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Il Sopra

Il sopra

La campagna di crowdfunding è terminata, ma puoi continuare a pre-ordinare il libro per riceverlo prima che arrivi in libreria

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Consegna prevista Giugno 2024
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Naomi è una ragazza diciottenne curiosa e appassionata di oggetti antichi. Vive in una piccola e tranquilla città-isola, una delle tante strutture sospese nel cielo e governate dagli Zala, una potente famiglia che comanda da sempre.
È animata da una forte passione nei confronti della storia, dei misteri e soprattutto del “Sotto”, il luogo inaccessibile e pericoloso che nessun uomo potrà mai raggiungere.
Eppure tutto è destinato a cambiare: sua zia Meg, mossa da un terrore inspiegabile, la convince a trasferirsi in un’altra città isola, Naele, per studiare al college.
Qui Naomi si ritrova a fare i conti con il suo passato, un passato che ha come protagonisti i suoi genitori. È come se in tutti questi anni loro avessero lasciato alla ragazza una caccia al tesoro: premio, la verità sulla loro morte.
Per scoprirla, Naomi dovrà percorrere strade intessute di segreti e oscure rivelazioni.

Perché ho scritto questo libro?

“Il Sopra” nasce da una piccola Elena che sognava di raccontare storie e scrivere libri.
In un momento della mia vita in cui avevo bisogno di un obiettivo da completare, ho avuto la fortuna di riscoprire questa storia che avevo immaginato.
Parola dopo parola , “Il Sopra” è diventato un luogo sicuro e ho conosciuto ogni personaggio in modo intimo, quasi fossimo amici.
Scrivere si è rivelata una necessità e non posso più fare a meno del Sopra, delle città-isole o delle persone che vi abitano.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Mi ritrovo in un piccolo atrio con un pavimento marmoreo e alte pareti bianche. Alcune poltrone di velluto blu sono collocate accanto ad una parete, mentre sul lato opposto una donna con un completo grigio è seduta dietro ad un bancone.

Mi sento subito inadeguata, una misera ragazza in uno dei luoghi più importanti e lussuosi dell’intera città-isola.

<< Benvenuta alla stazione di teletrasporto di Dalia. Hai bisogno di aiuto? >> mi chiede la donna.

Mi sorride freddamente, con uno sguardo interrogatorio, come a chiedersi: “Cosa ci fa questa insulsa ragazzina in un posto del genere?”.

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<< Devo prendere il teletrasporto per Naele >>

<< Hai già il biglietto? >> mi chiede.

Lo prendo e glielo porgo.

La donna sembra sbigottita. Guarda il biglietto olografico e si ricompone subito. Poi risponde:<< Benissimo, ti prego di seguirmi signorina Naomi >> e si incammina verso un grande corridoio.

Si susseguono una serie di porte bianche, con sopra degli ologrammi che espongono frasi del tipo: “Teletrasporto Dalia (C.I. 32) – Samiri (C.I. 8)”, “Teletrasporto Dalia (C.I. 32) – Cairone (C.I. 18)” e così via.

Ad un certo punto, la donna si ferma davanti ad una porta con un ologramma che riporta: “Teletrasporto Dalia (C.I. 32) – Naele (C.I. 2)”.

Mi restituisce il biglietto e dice:<< Questo è il teletrasporto per Naele. Lascia la valigia sopra il rullo trasportatore che troverai all’interno e siediti nella tua postazione di teletrasporto. Dopo riceverai maggiori istruzioni >>. Si volta e se ne va, senza darmi il tempo di porre alcuna domanda.

Rimango ad osservare la porta per qualche secondo, poi la apro.

L’ambiente è più piccolo e meno sfarzoso delle altre stanze. Il pavimento è in lastre metalliche e gli unici arredi nella stanza sono poche sedie e un grande rullo trasportatore, con un’insegna olografica con scritto: “Lasciare qui tutti i bagagli. Verranno riconsegnati al termine del teletrasporto nella stazione di destinazione”.

Appoggio il mio trolley blu sul rullo e lo vedo sparire dietro ad una tendina nera.

Ripenso a zia Meg e mi chiedo cosa stia facendo ora. Probabilmente è appena tornata a casa. Forse sta innaffiando le piante o cucinando qualcosa per pranzo.

Perché non ho opposto resistenza? Perché ho lasciato che mi facesse andare via?!

Può darsi che sia troppo accondiscendente con zia Meg. Non ho mai saputo dirle di no.

Ma non è solo questo: ieri ho notato in lei della preoccupazione, un’inquietudine che le avevo visto già altre volte. Magari è solo paranoia, però mi sono sempre fidata del suo istinto.

Se crede che sia meglio mandarmi a Naele, è ciò che farò. Anche se questo implica stare lontana da casa per un po’.

Vengo presa da una morsa di malinconia e avvilimento.

Per distrarmi dalla tristezza, osservo meglio la stanza: noto alcune mappe, probabilmente dell’edificio, appese ad una parete; sottili tubi d’acciaio percorrono il soffitto bianco.

C’è una fila di persone che conduce a una piccola porta di metallo. Osservo un paio di uomini in giacca e cravatta che discutono di non so quale progetto ed un ragazzo sui venticinque anni che attende irrequieto.

Mi metto in fondo alla coda.

Le persone vengono scansionate, una alla volta, da alcuni raggi verdi provenienti da un piccolo apparecchio posto sopra la porta. Terminata la scannerizzazione, si sente un breve rumore e la porta si apre lasciando entrare quella persona.

Dopo pochi minuti arriva il mio turno.

Percepisco il cuore battere e i nervi a fior di pelle.

Tutto va come previsto e la porta si apre lasciandomi entrare in un piccolo ambiente circolare.

Odo all’istante una lieve musica che pervade la stanza: è una di quelle banali canzoncine d’ascensore.

C’è una colonna centrale, circondata da non più di una ventina di poltrone. Sembrano le classiche sedie degli autobus. Molte di queste poltrone sono vuote: d’altronde è raro che a Dalia le persone facciano viaggi inter-isolari. Pareti, pavimento e soffitto sono rivestiti di un materiale grigiastro, liscio e freddo, che al tatto sembra privo di una vera e propria consistenza.

Guardo il biglietto: “postazione 12”.

La scorgo in poco tempo e mi siedo.

Attendo vari minuti facendo traballare nervosamente la gamba destra. Conto e riconto le persone intorno a me: quando sono entrata erano cinque, ora sono ben undici.

Ad un certo punto, la musica cessa e si sente la voce di una donna provenire da un punto indistinto della stanza: “Si invitano i passeggeri a non muoversi dalla propria postazione. Non è consentito mangiare o bere nella propria postazione. Si prega di disattivare ogni genere di dispositivo elettronico prima del teletrasporto. È importante che gambe e braccia si trovino rigorosamente all’interno della postazione durante il viaggio, per evitare incidenti di smaterializzazione. Il teletrasporto avverrà a breve”.

Molti passeggeri sembrano tranquilli e rilassati, altri appaiono più tesi. Vedo un ragazzo, forse della mia età, che osserva nervosamente il cellulare e sistema costantemente gli occhiali sul naso. Forse è il primo teletrasporto anche per lui.

Prendo il telefono e lo spengo immediatamente.

La smaterializzazione avverrà tra pochi minuti e l’ansia si fa sentire.

Poco dopo, la voce che prima aveva dato le indicazioni si sente di nuovo: “Buongiorno passeggeri, si ricorda di mantenere tutto il corpo all’interno della postazione. Il teletrasporto avverrà tra 60 secondi”.

Una capsula conica circonda le nostre poltrone. È un materiale trasparente e sottilissimo, sembra quasi di essere in una sorta di bolla.

L’agitazione si insinua dentro di me e ripenso a tutte le assurdità che sono accadute nelle ultime ventiquattro ore.

Dopo poco sento la voce dire “Dieci secondi al teletrasporto”.

Controllo per l’ultima volta di essere interamente dentro la mia postazione.

“Tre”

In questi ultimi istanti, cerco solo di calmarmi.

“Due”

Ho paura. Che diamine sta succedendo alla mia vita?

“Uno”

L’emozione prende il sopravvento. In poco tempo la mia vita cambierà drasticamente: andrò in un luogo a me sconosciuto, inizierò una scuola nuova e impegnativa, non potrò neanche contattare zia Meg e chissà per quale motivo.

Sento di stare perdendo ogni punto di riferimento.

“Buon teletrasporto”

Tutto ciò che avverto dopo sono sensazioni inspiegabili.

La vista comincia lentamente ad appannarsi.

Non riesco a percepire i sensi. I suoni sono scomparsi e non sento più la morbidezza della poltrona.

Poi, pur avendo gli occhi spalancati, non vedo più nulla; percepisco solo un immenso vuoto intorno a me.

La sensazione di un forte formicolio mi pervade tutto il corpo. Poi il formicolio diventa forte fastidio, come se un milione di aghi mi pungessero la pelle.

Infine, diventa dolore. Gli aghi si tramutano in pizzicotti, che mi tirano verso ogni direzione, come a cercare di strappare via le mie membra. Poi si trasformano in lame, che fanno il mio corpo a pezzi: lo sento disintegrarsi in minuscole parti.

Percepisco di stare soffocando.

Provo un forte male alla testa, come se qualcosa mi stesse opprimendo, provocandomi intense fitte di dolore.

Comincio a sentire un ronzio fastidioso che mi rimbomba nella testa. Il suono aumenta vertiginosamente, fino a diventare insostenibile.

In questo momento, inizio a sentire di nuovo il velluto della poltrona e la vista torna lentamente.

Mi guardo intorno: la stanza è identica a prima, pareti circolari di metallo grigio e poche poltrone disposte in cerchio attorno ad una colonna.

“Benvenuti a Naele. Speriamo che il viaggio sia stato di vostro gradimento”

2023-12-20

Aggiornamento

OBIETTIVO RAGGIUNTO! Grazie di cuore a tutti coloro che hanno deciso di sostenere me e 'Il Sopra'! Questo romanzo è davvero qualcosa di importante per me, è l'inizio di una passione che spero non si fermi qui. Perciò non vedo l'ora che possiate leggerlo! 🤩💛

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Elena Moar
Mi chiamo Elena Moar e ho diciassette anni. Vivo a Cusano Milanino, un paesino della provincia milanese, e frequento il quarto anno di liceo scientifico.
Adoro disegnare, giocare a scacchi, fare passeggiate in montagna e suonare il pianoforte. Mi potresti trovare spesso indaffarata mentre scrivo qualcosa su un foglietto di carta, oppure con lo sguardo perso e la testa fra le nuvole.
Fin da piccola ho la passione della lettura e della scrittura, ma più in generale amo raccontare storie.
Il mio primo romanzo, “Il Sopra”, nasce proprio da questa necessità: narrare di luoghi e persone che non possono più rimanere soltanto dentro di me.
Elena Moar on Instagram
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