Pochi sanno e chi conosce teme, pochi hanno il coraggio di pensare anche solo per un istante che la realtà a volte non sia quella dell’alba, ma ciò che accade dopo il tramonto. Io adesso sparirò dietro a un falso narratore, non perché voglia defilarmi o apparire snob, ma perché in questo modo mi rimarrà l’illusione che tutto questo sia accaduto a qualcun altro e che io possa, forse un giorno, dimenticarmene.
Si apre il sipario, sarà solo un fiume di parole e vaghe fantasie, o tutto ciò è accaduto sul serio? Non infossatevi nella vostra poltrona, io sono reale e gli attori fingono di essere altro, non abbiate paura, non è una semplice pièce, ma il racconto di un incredibile viaggio.
Silenzio! Ora vado a trasformarmi e ad assumere il mio ruolo, quanto vorrei che non fosse quello che il copione mi ha assegnato! Buio!
1
Non sappiamo bene che anno corresse. Sappiamo solo che sullo sfondo si stagliano i contorni di una qualsiasi città di provincia. Al centro della scena un letto, una camera agghindata con poster e foto e, sotto alle coperte, un singolare personaggio.
No! Ciò che sta per accadere non può limitarsi a uno sforzo didascalico. Ricominciamo.
Era il 1990 e l’anno scolastico volgeva verso il giro di boa. Simon annaspava arrancando tra versioni di greco e inutili espressioni matematiche. La radio trasmetteva programmi di musica pop e il dito veloce scattava sul tasto “rec” quando partiva qualche hit del momento. Il Rocci si stagliava senza vergogna al centro della scrivania e gettava sguardi torvi verso gli occhi verdi che, affaticati, cercavano di decifrare passi di antichi scrittori.
A un tratto, apparve una figura dallo spiraglio della porta; aveva in mano una tazza di tè e la sua bocca sussurrò: «Tutto a posto?».
«Sì, cacchio! Ma’ grazie, ma vengo io dopo!»
Sapeva perfettamente che quella risposta avrebbe sortito sentimenti contrastanti, ma da un po’ di tempo la fatica del crescere aveva travolto anche le persone più vicine. Gli occhi stanchi si rituffarono sul testo enigmatico e con calma si adattarono agli strani geroglifici. Durò poco e la mente, allenata a scollegarsi per istanti infiniti, si bloccò.
In brevissimo tempo si attivò l’organo più infame nei momenti scolastici: il cuore! Ahi, impossibile per chi ripone al centro del proprio essere il lato emotivo, lasciare che i sentimenti possano rimanere sopiti. Simon si immerse in un solitario torpore, senza accorgersi che, fuori dalla finestra, il sole si accingeva a tramontare, inesorabile conclusione di una giornata mediocre. Gli occhi spensero la luce. Il cervello lasciò, come il sole, il pallido orizzonte razionale e a un tratto il mondo terreno si offuscò. Simon si accorse, solo per un istante, del perdersi verso un mondo parallelo.
Si risvegliò non appena la porta cigolò e sua mamma si stagliava al centro della stanza. Inerte, il Rocci giaceva sulla scrivania. Era il segnale che l’ostico passo di qualche antico poeta greco poteva aspettare. Alla fine, anche il suono inconfondibile delle campane della chiesa accanto scandì il momento giusto per sollevare il proprio corpo e inforcare la bici verso più attraenti scenari come il corso di teatro, forse l’unica ragione di vita che prospettava panorami al contempo narcisisti e accattivanti.
Mentre sfrecciava sulle strade cittadine, Simon ripensò per un istante, ma solo fugacemente, al dormiveglia nel quale era caduto. Ebbe un brivido e gli apparve una strana figura. No, dai! Era stato solo un momento di assopimento, normale conclusione di un pomeriggio di studio. Eppure, anche dopo diversi minuti, tutto si rimescolava nel suo cervello e, ciò che era peggio, nel profondo del suo animo.
Scacciò ogni esitazione, legò la bici al palo e scese le scale verso la scuola di teatro. L’insegnante stava impartendo le prime nozioni per una perfetta trasformazione e una soddisfacente immersione nel testo proposto. Simon seguì i gesti del resto della classe con la solita passione e si lasciò trascinare nel magico mondo del teatro, unica situazione nella quale dimenticare ogni contatto con la realtà.
Respirare ed emettere, il gesto si compie, sciogliere i muscoli e dimenticare la tensione, questo è recitare! Simon trascorse ogni singolo istante con la passione di un sognatore, godendo delle minime sensazioni che travolgevano il suo istinto di animale da palcoscenico. Si immerse con tutto se stesso in un monologo delirante sul senso della vita. Aveva preparato il pezzo per diversi giorni, tralasciando inesorabilmente i propri impegni scolastici. Era lì con gli occhi fissi alla platea, certo pochi spettatori, i suoi immancabili compagni di corso. L’ultima immagine che ricordava era il suo insegnante che sorrideva, ebbro delle emozioni trasmesse dalla sua voce e dal suo corpo.
«Simon!»
Non era quella la reazione che si aspettava. Il suo modo approssimato di travolgere il pubblico lo attanagliava ancora.
«Simon!»
No, ora basta! Non è corretto spegnere l’afflato attorale di una promessa dello spettacolo. Aprì gli occhi verdi e inquadrò lo scenario. Era sdraiato a terra e attorno a lui uno squallido capannello di persone. Mise a fuoco. Vide una bocca che si protendeva verso di lui, in un gesto di disperazione.
Rinsavì. Si appoggiò alle braccia, sollevandosi lentamente. Albergava in lui un’amara sensazione di stanchezza. Quando il quadro fu più chiaro, si accorse di essere ancora sul palco, ma nel profondo del cuore si percepiva un’assenza di consapevolezza. Bevve un bicchiere d’acqua e fu trasportato su una panchina negli spogliatoi del teatro. Accanto a lui, sorridente in modo quasi meccanico, sedeva Paul, il suo compagno di mille avventure, l’unico che si era trattenuto nel locale.
«Paul?» Non pretendeva che si palesasse una qualsiasi verità, ma quella richiesta di aiuto smosse l’amico.
«Dimmi, Simon.»
«Cos’è successo?»
«Hai perso conoscenza, per un attimo sei sparito!»
«In che senso?»
Paul cercò le parole migliori per mitigare l’ansia. Spiegò in modo affannato che, mentre si immergeva nella parte, Simon a un tratto si era perso, con sguardo assente e occhi che si chiudevano. Simon fu percosso da un brivido gelido. Assente? Occhi chiusi? Gli tornarono in mente le sensazioni provate quel pomeriggio. Lo sguardo torvo di quello strano personaggio.
No, non era possibile! Non poteva certo essere un caso.
Poi Paul proferì delle parole indelebili e tutto si fece buio: «A un tratto hai gridato, è stato un urlo agghiacciante. Hai detto “Perché?”, io ho provato a chiamarti, ma tu avevi perso conoscenza».
Simon balzò in piedi e salutò Paul con un cenno tra la gratitudine e il rifiuto. Indossò la giacca e lasciò l’amico basito e incerto di come prendere la cosa. Slegò la bici e si catapultò per le strade della città, ritrovandosi tra le luci che accecavano più il suo orgoglio che i suoi occhi leggeri. Corse a zig-zag sui marciapiedi, incurante delle persone sorprese dalla sua folle corsa.
Arrivò a casa e si fiondò in camera. La madre lo osservò attraversare il corridoio, accennò una frase, ma rinunciò a fermarlo. Simon si trovò nella stanza, quando a un tratto si accorse di non essere solo. Il fratello, sdraiato sul letto, lo guardò: «Esci stasera?».
Simon reagì in modo aggressivo con un secco “No”, pur sapendo che ad attenderlo ci sarebbe stata Sara, la sua ragazza. Corse in sala, alzò la cornetta e compose il numero.
«Sara?»
«Sì?»
«Hai voglia di venire qui stasera?»
«Ok.»
Riattaccò. Riuscì a malapena a ingurgitare un pezzo di polpettone e poi si schiaffò sul divano, facendo zapping tra i canali. Dopo qualche minuto, finalmente suonò il citofono.
Sara si presentò come sempre bellissima, con una gonnellina a fiori e una camicetta rosa. Simon apprezzò, era il suo vestito preferito. Aveva in mente solo una cosa ed era certo che in quel modo gli strani episodi occorsi quel giorno si sarebbero dileguati in un amplesso di emozioni. La prese per mano e la portò verso camera sua. Sara si lasciò condurre nella loro alcova, serena e consapevole di quello che sarebbe successo.
La camera era inondata di una luce soffusa e Sara si sedette sul letto. Simon mise una cassetta di musica classica, non il suo genere preferito, ma senza alcun dubbio una melodia adeguata. Si fissarono negli occhi per diverso tempo senza parlare, benché lui avesse una voglia pazzesca di raccontarle tutto.
Gli attimi si succedettero in modo non completamente meccanico, ma Sara percepiva una sorta di alone che sovrastava tutto il contesto. Simon sapeva cogliere in lei ogni piccola sfumatura e il loro amore si basava su un’intesa, non scritta, ma comunque attenta e limpida. I loro corpi conoscevano ogni movimento e in poco tempo si immersero in un amplesso quasi idilliaco. Le parole sussurrate vagavano tra le lenzuola, quando, a un certo punto, il sole spense la sua luce e tutto svanì.
«Simon?»
Il suo corpo nudo si depositò in una sorta di limbo e Sara cercò con il contatto una reazione: «Simon?».
Il nulla dominava incontrastato sul volto di Simon. Per la terza volta il grido sussurrato di sconforto si spense nella stanza: «Simon?».
Si risvegliò. Incrociò gli occhi del suo amore e rimase inebetito, non capendo perché esprimessero quella sensazione di paura. Sara si alzò muovendosi in modo caotico, riprese i vestiti e se ne andò.
Lui rimase lì, seguendo con lo sguardo la fine di una giornata pazzesca. Salì dentro di sé un sentimento di rabbia e decise di prendere la via più semplice. Si vestì, saltò fuori dalla stanza, buttò un’occhiata fugace ai genitori seduti sul divano e abbandonò dietro di sé le parole confuse che gli rivolgevano. Era arrivato il momento di fare qualcosa.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.