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Il mare adesso

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Rebecca è convinta che aver lasciato la Liguria, trasferendosi a Firenze e rifugiandosi nel primo lavoro che ha trovato possa aiutarla a non pensare al suo passato, da cui scappa costantemente. Con la morte di zia Peppa, però, è costretta a tornare a casa, facendo inevitabilmente i conti con tutto ciò che pensava di essersi lasciata alle spalle. Il soggiorno si prolungherà molto più del previsto e questo la aiuterà ad accettare i propri demoni, perché solo perdonando e risolvendo le situazioni rimaste sospese, si può davvero andare avanti una volta per tutte. Tra nuove amicizie e persone che tornano dal suo passato, gli affetti reali di Rebecca la aiuteranno a rispondere alla domanda che ormai da giorni risuona insistentemente nella sua mente: “Cos’è la felicità?”.

CAPITOLO UNO

Doveva essere l’alba quando mi accorsi che una luce lampeggiava sul comodino: la testa era ancora sotto il cuscino e gli occhi abbottonati, visto che la sera prima avevo fatto tardi e avevo preso sonno con fatica.

Allungai il braccio, afferrai il telefono; sentii il rumore forte della lampada a terra, della bottiglietta d’acqua e finalmente risposi.

Passò qualche minuto prima di scendere dal letto.
Misi i piedi in terra e fu come entrare in una pozzanghera. Solo dopo aver bevuto un buon caffè e spalancato i vetri in cerca d’aria, realizzai cosa era successo.
Fu in quel momento che Firenze entrò prepotente in casa mia.

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Feci le cose che facevo appena sveglia, ma nella testa mi ronzavano le parole della telefonata.
Non riuscivo a scegliere come vestirmi: pantalone di lino e camicia, jeans e maglietta: troppo elegante o troppo sportiva! Insomma, un gran caos. Nel giro di un nano secondo avevo catapultato l’armadio sul letto.

Scelsi un abito a fiori, presi la borsa che la sera prima avevo scaraventato sul divano e corsi in ufficio.

Ciò che avevo saputo non avrebbe dovuto sortire nessun effetto su di me, invece… quella voce, quelle parole e il tremore delle mie mani furono una reazione inaspettata.

CAPITOLO DUE

Sapevo di trovare solo Lorenzo in ufficio a quell’ora. Non avevo voglia di dare tante spiegazioni, mi sarebbe bastato parlare con lui.

Lavoravo nello studio da quasi dieci anni. Arrivata a Firenze, non ci avevo messo molto a trovare quell’impiego, anche aiutata da un po’ di fortuna. Non era certo la massima aspirazione, ma quel posto mi permetteva di vivere senza aver bisogno di nessuno.

Lorenzo si mostrò comprensivo e mi concesse tutto il tempo di cui avevo bisogno.

Ero sempre stata presente e affidabile.

Le colleghe avevano famiglia e figli. Quando c’era bisogno di rimanere in ufficio fino a tardi o lavorare il sabato, mi offrivo volontaria. Tanto non avevo nessuno a casa ad aspettarmi.

«Mancherò per pochi giorni» dissi guardandolo negli occhi al di là della scrivania. «Un problema di famiglia mi riporta a casa.»

Scesi le scale di corsa e sbattei il portone.
Camminai per il centro assorta nei miei pensieri.
Da anni facevo quel tragitto, sentendomi così fortunata a vivere nella città più bella del mondo.
L’estate era alle porte e Firenze già invasa di turisti.
Si sentiva ovunque un miscuglio di lingue che mi affascinava. Le persone camminavano ammirando semplicemente la città: un museo a cielo aperto, la culla del Rinascimento. Ogni vicolo, scorcio, anche i posti meno noti, quelli che non trovi sulle guide, offrivano uno spettacolo da mozzare il fiato: il tramonto su Ponte Vecchio, Palazzo Pitti e le sue mostre d’arte, la fila lunghissima per entrare alla galleria degli Uffizi. Mi piaceva intrattenermi con i turisti che mi chiedevano informazioni per trovare una via, un locale alla moda o una trattoria dove mangiare qualche specialità toscana. Sfoderavo il mio inglese e mi mettevo a loro disposizione.

Capitava così di trovarmi a girare e rigirare sottosopra una cartina. «Verso nord, potete passare da Piazza della Signoria… No, no, forse è meglio se andate in fondo a sinistra verso Piazza della Repubblica.» Insomma, una gran confusione. Mi sbellicavo dalle risate quando mi rendevo conto che non avevano capito nulla e si dirigevano da tutt’altra parte.

Chiederanno a qualcun altro, pensavo mentre li vedevo andare via.
Mi era capitato anche di accompagnare sconosciuti in via Tornabuoni e arrivare tardi al lavoro.

Misi in valigia poche cose, sarei stata via il tempo del funerale di zia Peppa, non di più.

Caricai tutto sulla mia Mini rossa e partii.

Non avrei mai immaginato di fare quel viaggio; mi ero ripetuta così tante volte che se fosse morta quella strega non sarei andata a salutarla.

Non so cosa mi era passato nella mente quando il babbo aveva telefonato.

Non mi aveva chiesto se avessi intenzione di andare, immaginando che il fatto non mi avesse minimamente sconvolto; invece, senza pensare troppo, avevo annunciato il mio arrivo.

Ero lontana da casa da tempo e la morte della zia mi aveva dato l’occasione per tornare.

Guidai veloce con il finestrino leggermente abbassato e la musica per soffocare i pensieri; loro, però, furono più rumorosi delle note di Vasco e sul ritornello de La verità provai a riflettere sulla mia verità, quella che tanto tempo prima mi ero rifiutata di cercare.

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Caterina Benini
È nata nel 1972 ad Empoli. Vive a Casalguidi, in provincia di Pistoia. È insegnante di sostegno nella scuola primaria del suo paese, dove è anche impegnata politicamente in consiglio comunale e fa parte dell’associazione culturale Forti Legami. Ha collaborato per anni con il quotidiano Il Tirreno e il giornale on line Report Pistoia. Dopo“Ricominciare” (2004, Ibiskos edizione) e “Franco Ballerini campione in tutto” (2011, Debatte editore) scritto a quattro mani con la moglie del CT, ”Il mare adesso” è il suo terzo libro.
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