per l’immediata simpatia che mi aveva ispirato, gli ho detto che se avesse voluto continuare a parlare con me, mi avrebbe trovato il giorno dopo al bar dell’Albergo Roma.

«Lì, se vuoi, alle cinque» gli ho detto salutandolo e indicandogli il locale, davanti al quale s’era fermata la diligenza.

Su mia richiesta eravamo già passati dal “lei” al “tu”, a conferma del fatto che tra noi era nata una immediata e spontanea intesa.

Il primo impatto con la Carnia

La mia vita, domenica 21 ottobre

Seguendo i consigli del mio nuovo amico, ho trascorso la mattinata ad accordarmi con la titolare della pensione che mi aveva indicato. Secondo lui era quella che aveva il migliore rapporto qualità-prezzo. Non mi aveva anticipato che la differenza la faceva anche, per non dire soprattutto, la moglie del proprietario.

Al Leon Bianco la pensione dove avevo alloggiato la prima notte, secondo i suggerimenti che mi aveva dato la maestra Mambelli, il mobilio era più ricercato, ma l’accoglienza era stata d’una freddezza glaciale.

Scendendo dalla diligenza la mia guida mi aveva salutato, dicendomi che la moglie lo stava attendendo per la cena. Mi aveva indicato come proseguire oltre l’arco della vecchia porta, residuo dell’antica cinta muraria della cittadina, per imboccare la via nuova, sulla quale affaccia la pensione di cui gli avevo dato il nome. Quei pochi passi con la valigia, su una strada deserta, mi avevano confermato nell’idea che m’ero fatto d’essere finito ai confini del mondo.

Ero solo ai confini dell’Italia. Ma un lampione a elettricità che dava luce alla via riusciva appena a sciogliere il buio della notte, reso viscido da una leggera nebbiolina, per la pioggia che aveva preso a cadere.

Quando spinsi la porta della locanda, questa mosse un campanello che mi ricordò il suono dei campanacci che avevo sentito nelle campagne della Svizzera. Richiamato da quel suono comparve un omone con i baffi alla Francesco Giuseppe e un vocione da orco che, senza neppure salutarmi, mi chiese: «È lei Benito Mussolini?».

«Sì» gli ho risposto quasi scusandomi d’averlo disturbato. «Ho prenotato alcuni giorni fa, per questa notte.»

«Appunto» ribatté. «La stavo attendendo. Primo piano, camera due.»

Così dicendo mi ha consegnato la chiave della camera, senza chiedermi se avevo cenato o se avevo bisogno di qualcosa. Ma non mi riuscì d’aprire bocca per obiettare.

Ho preso la chiave e mi sono adattato a passare la notte cercando di dimenticare i morsi della fame. Non era la prima volta. Ne avevo provata altre volte di fame! Probabilmente non sarebbe stata l’ultima. Quella patita in Svizzera, in qualche modo me l’ero cercata. Qui la subivo. Per una volta che avevo seguito le regole di comportamento del mondo che si definisce civile, avevo finito per incrociare una persona incivile.

Dopo questa accoglienza, anche senza alcun suggerimento, mi sarei cercato un diverso alloggio, visto che dovevo viverci dei mesi. Il suggerimento della mia guida della sera prima, costituiva una sollecitazione in questo senso. Allo stesso tempo mi dava un’indicazione. Pagai e uscii per trasferirmi alla trattoria La Scala.

Il sorriso della nuova proprietaria mi riappacificò subito con Tolmezzo. E non solo il sorriso. Mi pareva un donna uscita da un quadro del Caravaggio. I capelli biondo oro le scendevano in una treccia sulla spalla, dopo aver incorniciato una faccia fresca dalla quale emergevano due pomelli rubicondi, a far da contrappunto a una bocca dalle carnose labbra rosse. Scendeva poi la treccia come un torrente di montagna in un anfratto profondo tra due poppe straripanti, contenute a forza da un corpetto che pareva dovesse scoppiare e slacciarsi da un momento all’altro. Ma nulla era l’immagine rispetto al sorriso! L’espressione sorridente emergeva dal viso come il vapore della brina, quando viene accarezzata dal primo sole. Le parole le uscivano con un suono dolce, e una cadenza ritmata: la voce invitante del respiro d’un orgasmo.

Sorrideva e mangiava una mela. Un gesto maleducato rispetto all’ospite entrato nell’atrio d’ingresso della sua pensione. Ma una maleducazione che avrei voluto continuasse all’infinito. Staccava i morsi con la forza e la passione di chi sa gustare fino in fondo ciò che porta alla bocca, mentre un filo di succo le colava dai bordi.

Avrebbe potuto pormi qualsiasi condizione economica, avrei accettato senza esitazione. Le spiegai quindi che mi sarei dovuto fermare per tutto l’anno scolastico e lei mi propose un prezzo per vitto e alloggio molto più vantaggioso di quello che avevo visto esposto alla locanda al Leon Bianco.

Non esitai ad accettare e a decidere che sarei stato suo ospite per l’intero anno scolastico.

Saputo che ero il nuovo maestro e che venivo dalla Romagna, si fece subito in quattro. Voleva persino aiutarmi a portare la valigia. Ma forse era solo una scusa per potersi avvicinare e strusciarmi.

Salendo le scale con lei davanti, ripensai a Virginia che a Varano avevo preso appunto lungo le scale, gettata in un angolo dietro la porta e fatta mia. D’istinto avevo pensato di ripetere la scena, sicuro che non si sarebbe lamentata, come aveva fatto Virginia, perché le avevo rubato l’onore.

Mi trattenni pensando che in un ambiente nuovo era il caso provassi a comportarmi da maestro.

16 luglio 2018

Il Messaggero Veneto

La recensione del libro Il maestro di Tolmezzo di Igino Piutti scritta da Gacomina Pellizzari per il Messaggero Veneto. Il maestro di Tolmezzo recensione Messaggero Veneto

Commenti

  1. Igino Piutti

    (proprietario verificato)

    Chissà se Massimo Scurati sa che questo maestro di Tolmezzo era il suo M da giovane!!!

  2. Igino Piutti

    (proprietario verificato)

    Tiziano Dalla Marta, già sindaco di Tolmezzo, mi ha inviato questo commento:
    Ho letto attentamente il “Maestro a Tolmezzo” ma non ho parole per esprimere la mia ammirazione per il tuo impegno che, ne sono certo, prevaricherà i confini della Carnia per inserirsi nel prestigioso mondo degli scrittori. Il libro è coinvolgente, molto interessante per tanti aspetti: sotto il profili storico e ambientale, umano e sociale, politico e culturale, analitico e caratteriale fino all’esasperazione della personalità di quel Mussolini che assurge ai più alti livelli dell’intelligenza e precipita nell’incontinenza della più sconvolgente libidine.
    L’articolata conduzione del testo alternandolo specularmente con gli argomenti dei due diari è stata una scelta intelligente per i molteplici vantaggi che ritrae il lettore.
    E se è vero che da tempo andavi maturando l’idea di far luce sulla vita del personaggio Mussolini che ha riempito di tante incontrollate notizie la curiosità dei Tolmezzini, la magica scoperta dei due diari, scritti in simbiosi amicale dei due protagonisti è la illuminata ricerca di tutte le sfaccettature umana e storica individuali che hanno saturato la sobrietà tolmezzina di quel breve ma intenso periodo mussoliniano.

  3. Igino Piutti

    (proprietario verificato)

    In occasione del Giro d’Italia, cade a fagiolo il richiamo che si fa nel romanzo alle avventure ciclistiche del giovane maestro https://piutti.blogspot.it

  4. Igino Piutti

    (proprietario verificato)

    “UN LIBRO CHE HO GUSTATO”. Questo il commento d’un mio amico diventato famoso negli Stati Uniti, che ha avuto modo di leggere il libro in una stampa in anteprima. Ripete alla lettera quello d’un amico personaggio importante in Germania al quale ho dato la stessa possibilità e che mi scrive di averlo “genossen-gustato”.

  5. Igino Piutti

    (proprietario verificato)

    STORICITA’ DEL ROMANZO: Mi è stato richiesto di precisare fino a che punto si può parlare di romanso storico e non di fantasia. Attraverso la stampa del tempo ho ricostruito la vita quotidiana di Tolmezzo del tempo. Ho quindi immaginato come la potesse vivere un giovane maestro che aveva già fatto un “ersamus” in Svizzera. Ho invece riprese alla lettera le notisie di cronache che vedevano Benito come protagonista, quando ha celebrato Gioradno Bruno o s’è messo in testa di pubblicare un oposcuolo anticattolico intitolato “lo Staffile” o quando è finito sulla stampa con l’accusa d’aver bestemmiato in classe (accusa smentita con regolare delibera del Consiglio Comunale!)

  6. Igino Piutti

    (proprietario verificato)

    Gino Grillo, da Il Messaggero Veneto del 23 febbraio 2017. Igino Piutti, ex sindaco di Tolmezzo, ammette di avere il vizio di entusiasmarsi di tutto ciò che gli pare innovativo. Casi, avendo in animo di pubblicare un suo nuovo romanzo – questa volta imperniato sulla figura di Benito Mussolini, maestro elementare a Tolmezzo – che ha intitolato semplicemente “Il maestro di Tolmezzo”, gli è piaciuta l’idea/proposta della casa editrice Bookabook di pubblicarlo in crowfunding in parole povere, a spese dei lettori «L’editore – spiega Piutti – si impegna a pubblicarlo quando 150 lettori avranno pre-acquistato il libro. Lo scrittore fa pure sapere che l’editore, qualora i pre-ordini non superino le 50 copie, si impegna a restituire ai sostenitori, entro 10 giorni lavorativi dalla scadenza della campagna di vendita, prevista in 180 giorni, gli importi versati a titolo di pre-ordine. «Il maestro elementare di Tolmezzo”, è l’ultima fatica letteraria di Igino Piutti già sindaco di Tolmezzo poi presidente dell’Agemont, insegnante all’Istituto Magistrale locale e alla sezione di Tolmezzo dell’IstitutoMalignani. Il dato storico da cui si parte è l’esperienza del giovane Benito Mussolini che, a ventitré anni, ha ricoperto l’incarico di mae-stro nella scuola elementare di Tolmezzo, durante l’anno scolastico1906/7. Un anno da dimenticare, come egli stesso scriverà nell’autobiografia? O invece un anno importante per la maturazione del giovane che l’anno successivo sarà a Trento come giornalista e che in seguito sarà ciò che tutti sappiano che è stato? Igino Piutti, ha realizzato il suo romanzo ricostruendo le vicende vissute dal giovane Benito, sulla base di una attenta ricerca d’archivio e della stampa del tempo. Nello stesso tempo ha cercato di ricostruire il perso-naggio, sulla base di come lui stesso si presenta nelle autobiografie e di come gli storici hanno ricostruito la sua vita e il suo pensiero negli anni precedenti la venuta a Tolmezzo. (gg.)

  7. Igino Piutti

    (proprietario verificato)

    Da Alfio Englaro in Cjargne Online.
    Igino PIUTTI non solo non cessa di partorire lavori letterari a getto continuo ma non cessa di stupire per la enorme varietà degli argomenti trattati, tra i quali il presente riveste una importanza singolare e per certi aspetti inedita.
    Questo suo ultimo lavoro è ancora in fieri. E’ però importante, a mio avviso, darne conto fin d’ora sia per le prevedibili discussioni che potrà suscitare in Tolmezzo (e di riflesso in Carnia e in Friuli) sia perchè merita davvero un periodo preparatorio (una specie di novena laico-letteraria) per giungere alla fatidica data del parto con una disposizione d’animo adeguata e soprattutto scevra di pregiudizi, sia storici che ideologici.
    Eh si, perchè finora il clichè di “Benito Mussolini maestro in Tolmezzo” era massimamente sintetizzato nelle due divinità greche più goderecce e amate dal popolino: Venere e Bacco. Meno di una macchietta da avanspettacolo insomma!
    Al termine della lettura di questo lavoro di oltre 300 pagine emerge invece una figura di Mussolini un po’ diversa e direi certamente più completa e complessa di quanto la scarna e lacunosa storiografia ufficiale abbia voluto finora tramandarci.
    Innanzitutto occorre dire che l’autore, prima di incamminarsi su questo sentiero (che a chiunque potrebbe apparire incerto sdrucciolevole e irto di insidie) si è ampiamente documentato, compulsando non solo i vari documenti presenti in loco (cartolari comunali tolmezzini, giornali dell’epoca…), ma leggendo tutta la vasta bibliografia riguardante il Mussolini giovane e tutti gli scritti giovanili di Mussolini, convinto socialista, animato da principi solidaristici e guidato da indomabile spirito rivoluzionario e anticonformista.
    Quindi le fondamenta di questo lavoro sono assolutamente storiche.
    Su queste basi Piutti, intreccia poi da par suo una storia romanzata, dove in assenza di riferimenti certi o di documentazione precisa, inserisce osservazioni e deduzioni personali che, lungi dal corrompere il lavoro o squalificarlo, lo sostengono e lo rendono assai verosimile ed accettabile, in una parola godibile e allettante.

    A ben osservare, si tratta del racconto di un unico anno di vita del futuro duce, di quell’anno trascorso in Carnia a fare il maestro elementare (anno scolastico 1906-1907). Ed anche su questo versante, mentre la (interessata) storiografia ufficiale ci aveva tramandato la figura di un maestro incapace e svogliato, Piutti (già docente di lettere) reinterpreta diversamente Mussolini, delineando una figura di insegnante moderna e certamente avanti coi tempi rispetto all’epoca, un insegnante “alla Montessori” per intenderci, che vuole utilizzare metodi pedagogici innovativi ma del tutto incomprensibili non solo per la società tolmezzina di allora ma anche per gli stessi superiori scolastici…Un aspetto che mi ha incuriosito è stata la predisposizione del giovane Mussolini per le lingue: oltre al francese ed al tedesco (che conosceva assai bene – fu anche brillante traduttore – avendo egli trascorso un prolungato periodo in Svizzera come emigrante squattrinato in cerca di un qualsiasi lavoro), Mussolini volle approfondire la sua conoscenza anche del latino, andando a lezione addirittura dal cappellano di Tolmezzo, seppure per un breve periodo, interrotto a causa di… Ed era ancora giovane!

    L’ultimo aspetto che mi ha colpito è costituito da alcuni lacerti dei suoi scritti politici giovanili i quali vanno ad irrobustire ulteriormente il racconto: viene offerta così la opportunità di conoscere il pensiero socialista del primo Mussolini che non è mai banale, semmai sorprendente, specie pensando al viraggio politico successivo, che a Tolmezzo però non affiorava neppure in nuce; e di viraggi politici ce ne sono stati allora (magari all’incontrario) e ve ne sono ovviamente anche oggi, eccome…
    Questa di Piutti non è nè vuole essere una riabilitazione postuma del duce ma semplicemente una rivisitazione del ventenne Mussolini Benito attraverso “la ricostruzione del contesto storico in cui visse a Tolmezzo… incrociando dati storici e di fantasia”.

    Tra gli aspetti più singolari di questo libro, mi hanno incuriosito i seguenti:

    – il “cretinismo parlamentare”, di cui era (è?) affetta l’Italia del primo Novecento.
    – la figura paterna e quella materna per il ventenne Mussolini
    – gli intrecci amorosi locali del giovane protagonista
    – l’ amicizia e la frequentazione con alcuni socialisti tolmezzini
    – la cooperazione che sta nascendo in Tolmezzo
    – la vita religiosa (bigotta) in paese
    – i giornali dell’epoca con le loro gustose diatribe politiche quotidiane
    – l’ambiente tolmezzino di allora (che mostra sorprendenti analogie con quello di oggi)
    – la meritocrazia della Svizzera e la raccomandazione italica
    – la nascita della Coop Ca della quale abbiamo assistito invece alla sua morte!
    – l’anticlericalismo militante e fiero di molti tolmezzini del tempo (oggi del tutto evaporato)

    Coesistono anche altri elementi non meno curiosi e singolari che emergono nelle varie pagine e che meritano di essere scoperti personalmente da chi leggerà il libro…

    Come è infine strutturato questo lavoro?
    Credo che questo particolare aspetto dell’opera debba restare in embargo, per consentire al futuro lettore di godere appieno delle invenzioni letterarie di Piutti che sa cavare dalla propria indomata fantasia ogni utile marchingegno per costruire le sue avventure storiche o letterarie.
    Personalmente ritengo quindi che questo libro possa essere letto sia come un avvincente romanzo sia come uno spaccato di vita tolmezzina romanzata del secolo scorso, imperniato sì su un singolare personaggio ma indipendentemente dall’ (ir)resistibile percorso politico che lo stesso compirà successivamente; occorre ricordare infatti che nel 1906 Mussolini Benito è solo un anonimo forest socialista anticonformista catapultato in una Carnia sospettosa e bigotta.
    Comunque sia, il lettore ne trarrà vantaggio, ampliando le sue conoscenze storiche locali (e non solo) e trascorrendo alcune ore in ottimo relax, perchè Piutti stimola e sorprende sempre ma non annoia mai.
    Mi sento di ringraziare Piutti per avermi dato questa singolare opportunità. Ora spetta a un Editore serio assumere l’onere e l’onore di stampare questa speciale pubblicazione che si preannuncia fin d’ora come un evento letterario di indubbio richiamo.

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Igino Piutti
Igino Piutti è nato a Tolmezzo (Udine) nel 1943. Dopo una vita da insegnante di materie letterarie nei licei e amministratore pubblico, in pensione ha riscoperto e ripreso la passione giovanile per la scrittura, pubblicando una ventina di libri con diversi editori, con una preferenza per i romanzi storici ambientati nella Carnia dove è nato e vissuto.
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