Amaberga aveva compiuto il rituale che ripeteva settimanalmente ormai da tre mesi: aveva lasciato un fiore sulla tomba del marito, detto una preghiera all’Unico Dio affinché si prendesse cura dell’anima del caro estinto, poi era salita in groppa ad Annellotte e aveva disceso il ripido sentiero collinare che portava al cimitero; il sole aveva già cominciato a sparire oltre l’orizzonte e le ombre si allungavano come dita affusolate sulla via che portava alla città di Hinger, a meno di mezzo chilometro dalla collina. Spronò Annellotte per farle accelerare il passo e il cavallo rispose con un nitrito recalcitrante. L’animale era nervoso, contrariamente al solito. Ebbe un attimo di esitazione quando raggiunse la strada, come se temesse qualcosa che Amaberga non riusciva a scorgere. Le dicerie su strane creature avvistate nel cimitero nelle ore notturne stavano aumentando giorno dopo giorno, ma lei non credeva a stupide superstizioni. Accarezzò il collo della cavalla che si calmò e assecondò le richieste della padrona, dirigendosi verso Hinger. Amaberga era presa dai suoi pensieri che la distraevano dalla strada familiare. Fu uno sbuffo di Annellotte a riportarla alla realtà. La bestia era tornata a essere nervosa. Un brivido freddo attraversò la schiena della donna che provò un impulso irresistibile a guardare oltre le sue spalle: due cavalieri la seguivano da breve distanza. Il più inquietante dei due era in groppa a un grosso stallone nero che non emetteva alcun suono nel suo incedere maestoso. Il volto del cavaliere era nascosto da un cappuccio che però gli lasciava sfuggire una chioma fluente nera come la notte priva di astri. Amaberga fu costretta ad abbassare lo sguardo schiava del timore che la dominava. L’altra figura contrastava con la prima. Di nuovo era impossibile scorgerne il volto, ma dalle dimensioni doveva trattarsi di un bambino che non pareva in difficoltà a montare un cavallo adulto. I due cavalieri guadagnavano terreno a ogni falcata. Spinta da un terrore irrazionale Amaberga volse lo sguardo altrove, girando il capo lentamente; la visione periferica captò il rapido movimento di qualcosa simile all’ombra di un grosso cane che la sorpassava a sinistra. Si lasciò sfuggire un grido e quando si rese conto che i due cavalieri non erano più alle sue spalle ma a qualche decina di metri davanti a lei, temette di non arrivare viva in città. Quando fu in casa, chiuse la porta a chiave alle sue spalle e si inginocchiò sul pavimento per pregare l’Unico Dio. L’avrebbero trovata di lì a poco, macellata come si fa con i maiali.
La notte era calata su Hinger ed era la prima notte autunnale a richiedere il calore di un camino. Quello che rischiarava l’atrio della locanda della Strega Impiccata aveva dimensioni ragguardevoli e contribuiva a rendere ospitale l’ambiente che contava quattro ospiti oltre al locandiere, sua moglie e sua figlia. Gli avventori erano abitanti di Hinger, i quali passavano abitualmente le serate davanti a generosi boccali di birra giocando con i dadi e facendo a gara a chi le sparava più grosse. La luce delle lanterne creava un cerchio di luce assediato dalle tenebre.
La locanda era proprietà della famiglia di Egid da tre generazioni e si diceva che prima fosse appartenuta a una strega che finì i suoi giorni impiccata a una trave dell’edificio per opera di un demone con il quale aveva stretto un patto senza averne rispettato i termini. Ingrid sbadigliò mostrando la dentatura scarsa e cariata.
«Moglie!» La apostrofò Egid.
«Vai a dormire; qui continuiamo io e Karla.»
Ingrid annuì. La locanda era semi vuota e di lì a poco anche gli ultimi ritardatari avrebbero raggiunto la sicurezza delle loro case. Da qualche settimana si avvicendavano voci di presenze inquietanti che si aggiravano per i vicoli cittadini. Fandonie o verità che fossero, le notizie giungevano quasi sempre alle orecchie di Egid. La locanda era la stazione in cui ogni resoconto – anche il più stravagante – veniva a svelarsi. Qualcuno sosteneva che si trattasse di morti tornati dalle tombe poste nel cimitero sulla collina, altri parlavano di demoni. La Chiesa Universale dell’Unico Dio non aveva ancora preso posizione sulle voci di qualche ubriacone o di menti troppo fantasiose; d’altronde non era accaduto niente che potesse in qualche modo mettere a repentaglio la vita dei cittadini devoti. Eppure la paura aveva cominciato a insinuarsi in molti, tanto che solo i più coraggiosi e i più disperati osavano uscire di casa dopo il tramonto. Ingrid salutò gli ospiti e baciò sulla guancia la figlia; Egid la vide scomparire sulle scale che l’avrebbero condotta nella camera che divideva con lui da ormai venti anni. Gammler – il vecchio cane meticcio – si stirò e poi si accucciò ai piedi del padrone che si sporgeva dal bancone per seguire la partita con i dadi. Uno dei giocatori era completamente sbronzo e non riusciva neanche a tenerli in mano. Karla si era appoggiata in un angolo. Era diventata il centro dell’attenzione di più di un giovane della città. Ma era troppo utile alla locanda per maritarsi, a meno che il pretendente non avesse accettato di dare una mano in cucina. Il sonno stava cominciando ad avere la meglio anche su Egid, quando un balzo improvviso di Gammler lo fece trasalire. Fissava la porta immobile con il collo allungato e il pelo irto, come se una minaccia invisibile stesse per fare il suo ingresso.
«Che succede vecchio mio?» gli chiese.
Il cane lo guardò un attimo con lo sguardo implorante poi tornò a fissare la porta ringhiando; «Tieni a bada quella bestia» disse uno dei giocatori con la voce impastata.
Egid era preoccupato: Gammler era un animale mansueto e raramente aveva mostrato un comportamento aggressivo.
Il locandiere percepì un gelo improvviso, tale da farsi strada fino alle ossa. Neanche le più fredde notti invernali potevano paragonarsi a questa sensazione e quando vide che tutti i presenti provavano lo stesso, ebbe paura. In risposta al suo timore il fuoco nel camino danzò lambito da un vento inesistente. La fiamma delle lanterne più vicine alla porta si spense permettendo alle tenebre di farsi strada attraverso la luce. Un suono stridulo simile alla risata di un bambino – ma carico di una rabbia ancestrale – risuonò nella stanza. Gammler urinò in preda al panico e fuggì su per le scale uggiolando. Tutti erano rimasti in silenzio e si guardavano attorno smarriti e spaventati. Solo l’ubriaco sembrava non rendersi conto di niente. La porta della locanda si spalancò sotto la spinta di uno straniero incappucciato che avanzò nelle tenebre mostrandosi a suo agio, seguito da una ragazzina con i capelli corti rossi e tagliati malamente. Egid pensò che non dovesse avere più di quindici anni. Mentre la osservava, notò con la visione periferica che il mantello dell’incappucciato si muoveva come se qualcosa avesse appena strisciato sulla schiena dell’inquietante individuo. Istintivamente spostò lo sguardo sul mantello che era però perfettamente immobile.
Lo straniero si avvicinò al tavolo più in ombra mentre la ragazzina si avviò verso il bancone sfoderando un sorriso malizioso del tutto fuori posto su quel volto angelico.
«Qualcosa di caldo e una stanza per due.»
Egid provò un senso di nausea perché ebbe l’inspiegabile consapevolezza che quei due non fossero padre e figlia.
«Posso darvi della zuppa, ma non ho stanze libere.»
La ragazzina si sporse in avanti; lo scollo largo mise in mostra i piccoli seni nudi. Tra le mani le era apparso un sacchetto che vuotò sul banco. Sei ducali: Egid avrebbe dovuto lavorare almeno tre mesi per poter accantonare una cifra simile; ma quello che era accaduto poco prima lo aveva scosso e aveva ancora paura. Non voleva dormire sotto lo stesso tetto con quei due.
«Come ho detto non ho stanze libere, ma se vi accontentate della stalla…»
L’uomo dall’altra parte della stanza sollevò una mano e la ragazzina nel vederlo sorrise e disse: «Va bene».
Come aveva fatto l’incappucciato a sentire quello che il locandiere aveva quasi sussurrato? Sei ducali erano un’opportunità unica; non poteva dire di no.
«E sia.»
La ragazzina tornò a rispondere maliziosa: «Non se ne pentirà signore».
Egid ordinò a Karla di scaldare la zuppa. La ragazza obbedì. Era chiaramente spaventata.
Gli avventori lasciarono in fretta la locanda portando fuori l’ubriaco a spalla. La bambina tornò al tavolo dove il suo compagno di viaggio si era seduto, confondendosi con l’oscurità che in quel punto sembrava essersi fatta più densa.
Il locandiere si avvicinò alla figlia che sembrava cercare rifugio nel tepore del fuoco che crepitava nel camino. Sembrava essersi fatta più piccola ed evitava in tutti i modi di guardare nella direzione della coppia.
«Che c’è Karla?» chiese Egid sapendo già che tipo di risposta aspettarsi.
«Hai visto i suoi occhi?» La voce della ragazza era un flebile sussurro. Egid rispose limitandosi a scuotere la testa.
Karla continuò: «Io li ho visti per un attimo; erano gli occhi di un demone. Ha il fuoco dentro. È il Nemico».
Egid ebbe un altro brivido gelido: «Non nominarlo mai in questa casa. Anzi vai di sopra e infilati nel letto».
«Non ti lascio solo padre.»
Egid provò un moto di orgoglio per il coraggio mostrato dalla figlia, ma non voleva sottoporla a nessun rischio. Propose: «Se la zuppa è calda la porterò a quei due. Prima finiranno e meglio sarà».
Nell’avvicinarsi al tavolo con le due ciotole calde ripensò alla teoria della figlia: scartò l’ipotesi che si trattasse del Nemico – l’avversario dell’Unico Dio –, Egid non credeva ai demoni e la sua fede non era salda, ma dopo quella sera avrebbe messo in discussione molto di ciò che credeva di conoscere. Quando fu a pochi passi dal tavolo udì dei sussurri provenire dalla bocca dell’uomo, il quale aveva calato il cappuccio sulle spalle. Erano parole incomprensibili che stava pronunciando rivolto all’oscurità alle sue spalle. D’improvviso si zittì e si girò verso di lui. I suoi occhi erano di un profondo blu. Emanavano un gelo che si percepiva sulla pelle. L’incarnato era pallido – quasi bianco – e i lunghi capelli corvini scendevano sulle sue spalle come serpenti d’ombra. Sembrava che non avesse toccato cibo da settimane tanto che era magro; la bambina sorrise senza più alcuna traccia della malizia disturbante di prima.
«Ecco qua» disse Egid, cercando di sembrare a suo agio.
«Mi scuserete se non sarà la zuppa migliore che avrete mangiato in vita vostra, sarebbe stata più gustosa se foste arrivati un’ora fa, dopo la prima cottura. Spero però…»
Il viaggiatore lo interruppe, la voce era profonda e calda. «Dì a tua figlia che non deve temerci. Lo stesso vale per te e tua moglie.»
In qualche modo quella frase rassicurò Egid. C’era sincerità in quelle parole. Aveva imparato a capire velocemente le persone che aveva davanti. Intuì che quello era un uomo da temere e che non era arrivato lì per caso. Eppure non riusciva ad avere la certezza che lui e la sua famiglia fossero al sicuro e non avrebbe scommesso che lo sarebbe stato il resto della città. Attese che i clienti assaggiassero la zuppa e quando gli occhi della bambina si illuminarono, fu soddisfatto e dovette accontentarsi perché nessuna emozione trapelò dal volto dell’uomo. Fece per allontanarsi ma il viandante lo fermò con la sua voce: «Vuole che tu faccia togliere quella trave».
«Di chi sta parlando signore?»
«Della donna che è stata impiccata lassù» indicò l’oscurità verso la quale poco prima sussurrava. Egid deglutì la sua paura.
«Intendete dire la strega?»
«Non era una strega. Era solo una donna che non voleva essere umiliata da un uomo. Dovresti sapere che gli uomini raccontano storie per mascherare le loro malefatte. Finché quella trave resterà lì, lei non se ne andrà.»
Egid fuggì letteralmente verso il camino. Aveva bisogno del calore per avere la certezza di essere vivo. La notte non riuscì a chiudere occhio ma il giorno dopo sostituì lui stesso la trave.
Forze oscure all’opera
Il vescovo Gunther fu svegliato prima dell’alba dalla campanella che i novizi avrebbero dovuto suonare solo in caso di emergenza. Si sollevò repentinamente a sedere in preda a un senso di urgenza la cui causa non superò le barriere del mondo onirico. Indossò l’abito talare recitando una preghiera all’Unico Dio e si diresse deciso verso l’atrio del palazzo vescovile dove trovò ad attenderlo il primo ufficiale della milizia cittadina.
«Colonnello Arno, perdoni l’aspetto trasandato ma una parte di me è ancora nel letto. Cosa la porta qui a quest’ora della notte?»
Gunther scrutò il volto di Arno. La stanchezza contribuiva a renderlo pallido, ma era l’angoscia il sentimento dominante che traspariva dai suoi occhi. Il patriarca pose la mano sulla sua spalla poi aggiunse: «Volete sedervi un po’?».
Arno cercò di scuotersi dal turbamento profondo che lo avvolgeva; «No padre. È richiesta la vostra presenza in città».
La collina sulla quale era edificato il palazzo Vescovile era posta nel centro della città ma si era soliti considerarla una zona particolare staccata dal resto, al punto che era abitudine riferirsi a essa e alla città come a due entità diverse.
«Sarei grato di sapere qualcosa di più sul motivo di tanta urgenza.»
Il miliziano titubò per un attimo poi rispose: «Una donna è stata uccisa nella sua casa».
Il vescovo cominciò a spazientirsi di tanto mistero: «E perché scomodare me per un omicidio?».
Arno abbassò il capo e rispose: «Perché l’assassino non può essere un uomo».
Gunther dovette fermarsi investito da un ricordo potente nel quale fronteggiava un essere enorme fatto di ombra con ali nere immense, la bocca esageratamente larga costellata di zanne e occhi blu come il ghiaccio. Una spada gli attraversava il petto sprofondando nelle carni fino all’impugnatura e uscendo dalla schiena. Capì subito che era solo una porzione del sogno dal quale la campana lo aveva strappato pochi minuti prima. C’era dell’altro che al momento non riusciva a ricordare, ma la paura che si era lasciato alle spalle da anni riaffiorò in un attimo con forza dirompente. Quell’immagine terribile gli era in qualche modo familiare.
La donna si chiamava Amaberga e ciò che rimaneva di lei era quanto di più raccapricciante Gunther avesse mai visto. Era stata massacrata con ferocia e smembrata; alcune parti avevano chiari segni di morsi. C’erano vermi bianchi sul pavimento e Gunther percepì un odore sgradevole di putrefazione, coperto in buona parte da quello dolciastro del sangue che imbrattava le pareti della stanza al punto da essere impossibile vedere il colore originale. Chiese a Dio di dargli la forza di non fuggire; Dio lo ascoltò. Un tempo Gunther era stato un esorcista e aveva affrontato e sconfitto demoni liberando anime sfortunate dal loro giogo. Aveva rimosso il terrore provato la prima volta che aveva affrontato un demone, ma il ricordo del sogno di questa notte aveva fatto riemergere il senso di impotenza che lo aveva travolto allora come ora. Ma Dio come sempre era al suo fianco a dargli la forza necessaria ad affrontare la prova alla quale il Nemico lo stava sottoponendo.
La sua esperienza con i demoni gli fece riconoscere subito l’opera di uno di essi. Arno era alle sue spalle con due miliziani anziani che – malgrado l’esperienza – non riuscivano a nascondere il loro disagio.
«Arno, come si sono svolti i fatti?»
Il colonnello si prese il tempo di ingoiare la saliva che gli riempiva le fauci a causa della nausea: «Il qui presente sergente Roderbrecht e il giovane Roland – che al momento è in infermeria per non avere retto il confronto con questo macello – pattugliavano la zona e sono stati allarmati dalle grida della donna. Roderbrecht, fa’ un passo avanti.»
«Sì signore» ripose il sergente, obbedendo all’ordine.
Gunther si era inginocchiato davanti ai resti del cadavere cercando indizi. Senza neanche girarsi chiese: «Rapporto sergente».
Roderbrecht raccontò.
«Siamo accorsi sul luogo guidati dalle grida che sono cessate solo quando siamo arrivati all’esterno dell’edificio. Roland ha colpito la porta che ha ceduto al terzo calcio. Siamo entrati e abbiamo trovato questo e quella cosa alla finestra.» Indicò la finestra ancora sprangata.
Gunther sollevò la mano per fermare Roderbrecht. Poi chiese: «Quale cosa?».
Roderbrecht si sforzò di ricordare. Il solo tentativo di farlo era come vivere un incubo. Disse: «Sembrava un uomo ma la faccia era gonfia come una torta dopo la cottura e il corpo era coperto di vermi. Era proprio lì. Ci ha fissato con quegli occhi morti e poi è scomparso.»
«Scomparso?»
«Sì. Un attimo prima era lì, poi non c’era più.»
«E non aveva nessun oggetto con sé?» chiese Gunther.
«Non mi pare.» Rispose Roderbretch in preda al panico per essere stato colto in fallo dal vescovo.
«Tranquillo miliziano» lo rassicurò Gunther. «Vedete qui?» indicò la fronte del cadavere. Il sergente fece un ulteriore passo avanti per osservare ciò che gli veniva indicato, ma vedeva solo carne maciullata senza riuscire a capire cosa il vescovo stesse cercano di mostrargli. Gunther si spazientì, ma spiegò: «Ci sono vari tipi di ferite, graffi, colpi contundenti e morsi, ma qui ce n’è una diversa da tutte le altre. Vedete questo buco sulla fronte? È stato procurato da un’arma appuntita spinta con forza nel cervello. Sicuro di non avere visto niente del genere?»
Roderbrecth scosse la testa ma era chiaro che non fosse certo di nulla. Il vescovo dette istruzione di controllare l’esterno dell’edificio e si occupò lui stesso di esplorarne l’interno. Non c’erano tracce di presenze demoniache altro che nell’atrio. Tutto era accaduto in questo ambiente. Era chiaramente opera di forze oscure. Il rapporto dei miliziani fu negativo. Non c’era nulla attorno alla casa che avesse attirato la loro attenzione. Gunther sarebbe arrivato in fondo a questa vicenda e avrebbe estirpato il Male che aveva osato profanare la sua città.
«Mi aspetto una punizione esemplare per il giovane Roland.»
Arno cercò di difenderlo: «È ancora un ragazzino. Non…»
Fu interrotto da un Gunther furioso: «È abbastanza adulto da far parte della milizia. Voglio soddisfazione o la cercherò presso chi ha la sua responsabilità».
Era risaputo che il vescovo non minacciava invano e Arno temette per la vita del ragazzo.
Nel lasciare il luogo del delitto Gunther non si avvide del corvo sul tetto che aveva osservato la scena. Dopo che il vescovo si fu allontanato gli occhi blu del volatile tornarono a colorarsi di nero; spiccò il volo e scomparve nel buio.
Lo straniero dagli occhi di ghiaccio aveva visto tutto ciò che gli serviva. La ragazzina si agitò nel sonno, scoprendosi. Le risistemò le coperte con delicatezza e sedette nell’angolo della stalla all’interno del pentacolo protettivo che aveva disegnato con il carbone. Il momento del sonno era il più pericoloso per chi gli stava vicino. Ne era consapevole, ma aveva bisogno di dormire per poter controllare i suoi demoni interiori. Il sonno non tardò ad avere la meglio su di lui.
Krieger priest
Gunther non era riuscito a riprendere sonno. Aveva chiesto ad Arno di fargli avere una lista degli stranieri che erano entrati in città nell’ultima settimana e che ancora si trovavano all’interno della cinta muraria. Stava per albeggiare e rimase piacevolmente sorpreso dell’efficienza del colonnello che aveva già svolto il suo lavoro; probabilmente gli eventi di qualche ora prima avevano minato la sua capacità di addormentarsi. La sua attenzione fu attratta dalla descrizione della coppia giunta proprio la sera precedente: un uomo e una bambina dalle generalità anonime, disarmati e di passaggio. Soggiornavano alla locanda della Strega Impiccata; sarebbe stata la sua prima meta. La raggiunse quando i primi raggi del sole avevano cominciato a penetrare la coltre di buio. La notte stava cedendo rapidamente il passo al giorno. Indossava un mantello con il cappuccio, perché voleva rimanere anonimo. Era scortato da due soldati in abiti civili.
Lo straniero era davanti alla stalla della locanda e stava danzando con una spada in pugno, o almeno quella fu la prima sensazione di Gunther che capì subito dopo non si trattava di una danza, ma di un combattimento contro avversari inesistenti. Fu colpito dalla grazia dei suoi movimenti, dalla rapidità sovrumana e dalla precisione con la quale la spada colpiva immaginari punti vitali. Gli avevano assicurato che era disarmato invece impugnava quell’arma singolare che sembrava la zanna di una bestia gigantesca. Chi aveva preso un simile abbaglio avrebbe assaggiato la frusta. L’uomo era a petto nudo e il suo corpo era quasi completamente coperto da tatuaggi. Erano simboli tribali dal significato incomprensibile. I lunghi capelli neri erano raccolti in una crocchia. Nel vedere gli occhi blu come il ghiaccio Gunther ebbe un capogiro e provò l’esordio di un sentimento simile al terrore. L’esercizio mentale al quale si sottoponeva quotidianamente venne in suo soccorso. Era un viatico eccellente per affrontare la sua missione divina; la disciplina era ciò che emergeva anche da quel combattimento silenzioso. Lo apprezzava e lo preoccupava, poiché un avversario disciplinato poteva rivelarsi una minaccia letale e aveva la certezza che quello non sarebbe stato un alleato. Scese dal cavallo e gli si avvicinò, senza però superare quel confine che avrebbe disturbato il suo esercizio di stile. Gli occhi blu si fermarono per un fugace istante su di lui, ma la danza continuò finché non giunse al suo naturale epilogo. Con un antico saluto al sole delle terre dell’est. Quell’uomo – oltre a essere un guerriero – era probabilmente un asceta.
«Salute guerriero» esordì Gunther.
L’uomo tatuato si avvicinò a un catino colmo d’acqua e lo rovesciò sul capo e sul corpo sudato. Sembrava essere insensibile al freddo. Liberò i capelli dalla crocchia, scosse il capo, quindi si rivolse all’interlocutore: «Salute a Voi, vescovo. Siete piuttosto mattiniero».
Gunther non riuscì a trattenere un’espressione di sorpresa.
«Avete una vista sorprendentemente lunga. Posso conoscere il percorso mentale che vi ha portato a una simile deduzione?»
Il guerriero si appoggiò alla parete della stalla incrociando le braccia sul petto e sorrise, rispondendo: «Il vostro anulare è più chiaro vicino alla mano che porta ancora i segni del sole augusteo, il che mi fa pensare sia solito indossare un anello. Un uomo sposato non avrebbe motivo di lasciare il suo letto a quest’ora del giorno, a meno che non sia in cerca del calore delle lenzuola di un’altra donna alla quale ha taciuto la sua condizione di marito; ma quei due uomini che fingono indifferenza sono chiaramente al suo servizio. La loro postura è quella di uomini d’arme e si comportano da sottoposti nei Vostri confronti. Quale uomo traditore di moglie può permettersi di viaggiare scortato da due miliziani alle prime luci dell’alba? Un uomo con molta 21 Il Segnato
influenza che ha interesse a celare il suo aspetto dietro un cappuccio per non essere riconosciuto, quindi un uomo dall’identità famosa; un uomo potente che indossa un anello; un uomo di Chiesa. E quale è la massima carica clericale presente in questa città?».
Gunther era sorpreso: «Incredibile. Tutto questo da uno sguardo? Complimenti. Chi ho il piacere di ammirare?».
«Il mio nome è Kaspar Vogel e sono un viandante.»
«Cosa vi porta in questa città viandante?» chiese il vescovo.
«Una sosta prima di riprendere il viaggio verso nord.»
«Nord? A nord ci sono solo barbari e mostri. Questo è l’ultimo avamposto della civiltà.»
Kaspar accennò un sorriso beffardo. Rispose: «Non ci sono solo barbari e mostri».
La bambina uscì dalla stalla stirandosi e sbadigliando a bocca aperta in sprezzo all’eleganza.
Gunther la osservò. C’era qualcosa di sensuale in quel mucchietto di ossa con i capelli arruffati. Senza toglierle gli occhi di dosso si rivolse a Kaspar: «Vostra figlia?».
«No» fu la risposta essenziale del guerriero.
«Non è conveniente per un uomo della vostra età accompagnarsi con una ragazza così giovane. Non è cosa gradita a Dio.»
Per un attimo lo sguardo di Kaspar divenne duro. La risposta non si fece attendere: «E voi, siete certo di sapere cosa è gradito a Dio?».
Gunther percepì un disagio crescente nello sguardo della ragazzina, che gli trasmise un senso di onnipotenza. Quella piccola puttana lo tentava con la sua sola presenza. Quando la vide ritirarsi nella stalla, ebbe un’erezione e fu allora che la sua visione periferica colse un movimento sul corpo di Kaspar. I tatuaggi si contorcevano come mossi da vita propria. Riportò lo sguardo su di lui indietreggiando, ma si accorse che tutto era in ordine: le incisioni sulla pelle erano al loro posto, inquietanti ma innocue. Ripensò alla domanda dell’uomo e rispose. La sua voce tradiva titubanza: «Sono un rappresentante di Dio in terra. Conosco ogni suo desiderio e la sua volontà. Conoscete Amaberga Graf?».
«Dovrei conoscerla?»
«Non saprei. Ditemelo voi.»
«Mai sentita nominare» fu la risposta secca del guerriero.
«Già. Non è detto che abbiate mai sentito il suo nome. Anche il serpente non conosce il nome del contadino che morde.»
Kaspar avanzò di un passo verso il vescovo. I due soldati a cavallo si spinsero nella sua direzione, ma le bestie piantarono le zampe anteriori a terra rifiutandosi di procedere. In un attimo fu di fronte a Gunther con la mano aperta davanti al suo volto. Il vescovo strinse gli occhi temendo un attacco, ma Kaspar si fermò con il palmo aperto a pochi centimetri da lui. La carne della mano si stirò e un simbolo di luce emerse dall’interno; un marchio che Gunther riconobbe immediatamente lasciandosi scappare un’esclamazione: «Krieger priest!».
Quello non era un semplice viandante né tanto meno un abile combattente. Era uno degli ultimi preti guerrieri, i più feroci oppositori alle forze del maligno che la Chiesa dell’Unico Dio avesse mai spiegato in campo; la massima espressione del combattimento e della saggezza divina. Gunther doveva fare i conti con la realtà: si era sbagliato. Quello era il più valente alleato che poteva sperare di avere al fianco. Dio era con lui. Si rivolse ai soldati che – scesi da cavallo –stavano avvicinandosi con intenti bellicosi: «Fermi. Non un passo di più, se tenete alle vostre vite».
I miliziani si guardarono confusi, ma eseguirono l’ordine con sollievo. Avevano la ragionevole certezza che non sarebbero usciti vivi da uno scontro con quell’uomo.
Informazioni
Gunther e Kaspar sedevano a un tavolo della locanda. Sorseggiavano tè mentre la ragazzina beveva latte da un boccale seduta al bancone chiacchierando amabilmente con Karla. La figlia del locandiere era sollevata. Alla luce del giorno i due stranieri non erano poi così inquietanti come le erano parsi la sera precedente. La ragazzina si chiamava Isabelle e veniva dalle terre dell’ovest; raccontò di essere rimasta orfana dopo l’uccisione brutale dei suoi genitori e di essere stata salvata da Kaspar che l’aveva portata con sé, crescendola come una figlia. Karla la ascoltava parlare con interesse. Isabelle emanava una grazia ipnotica. Era bello stare a guardarla e ascoltarla. Le disse che stavano spostandosi verso nord, dove Kaspar cercava risposte a una domanda che lo perseguitava da tempo, ma lei non aveva idea di cosa lo tormentasse. Si era sporcata le labbra superiori di latte e quando Karla le indicò la zona del viso, Isabelle vi passò il dorso della mano e poi lo leccò sensualmente. Un gesto che la figlia del locandiere trovò disturbante.
Gunther era sollevato. I preti guerrieri si erano quasi estinti dopo la battaglia di Munichen, quando un’orda di demoni era riuscita ad annientare un portale della fede, la barriera che sigillava il passaggio tra la loro dimensione e la nostra. Fu la più grande battaglia mai combattuta tra le forze del Bene e le forze del Male. Un vero massacro su entrambi i fronti. Il generale demonio Zauker era riuscito – primo tra i demoni – a riunire un’orda così immensa di suoi simili alla sola vista della quale si era fermato il cuore a un gran numero di soldati. I monaci guerrieri avevano fatto la differenza e quando Victorian Pohl – detto il Bastione, il più grande guerriero dell’umanità – aveva sferrato un colpo mortale a Zauker, le soverchianti forze del Male persero la loro coesione e si dispersero diventando carne da macello. Si racconta che nel culmine dello scontro i due avversari scomparvero in una luce accecante. Nessuno da allora sentì più parlare di Victorian. Dei sessanta monaci guerrieri presenti, solo quattordici sopravvissero allo scontro. Solo un maestro sopravvisse, il venerando Iwan Krauss. L’ordine continuò a esistere, ma divenne solo l’ombra di quello che era stato un tempo. Da allora le incursioni dei demoni divennero sporadiche, ma non cessarono mai del tutto.
L’uomo seduto davanti a lui era un enigma. Gunther si vantava di saper capire le persone dopo averci scambiato poche parole, ma Vogel era un libro chiuso. Non tradiva quasi mai emozioni e quando lo faceva erano contraddittorie. Stavano cercando di capire insieme quello che era accaduto a casa di Amaberga. Gunther aveva riferito quello che aveva visto la notte precedente e Kaspar aveva dato una sua analisi dicendo: «È stata macellata. Più probabilmente l’assassino ha cercato di macellarla ma è stato interrotto dall’arrivo dei miliziani».
Gunther era incuriosito. Chiese: «Macellata? Perché insistete su questo termine?».
«Perché è quello che è successo. Siete stato voi a dirmi che aveva la testa sfondata da un oggetto acuminato. Non è così che si macellano i maiali? Chiunque lo ha fatto voleva lanciare un messaggio.»
Gunther ebbe un’intuizione: «Suo marito Aginolf era un macellaio».
Kaspar divenne pensieroso. Sembrava soppesare le parole di Gunther. Poi chiese: «Parlate di lui al passato. Ne deduco che sia morto».
«Sì, tre mesi fa per avere ingerito cibo avariato.»
Kaspar sembrava interessato. Pose un’altra questione.
«È stata l’unica vittima del cibo assassino? Nessun altro ha condiviso lo stesso cibo?»
Gunther trovò la questione interessante. Viste le circostanze era bene porsi tutte gli interrogativi possibili. Ammirò la rapidità di pensiero di Kaspar. Cercò di rispondere basandosi su ciò che sapeva: «È morto mentre si trovava al lavoro ai macelli pubblici; non conosco le circostanze nei dettagli, ma penso sia possibile risalirvi consultando la milizia».
Kaspar divenne improvvisamente sbrigativo, si alzò dalla sedia dicendo: «Credo che dovreste farlo il prima possibile. Mi piacerebbe collaborare con Voi alla risoluzione di questo mistero. Mi terrete informato sui progressi nelle indagini?».
Gunther annuì lusingato: «Volentieri Kaspar. Vi troverò qui?».
«Dove altro se no?» Kaspar fece un cenno di saluto all’indirizzo del vescovo ancora seduto al tavolo e uscì dalla locanda seguito da Isabelle, la quale non appena fuori si stirò e chiese: «Dillo che c’è del lavoro per me».
Kaspar non la guardò, ma continuò a procedere verso la stalla. Disse solo: «C’è del lavoro per te. La figlia del locandiere ti ha detto qualcosa?».
«Sì. Mi ha detto che Aginolf – il marito della morta – era macellaio e un uomo devoto a Dio e che non meritava quella morte. Pare sia stato avvelenato da cibo marcio. Naturalmente Karla ora pende dalle mia labbra. Le ho raccontato la storiella della bambina salvata dopo la brutale morte dei genitori e sempre naturalmente ha creduto a ogni singola parola.»
Vedendo che Kaspar la ignorava si fermò stringendo i pugni e lo apostrofò: «Grazie Isabelle. Sei stata molto utile. Hai scoperto che il marito era un macellaio ed è morto in circostanze che solo apparentemente sembrano naturali. Certo che sei un vero stronzo».
Kaspar si era lasciato Isabelle alle spalle. Ripose: «Non hai detto niente che non sapessi già; ti ringrazierò quando mi dirai qualcosa di cui ignoro l’esistenza».
Sorrise sapendo di non essere visto.
Isabelle batté un piede a terra e imprecò: «Fanculo».
Kaspar la ignorò.
a.amato
L’autore riesce a confrontarsi in questo libro con due elementi narrativi che ritengo molto complicati e di solito mi fanno un po’ storcere il naso. E invece Giuntoli è proprio bravo con:
1) l’uso dei flashback che interrompono la narrazione – di solito non riesco a seguire una delle due linee temporali e non vedo l’ora di tornare a quella interessante, trovando poco leggibile l’altra. Sono piuttosto godibili entrambe, dosate e alternate in giusta misura da non farmi rimpiangere né l’una né l’altra anzi, rendendole reciprocamente interessanti;
2) l’uso del linguaggio volgare e i riferimenti sessuali – non sono una bacchettona, ma a volte gli autori sembra che debbano far dire volgarità ai personaggi, come per ammiccare al lettore dicendo “Visto? Loro sì che sono dei duri!” e invece rendendoli poco credibili. In questo caso il linguaggio volgare è contestualizzato rispetto alle situazioni, dando più umanità ai personaggi. E le scene di sesso non sono forzature, ma sensate.
Detto ciò, la narrazione è godibile per me che non sono abituata a gestire letture con battaglie demoniache e fenomeni soprannaturali, la dinamicità delle scene d’azione è equilibrata: le cose che accadono sono molto veloci ma senza diventare mai confusionarie al punto da non farci capire cosa sta succedendo.
Giuntoli scrive con destrezza, ecco, io lo riassumerei così.
E mi ha fatto ritrovare il genere fantasy che non esploravo da molto tempo (se escludiamo
il fantasy umoristico da cui siamo lontani, anche se un paio di risate di cuore io me le sia fatte).
Roberto Domizi
Non riesco a staccare gli occhi di dosso da wuesta triologia adesso aspetto il terzo e ultimo libro! Daijeeee
Silvia (proprietario verificato)
Un fantasy ben studiato nei minimi dettagli. Una trama con intrecci mai scontati, con colpi di scena continui. Personaggi complessi, con mille sfumature che emergono mano a mano che si entra nel vivo della storia. Per me è stata una lettura fantasy, ma con quel tanto di giallo che mi ha tenuta lì con la testa anche nei momenti di pausa dalla lettura e con la voglia di scoprire come sarebbe andata a finire ogni avventura… e inevitabilmente nel giro di poco arrivava la soluzione, sempre logica e razionale, malgrado comunque si parli di demoni e di un mondo inventato. Un libro che ho letto quasi tutto d’un fiato come non mi succedeva da tempo!
Enza Daddi
Se siete appassionati di fantasy, thriller e giochi di ruolo come me, questo libro vi piacerà di sicuro. La storia scorre veloce e non ci si annoia mai, impossibile non affezionarsi ai personaggi, molto ben caratterizzati o non interessarsi alle loro vicende, intricate quanto avvincenti. C’è anche un po’ di ironia, che personalmente ho apprezzato.
Non avrei mai voluto che finisse, ma per fortuna sta già per arrivare il seguito!
Maurizio Bigongiali
Piacevolissima scoperta. Appassionante romanzo che incuriosisce il lettore e lo tiene con il fiato sospeso fin dalle primissime pagine. L’ho letto tutto d’un fiato in quanto è scritto davvero bene ed è ricchissimo di colpi di scena. Una pagina tira l’altra! Consigliatissimo.
laura (proprietario verificato)
Storia avvincente e lettura molto scorrevole. Personaggi ben strutturati a, cui vi affezzionerete fin troppo facilmente. Leggetelo, non ve ne pentirete.
Isabella (proprietario verificato)
Un’ambientazione dai tratti vagamente realistici, direi tipo fine medioevo, fa da sfondo a un Fantasy un po’ particolare, in cui la linea tra “buoni” e “cattivi” è spesso ingannevolmente a spirale. Una volta entrati nell’atmosfera, vorrete arrivare subito in fondo per svelare tutti i misteri, e poi, anche se la vicenda si conclude pienamente, vi chiederete perché non c’è ancora un seguito.
(Spoiler: sì, c’è un seguito)
Monica Campolo
ur non essendo un’amante del genere fantasy, ho molto apprezzato questo libro, che non è solo un fantasy, ma un romanzo d’avventura, gotico e psicologico. Il protagonista, Kaspar, è forse quello che resta più impresso, per il suo carisma e il suo magnetismo. Da consigliare a tutti per la scorrevolezza della lettura, grazie anche alla scelta dei capitoli corti che lasciano il lettore con il fiato sospeso e la voglia di andare avanti!
Fabio Brinchi Giusti
Il segnato è davvero un piccolo capolavoro del fantasy con il merito di innovare nettamente il genere. Quindi non troviamo più elfi e gnomi ma una Germania medievale alternativa, con un intreccio di magia cupa e avventure. La storia è veramente ben costruita e intrigante, anche i dettagli sono ben curati: mi ha colpito particolarmente il modo in cui accenna all’omosessualità di uno dei personaggi. Isabelle, però, è la mia preferita!
Simone Giusti (proprietario verificato)
La storia mi è piaciuta per diversi motivi:
1. Perché la scrittura fila veloce e non ti stanchi mai.
2. Perché presenta un personaggio davvero intrigante in un’ambientazione affascinante.
3. Perché ha una struttura interessante con vari episodi autoconclusivi che però costituiscono un’unica storia. Ma soprattutto…
4. Perché non è solo un’avventura fine a se stessa, ma è un libro che comunica cose. Ho sempre pensato che scrivere di genere sia il modo più efficace per mettere in moto le menti dei lettori. Ebbene, questo libro lo fa. Non da subito, nei primi tre capitoli ti cala dentro all’avventura, ma poi, quando sei scoperto e ormai dentro la storia, ecco che inizia a comunicarti cose e lo fa in modo geniale. 🙂
Marzia (proprietario verificato)
Ho acquistato il libro in crowdfunding e non su amazon. Posso solo dire che se non lo leggete vi perdete una grande storia. Avvincente, i personaggi cesellati, l’ambientazione curata nei dettagli con un’atmosfera da romanzo storico. Un fantasy/horror da bersi tutto d’un fiato, mai scontato. Nel suo genere un libro di livello.
Massimo Scolaro (proprietario verificato)
Un tempo il fantasy era una letteratura minore, relegato a pochi titoli e a pochi lettori. Cose per lettori cresciuti a pane e Tolkien. Poi ci fu il boom, la moda e ci siamo trovati tonnellate di libri più o meno uguali sulla falsariga di alcuni capisaldi del genere. La prima piacevole sorpresa è di trovarsi un libro che il qualche modo esula dai classici schemi. Una trama ben scritta e sviluppata, che svela mano mano, a colpi di scena, senza dar tregua all’attenzione del lettore. Inoltre, per chi come me adora un certo variegato mondo fatto di libri, film e fumetti, consente di riconoscere situazioni. Ben citate, omaggiate ma mai copiate. Anche per chi non ama il genere, un ottima lettura, in attesa del seguito.
Simone Giusti (proprietario verificato)
Ho visto la copertina e mi son gasato. Ho letto la trama e ho goduto. L’anteprima mi ha rapito! Lo devo avere! È la storia più intrigante che abbia mai assaporato. Super!