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Il prete e il killer

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Santa Giulia è un paese all’ombra del Monte Somma, tra le province di Napoli e Caserta, dove strozzini e commercianti vivono insieme alla luce del giorno. Un negoziante, Stefano, per non cadere nelle mani degli usurai, chiede un finanziamento per pagare le cure mediche del figlio ma, non riuscendo a saldare il debito nei tempi previsti, decide di togliersi la vita.

Don Ciccio, il prete del paese, stanco della malavita e delle banche senza cuore, tiene un’omelia volta ad accusare un sistema senza pietà e attira su di sé l’attenzione degli strozzini, che decidono di dargli una lezione. Carmine, suo vecchio amico d’infanzia e killer professionista, si sentirà in dovere di intervenire come ultimo atto prima di ritirarsi dalle scene.

Una storia di camorra, ma soprattutto di amicizia e riscatto, di un clergyman e di una fondina, che appartengono a due anime affini, e di un uomo di Chiesa che non giudica né un suicida né un killer.

IL PRETE

Il suicidio del salumiere

«Ho saputo stamattina che un mio amico si è ammazzato. Si è impiccato nel suo garage. Lo ha trovato la moglie. 

«È morto Stefano. Stefano D’Onofrio. Era mio amico. E ora sono qui a fare l’omelia. I funerali li celebriamo domani ma io ho bisogno di parlare. Non posso farne a meno. Perché si è ucciso? Ma lo sapete tutti. Quando il figlio Giovanni è stato male ha dovuto chiudere per un po’ il negozio così da portarlo in giro per ospedali con la moglie Angela. I medici di Roma hanno per fortuna trovato la cura e ora il piccolo sta meglio. Quanti soldi però ha dovuto spendere Stefano! Intanto il negozio era chiuso e aveva quel dannato finanziamento da restituire alla banca. Soldi per rinnovare il locale con tutti gli annessi e connessi. Erano debiti ma lui da gran lavoratore ce l’avrebbe fatta a pagare. I clienti li aveva, oltre a un grande cuore. Aiutava gli altri che non avevano i soldi per comprare una fetta di prosciutto. Era sempre disponibile con il sorriso sulle labbra. Io invece oggi sono incazzato. E il Padreterno mi perdonerà ma devo sfogare, cari parrocchiani.

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«Quella banca poteva dargli un po’ di tempo in più. Che sono i numeri davanti a un commerciante onesto che fa il suo lavoro? Aiutava gli altri, sorrideva, pagava le tasse. E che fa Stefano? Si ammazza. Poteva chiederci aiuto. Perché non lo ha fatto? Io lo so perché. Aveva una grande dignità ma ha sbagliato a togliersi la vita. Doveva chiedere aiuto. Tutti abbiamo bisogno di aiuto. C’è lì quella croce. Quello lì, quello là sopra è morto per noi, ma anche lui prima di morire ha chiesto aiuto al Padre. E noi? Noi dobbiamo chiedere aiuto quando c’è bisogno.

«Stefano ha sbagliato, gli volevo bene, ma ha sbagliato ad ammazzarsi. Doveva parlare ai suoi amici e ne aveva tanti qui a Santa Giulia. Tanti, porca miseria. Vendevo casa mia pur di pagare quel maledetto debito. Padreterno, tu mi devi scusare ma il solo pensiero che Stefano si sia ucciso a causa di quei signori, che non gli hanno voluto dare un po’ di tempo, mi fa uscire pazzo.

«Cari fratelli, a questo punto sapete che c’è? Io non sto senza fare niente. Eh no! Io, a Stefano, gli debbo tanto e credo anche qualcuno di voi: amicizia, affetto, vicinanza nei momenti difficili. Ha aiutato e sfamato più gente lui che la Caritas. Sapete allora che c’è di nuovo? Domani mattina, quei quattro soldi che ho li vado a togliere dalla Banca del Credito. Li tolgo da lì e li porto nell’altra banca, il Credito cooperativo dove mi dicono essere più gentili. Non sono dei santi eh, sia chiaro, ma non c’è bisogno di essere San Matteo per concedere un sorriso o una pacca sulla spalla. Domattina alle 8:30 sarò il primo cliente, chiudo il conto e porto via tutti i soldi. Sarà una soddisfazione. Spero soltanto di non essere il solo.» 

Sono sibilline le ultime parole di don Francesco D’Empoli, detto Ciccio, cinquantacinque anni per un metro e novanta di momentanea incazzatura. Parole pronunciate dall’altare della chiesa di Santa Giulia e uscite dalla sua bocca con lentezza, durezza, guardando negli occhi i parrocchiani in prima fila. Uno a uno, quasi a fare l’appello. Uno a uno, perché tutti dovevano capire quello che c’era da fare l’indomani. E tutti lo avevano capito. Tutti.

Il giorno dopo

È dicembre. Il 2 dicembre a Santa Giulia fa molto freddo. Sotto il Monte Somma, il cugino buono del Vesuvio, alle 8:30 di dicembre fa sempre un diamine di freddo. Fuori dalla filiale della Banca del Credito la coda è già lunga. La gente batte i piedi sul selciato. Nessuno ha fretta. Arriva Giovanni Lo Iodice, il direttore dell’agenzia. Meravigliato. Come mai tutta questa gente di prima mattina? Saranno almeno una cinquantina di persone, pensa stranito. Tutta gente che conosce. 

Che ci fanno qui? Lo Iodice non era tipo da santa messa. Non sapeva quello che don Ciccio aveva detto la sera prima in chiesa. 

Che ci fa il prete qui? È il primo. Di solito viene il sagrestano, non lui. Che vuole? si arrovella Lo Iodice mentre liscia i capelli più lunghi a sinistra con cui tenta inutilmente di coprire la pelata. Un gesto che in quel momento tradiva nervosismo e preoccupazione e ne aveva ben donde visto quel che stava per accadere.

«Buongiorno, dottor Lo Iodice, allora la apriamo questa banca?» gli chiede don Ciccio che sta fischiettando una canzone. Il funzionario apre la porta dell’ufficio. Dentro ci sono già alcuni impiegati dietro le loro scrivanie. Lo Iodice è uno stronzo e incute paura ma stamattina i sottoposti gli danno occhiate strane. 

«Fate entrare ’sta gente, muoviamoci e vediamo cosa vogliono.» Si toglie la giacca. Non gli piace quella fila all’esterno della banca. Ci sono persone che non vedeva da tantissimo tempo. Sì, è vero hanno i conti da lui, nella sua agenzia, ma li aveva incontrati raramente. Era gente anziana e di solito veniva assieme ai figli. Ora invece ci sono proprio loro, i titolari dei conti. Gente con il bastone, acciaccata.

Entra don Ciccio. Si avvicina a una delle scrivanie. «Voglio parlare con il dottor Lo Iodice per piacere.» Davanti a lui c’è Concetta Di Palma. C’era anche lei la sera prima in chiesa ad ascoltare l’omelia del prete e ha capito quello che sta per succedere. 

«Sì, don Ciccio, glielo chiamo subito. Un minuto.» Si alza e va nell’ufficio di Lo Iodice. 

«Dottore, c’è don Ciccio che le vuole parlare.» 

«Ok, vengo subito» risponde il funzionario.

Sta sudando Lo Iodice e non ne sa il motivo. 

«Allora, Lo Iodice, come state? Sono qui perché voglio chiudere il conto corrente mio e della parrocchia.» 

«Che succede, don Ciccio? Siete affezionato cliente da una vita, perché volete andare via?» 

«La ragione ha un nome e un cognome. Stefano D’Onofrio. Era un mio amico ed era venuto a chiedervi una dilazione per il finanziamento. Vi chiedeva tempo perché il figlio dodicenne si era ammalato e non aveva potuto lavorare. Invece niente. Tempo non gliene avete dato. Era venuto qui e ve lo aveva chiesto piangendo. Lo so. Ma niente da fare. Non si poteva aiutare questa persona, che era una persona onesta, trasparente. Così Stefano è andato a casa e si è ammazzato. Si è impiccato nel suo garage. Mo’ chi ve li paga quei soldi? Che fate, vi prendete anche la salumeria e lasciate in mezzo una strada la moglie e il figlio?» Don Ciccio si alza e avvicina la sua faccia a quella del funzionario, sibilando: «Lo Iodice, in questo momento vorrei prendere la tua faccia e riempirla di schiaffi ma non posso. Sono un uomo di chiesa e di pace. Però una cosa la posso fare. Togliere i soldi dal mio conto corrente. Mo’, subito».

Lo Iodice sbianca. Adesso ha capito. Quel maledetto prete ha portato tutti i parrocchiani a chiudere i conti. Adesso che fa? Come argina quella situazione? Se non fa qualcosa subito, il giorno dopo i capi lo manderanno lontano mille chilometri da casa sua. 

«Don Ciccio, mi dispiace per D’Onofrio ma non chiudete il conto. Vi azzero le spese e posso dare anche un finanziamento agevolato alla vostra parrocchia. Non dovevate riparare il tetto dell’oratorio? Vi servivano cinquantamila euro. Oggi stesso parlo con i capi di Napoli e ve li faccio avere a condizioni agevolate. Però non chiudete il conto e dite anche agli altri di restare. Vi prego.»

Don Ciccio lo sta guardando. Fa una smorfia di disgusto. «Lo Iodice, tu mi fai schifo. Secondo te vendo la memoria di Stefano per riparare il tetto dell’oratorio? Lo sai quanto me ne fotte del tetto? Ora dammi i soldi che mi stanno aspettando al Credito cooperativo».

No, pensa Lo Iodice, si porta tutti al Credito cooperativo. Qui è la fine. 

Mentre Lo Iodice sta riflettendo sulla richiesta del prete, altre persone chiedono agli impiegati di chiudere i conti e trasferire il proprio denaro. 

«Lo Iodice, ci dovevi pensare prima. Ora è troppo tardi» lo apostrofa don Ciccio che sta perdendo la pazienza.

Il capo della filiale di Banca del Credito non sa più cosa fare e sbrocca: «Tu, prete del cazzo che vieni qui, arrogante e stronzo. Certo, te li do i tuoi soldi e vai dove ti pare». Apre la porta a vetri del suo ufficio e quasi la frantuma per la violenza. Rivolto agli impiegati: «Dategli i soldi a questo». Poi rientra nell’ufficio e chiude la porta mentre il sacerdote esce. Si siede e mette le mani in faccia. Piange.

Nella filiale è una processione durante l’intera mattinata. Gli impiegati neanche chiedono più il motivo della chiusura conto. Lo sanno benissimo chi è Stefano D’Onofrio.

Don Ciccio è stato il primo a entrare e il primo a uscire. È raggiante. Fischia Gioia infinita dei Negrita: «L’onda lunga dell’asfalto schiaccia le parole, sguardi persi oltre i vetri, oltre di noi, il ritorno porta addosso mal di testa e mal d’anima, nei silenzi ognuno piano fruga dentro di sé…». Sa di aver fatto la cosa giusta. Ha visto un uomo distrutto davanti a sé ma Lo Iodice non perderà il lavoro. Forse lo trasferiranno ma cos’è un trasferimento rispetto alla morte di Stefano? Quello che stanno facendo i suoi parrocchiani – ritirare i soldi dalla banca – deve essere una lezione, un messaggio a chi pensa di poter usare la vita degli altri e poi buttarla via.

2022-06-13

Aggiornamento

Volevo ringraziare tutti coloro che mi hanno consentito di raggiungere l'obiettivo delle 200 copie nella campagna di crowdfunding per il libro. Grazie mille a tutti.

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    La storia è avvincente, la lettura scorre rapida perché ha il merito di una scrittura immediata senza l’uso di inutili espedienti che avrebbero reso artificiale la genuinità dei sentimenti e delle azioni dei vari personaggi. Personaggi di cui traspare la diversa umanità, il diverso codice etico, il coraggio e la paura, la fragilità e il riscatto, il non mollare per senso del dovere o perché non c’é altra scelta.
    Si é investiti da un insieme di emozioni anche contrastanti tra loro senza, però, cadere nella banalità.
    Fa riflettere e commuovere è davvero un bel libro!

  2. Giovanni Giuliano

    (proprietario verificato)

    Una storia attuale, scritta in modo fluido, scorrevole, senza inutili appesantimenti. Si legge velocemente e con piacere. Le situazioni e gli scenari sono resi molto bene e riesci ad immaginarli e ad immedesimarti perfettamente, provando le emozioni che lo scrittore vuole trasmettere. Anche i personaggi sono molto reali e poco romanzati. Tratteggiati il giusto per poterli ben visualizzare e farti rimanere la voglia di approfondire la loro conoscenza. Mi piacerebbe se ci fosse un seguito!

  3. Luca Busso

    (proprietario verificato)

    Bello, ben scritto, appassionante, scorrevole e toccante.
    La trama, di per sé semplice ma ben sviluppata, porta il lettore a sperare per tutto lo svolgimento in un lieto fine; quando in effetti arriva, porta con sé un’aria di ottimismo e di speranza, non disgiunta da una connessione col territorio, tra i più sventurati del nostro Paese
    È uno di quei racconti che, finiti di leggere, lasciano un buon ricordo, una nostalgia dei personaggi e, soprattutto, un sorriso dentro al lettore.
    È scritto da un giornalista, e si vede: periodi brevi, asciutti; frasi dirette, immagini immediate, sintassi perfetta.
    Da consigliare a chi cerca una lettura fresca, sana e venata di speranza.

    😊

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Vitaliano D'Angerio
È nato in provincia di Napoli ed è laureato in Giurisprudenza. Vive a Milano, dove ha frequentato la scuola di giornalismo Carlo de Martino. È un giornalista professionista e lavora al "Sole24Ore", dove si occupa di finanza sostenibile e di temi legati al risparmio. "Il prete e il killer" è il suo romanzo d’esordio.
Vitaliano D'Angerio on Facebook
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