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Il ragazzo che parlava con le stelle

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Consegna prevista Luglio 2025
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La storia di questo romanzo si sviluppa su due tempi paralleli: Samuele, il protagonista, è impegnato nella ricerca di sua figlia Sara, guida alpina, e di alcuni turisti, rimasti vittime di una slavina.
Mentre Samuele lotta contro il tempo, rivive la propria vita, fino a ricollegarsi con quanto sta accadendo nel presente.
Samuele è orfano dalla nascita a causa di un incidente, e viene allevato dai nonni. Sua nonna gli spiega che le stelle in cielo sono uno strumento usato dalle anime per rimanere in contatto con i vivi, e lo invita a trovare le “sue stelle”.
Mentre il racconto della sua vita si snoda attraverso i momenti più importanti, la ricerca della figlia procede, tra imprevisti, momenti difficili con tanta preoccupazione.
La vicenda in tempo reale si svolge in Trentino, mentre il flashback della vita di Samuele si snoda tra Genova, ma anche l’entroterra genovese e la Val di Fassa.
A far da collante in tutta la storia sono “le stelle” e ciò che per Samuele significano.

Perché ho scritto questo libro?

La scorsa estate nella mia mente si è presentato “Samuele”, il protagonista del romanzo, ed ha cominciato a raccontarmi la sua storia: mentre passeggiavo vicino al mare, mentre stavo seduto la sera ad ammirare il cielo, sfogliando vecchi album di fotografie… insomma, ho cominciato a sentire che avrei dovuto condividere la sua storia, e forse realizzare uno dei miei desideri: provare a far sì che il lettore si trovi nuovamente a guardare il cielo stellato e innamorarsi della sua bellezza.

ANTEPRIMA NON EDITATA

 

CAPITOLO 1

Mercoledì 14 febbraio 2022 ore 23:00

Maledetto freddo! Maledetto inverno! Maledetto telefono! Non voglio rinunciare a cercare Sara, non posso assolutamente rinunciare a cercarla, ma oramai sono rimasto solo. Non voglio assolutamente credere a quello che il capo del gruppo di ricerca della Guardia Forestale mi ha detto qualche ora fa, prima di fermare le ricerche e mandare tutti a casa.

«Samuele, deve rendersi conto che sono oramai più di dieci ore che stiamo battendo questa zona; gli uomini e i cani da ricerca sono esausti e credo proprio che dobbiamo accettare il fatto che le speranze di trovare Sara ancora viva sotto questo disastro siano davvero ridotte al lumicino. Non voglio dire che sia tutto finito, ma ci vorrebbe davvero un miracolo ed io, nella mia trentennale esperienza, di miracoli non ne ho visti accadere proprio mai!»

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Anche Andrea e Stefano hanno rinunciato, almeno per questa notte, anche se mi hanno promesso che domattina all’alba torneranno, e hanno cercato in ogni maniera di convincermi a tornare a casa con loro per riposare un poco. Ma io non posso riposare, non posso smettere di cercare, perché non voglio che anche questa volta mi senta schiacciare dal peso di non aver fatto abbastanza…

Maledetto inverno!… Maledetto telefono!…

“Possiamo ancora vedere la luce di stelle che non esistono più da secoli. Così ancora ti riempie e folgora il ricordo di qualcuno che hai amato per poi vederlo andar via.”

(Khalil Gibran)

5 agosto 1964, ore 4:45 del mattino…

Drin! Drin! Drin!…

«Pronto? Chi parla?… Sì sono la signora Angela Lovati. Sì mia figlia si chiama Sara e suo marito Angelo. Ma cosa è successo?… Come un incidente! E dove li hanno portati? Al Policlinico? dieci minuti e sarò lì!»

Nonna Angela mi aveva raccontato decine di volte quello che era accaduto in quella terribile notte in cui ero nato io!

Non che fosse terribile il fatto che io venissi alla luce, anzi. Tutti in famiglia erano in trepidazione per la mia nascita, ero il primo nipote per nonna Angela e nonno Vittorio, il primo figlio per i miei genitori e la gioia di tutti era davvero incontenibile, ma nessuno, dico proprio nessuno, si sarebbe mai immaginato che la mia nascita sarebbe stata associata ad uno degli eventi più terrificanti per la mia famiglia.

«Sono la signora Angela Lovati, mio marito sta pagando il taxi che ci ha accompagnati qui… Mi avete chiamato perché mia figlia Sara e suo marito hanno avuto un incidente, ma non mi avete saputo dire nulla di più. E il bambino come sta? Posso vederli? Con chi posso parlare?»

L’infermiera, tempestata di domande da nonna, cercò per prima cosa di calmarla e poi l’accompagnò in una saletta dove ad attenderla c’era un medico, o meglio un chirurgo d’urgenza.

«Quanto è grave dottore? Che è accaduto? Come stanno mia figlia e suo marito? Come sta il bambino? Sa, oggi scadevano i termini per il parto…»

«Si calmi signora. Stiamo cercando di fare tutto il possibile per salvare mamma e bambino…»
«E Angelo? Mio genero?». A quella domanda mia nonna mi raccontava che il volto del chirurgo cambiò espressione, passando dallo sguardo rassicurante e professionale a quello del cordoglio e della tenera compassione.

«Purtroppo per lui non c’è stato nulla da fare! Mi spiace signora, ma vedrà che faremo di tutto per sua figlia e il suo bambino. Ora devo andare, ma le lascerò un’infermiera che possa tenerle compagnia. Ѐ venuta da sola?»

«No, mio marito sta arrivando», rispose nonna cercando di trattenere le lacrime e mostrarsi forte. E il mostrarsi forte fu proprio la principale caratteristica di nonna Angela per tutta la sua vita, per tutta la mia vita!

5 agosto 1964, ore 5:30 del mattino

«Signori Lovati?», chiese un’infermiera entrando nella sala d’attesa dove i miei nonni attendevano notizie di mia madre Sara e di me, che ancora dovevo nascere.

“Sì, siamo noi? Ci sono novità?», chiesero all’unisono.

«Il bambino è nato, è sano come un pesce, direi proprio che si tratta di un bel maschietto!», rispose con un sorriso, che nonna non dimenticherà mai, perché non era un sorriso colmo di gioia, ma un sorriso triste, che subito mise in allarme nonna.

«E mia figlia? Come sta? Che sta accadendo? Perché non mi dice nulla di lei?» e, prima ancora che la giovane e addolorata infermiera potesse rispondere, nonna Angela si lasciò cadere su una sedia, con la testa tra le mani e lasciandosi andare ad un pianto dirotto.

«Mi dispiace tantissimo, ma i traumi subiti nell’incidente erano troppo estesi e i chirurghi non sono riusciti a salvare entrambi. Sono addoloratissima, signori Lovati, vi volevo solo dire che vi siamo vicini e che il bambino è comunque salvo, sano, bello, e che appena vorrete vi accompagnerò alla nursery per poterlo vedere».

Nonna mi raccontava che per un tempo che a lei sembrò infinito non riuscì a far altro che piangere, mentre nonno le stava accanto in silenzio, accarezzandola piano sul capo, gesto che avrei visto fargli tante altre volte. Nonno era proprio così: c’era sempre ma non si faceva mai sentire: eppure, se ti trovavi in difficoltà, bastava girarti per ritrovartelo accanto pronto a darti sostegno nel momento giusto!

Terminato di dar sfogo a quel dolore che le opprimeva il petto, o forse esaurite le lacrime, nonna e nonno chiesero a quella giovane infermiera di accompagnarli alla nursery, per fare finalmente conoscenza con me!

«Che nome gli darete?», chiese con grande delicatezza la giovane, dopo aver visto gli occhi dei mei nonni passare dal buio più profondo del dolore alla luce più intensa della gioia.

«Samuele… era il nome che mia figlia e mio genero avevano scelto per lui!»

E così, in una notte tragica, orfano di genitori, ma accolto da due persone straordinarie, eccomi diventare Samuele Lovati: tre chili e mezzo di voglia di far sapere a tutti che ero arrivato io! Infatti nella nursery non si sentivano altri pianti che il mio, con un tono davvero potente!

Mentre nonno rimase ad osservarmi prendere confidenza con la mia nuova realtà, nonna chiese all’infermiera a chi potesse rivolgersi per conoscere quanto fosse accaduto in quell’incidente che aveva cambiato tutto nella vita di così tante persone.

Accompagnata al posto di Polizia del Policlinico venne fatta accomodare nell’ufficio dove un funzionario le raccontò quanto era avvenuto, racconto che nonna più volte mi avrebbe narrato appena raggiunta l’età per comprendere il perché tutti avessero una mamma e un papà ed io no, che continuò a raccontarmi man mano che crescevo, affinché non dimenticassi mai quei dettagli e rimanessero impressi nella mia memoria, come i tanti particolari e le tante storie che mi raccontò a proposito di mamma e papà e che, purtroppo, diventarono ad un certo punto della mia vita fin troppo reali. ma questa è un’altra storia.

I miei genitori erano usciti di casa per recarsi al Policlinico perché a mamma si erano rotte le acque e quindi nel giro di poche ore io avrei dovuto nascere. Si erano preparati a quel momento per tanto tempo ed erano estremamente tranquilli: papà aveva più volte provato il percorso fino all’ospedale, temendo che in preda all’agitazione potesse sbagliare strada o infilarsi nel percorso più trafficato, visto che il Policlinico sorgeva proprio accanto al centro nevralgico della città, e in pieno giorno quella zona era davvero un incubo per gli automobilisti.

Ma per fortuna io avevo deciso di venire alla luce in piena notte, quindi a traffico quasi zero: che grande scelta la mia no?

Non viaggiavano quindi di fretta, ed erano oramai in prossimità dell’ospedale, quando un camionista, che evidentemente non era al corrente del fatto che io avessi scelto di nascere proprio quella notte, né tantomeno si curava di rispettare limiti di velocità e stop agli incroci, aveva attraversato un incrocio ad alta velocità, speronando l’auto dove mamma e papà stavano viaggiando. L’auto era letteralmente volata sull’altra careggiata, capovolgendosi come se fosse stata un modellino di cartone, mentre l’autista del camion vide bene di non fermarsi per prestare soccorso ed era fuggito via.

I soccorsi erano arrivati relativamente in modo tempestivo, ma papà era morto sul colpo e quello che accadde dopo in ospedale ve l’ho già raccontato. Del camionista più nessuna traccia e la Polizia, nonostante le ricerche fatte, non riuscì mai a risalire a chi si era portato via la cosa più bella che un bambino abbia nella vita: l’amore dei propri genitori!

Nel ripensare a quell’evento mi rendo conto oggi, a quasi sessant’anni di distanza, del perché una delle mie grandi fobie fu, e purtroppo ancora oggi è, quella dei camion, tanto che quando uno di essi si accostava all’auto in cui viaggiavo, sia che guidassi io o che a guidare fosse un altro, cominciavo a sudar freddo e da bambino a strillare come un disperato!

2025-01-08

Aggiornamento

Ragazzi...ce l'abbiamo fatta! Ed uso il plurale perché senza di voi non sarei andato da nessuna parte! Vi ringrazio per avermi supportato e sopportato in questi quasi 100 giorni, grazie per la fiducia nel fare il pre ordine, grazie per averne parlato con amici, parenti, conoscenti, grazie per essere intervenuti alle presentazioni, grazie per ogni sorriso che mi avete regalato. Il traguardo è stato raggiunto e Il ragazzo che parlava con le stelle sarà pubblicato! Vi abbraccio tutti e vi aggiornerò su quanto accadrà in futuro. Con immensa gratitudine e affetto Eugenio
2024-11-21

Evento

Centro Civico Buranello - Biblioteca Gallino - Sala Blu Giovedì 21 novembre vi aspetto presso la Biblioteca Gallino, Centro Civico Buranello, per una presentazione della storia di Samuele, il protagonista del mio romanzo "Il ragazzo che parlava con le stelle", e per una chiacchierata sui temi trattati nel romanzo. Vi aspetto!

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Eugenio Fezza
Mi chiamo Eugenio Fezza e sono un insegnante di Lettere presso il Liceo Scientifico Statale G.D. Cassini di Genova.
Sono nato a Genova il 5 agosto del 1964.
Sono sposato con Daniela da trentuno anni, più dieci di fidanzamento, quindi è una vita che stiamo insieme ed abbiamo due figli, Gabriele e Valentina, e cinque gatti. Amo leggere, sono un accanito fan di Harry Potter, come hobby gioco a Subbuteo e mi diletto a dipingere squadre. Adoro camminare, sia in montagna che vicino al mare ed in generale amo la vita all’aria aperta.
Adoro indossare camicie, magliette e pantaloni colorati, con colori vivaci.
Sono un grande fan dei Queen.
Amo i musical, passione comune con mia moglie.
Mi diletto a cucinare. I miei piatti preferiti sono: le lasagne al forno, le torte salate, la frittura di pesce e il tiramisù.
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