Introduzione
Questo romanzo racconta il mio punto di vista sull’ossessione e soprattutto come l’abbia vissuta in questi anni. Il termine “ossessione” si associa spesso a un significato negativo, riassumibile in un pensiero totalizzante e in grado di cancellare ogni altro stimolo esterno; se vi fermate a riflettere, però, esiste un’altra parola perfettamente accomunabile all’ossessione e con un significato completamente opposto: “passione”. Due termini perfino simili nell’assonanza, eppure si cerca sempre di non accomunarli, quasi non avessero nulla in comune. Al contrario, può accadere che un’iniziale passione possa trasformarsi – senza che ce ne si renda conto – in un’ossessione ed è stato proprio il mio caso.
La scrittura era nata dapprima come una passione, divenendo poi un’ossessione anche a causa della mia insicurezza e del mio senso di insoddisfazione perenne che attanagliava la mia esistenza. Senza scavare troppo nel torbido della mia vita, vi basti pensare che fin dalle medie mi chiedevo quale potesse essere lo scopo nella mia esistenza. Perché ero venuto al mondo, se non ero in grado di fare nulla? Non ero bravo nelle faccende pratiche, non ero un secchione, negli sport ero un gregario e mai un fuoriclasse. In sostanza, galleggiavo sempre nella media, o sotto la media, e temevo di essere destinato a non trovare mai la mia vera vocazione. Sapevo immaginare, questo sì, ma oltre al gioco cosa poteva servirmi avere una buona dose di fantasia? A ventitré anni compresi i motivi di tutta quell’inventiva: la scrittura. Quella scoperta mi aveva permesso di sentirmi meglio anche con me stesso, grazie a un lavoro introspettivo importante e fruttifero. In poche parole, avevo iniziato a volermi bene e dovevo tutto all’arte, senza rendermi conto però che questa aveva generato su di me altri due problemi non indifferenti: isolamento mentale e paura del futuro. Isolamento perché ogni pensiero diurno era focalizzato alla scrittura: volevo conoscere persone solo per avere spunti da scrivere, volevo apprendere più informazioni solo per avere più possibilità di accrescere il mio bagaglio culturale e trasferirlo nelle mie righe. Paura del futuro perché con la scrittura non ci si poteva campare e io volevo disperatamente diventare un professionista, dato che era l’unica cosa in cui mi sentivo davvero bravo.
Il romanzo è una sintesi di tutte queste componenti, attraverso una storia che parla di fragilità, ambizione, bramosia e autodistruzione. Nella storia troverete la rapida discesa di un ragazzo nel tunnel dell’eroina, senza che io ne abbia mai fatto uso nella mia vita. La scelta di raccontare qualcosa a me completamente sconosciuto è stata una sfida stimolante ma complessa, perché tuttora non sono certo di aver fatto un buon lavoro nell’immedesimarmi nella testa di un eroinomane. Essendo un prodotto di fantasia, determinati comportamenti sono stati accentuati per interessi puramente narrativi (ho scritto questa frase anche per sottrarmi da eventuali critiche per l’esasperazione di alcune azioni), ma la speranza è che quanto scritto sia coinvolgente e il più verosimile possibile.
Negli anni ho compreso quanto la fantasia sia un grande contenitore nel quale si può inserire la qualunque, comprese le azioni più nefande e moleste, senza pagare le conseguenze. I limiti mentali sono imposti solamente da noi stessi, perciò non potevo sentirmi in colpa nel realizzare una storia che contenesse due protagonisti erranti e per nulla positivi. La scelta di mettere a confronto i punti di vista di tutti e due è stata una personale flagellazione mentale, ma necessaria se volevo essere certo che chi leggerà la storia potrà comprendere i reali motivi delle loro azioni. Sono ammattito nel far combaciare ogni aspetto della trama, nel tessere tutti i fili intricati di una vicenda all’apparenza lineare ma resa complessa da questo espediente. Mi auguro che le date inserite vi orientino al meglio e riescano a restituirvi la chiarezza degli eventi, perché lo scopo finale del libro rimane sempre quello di intrattenervi e non farvi venire il mal di testa (com’è accaduto a me scrivendolo). Preciso soltanto che le date non corrispondono correttamente ai giorni del calendario, ma sono perlopiù inventate. Il motivo è legato a scelte di tipo narrativo, perché mi facevano comodo determinati giorni della settimana in cui far corrispondere precisi eventi della storia.
Rispetto a quando ho iniziato a scrivere questo romanzo – sette anni fa – sono una persona diversa. L’amore per la scrittura rimane, ma ho imparato a darle il giusto peso e a comprendere come non sia l’unica via alla mia felicità e al mio sostentamento economico. Ho saputo reinventarmi e, soprattutto, ho trovato una compagna stupenda che mi ha aiutato nel mio percorso di crescita e ha saputo rendermi completo oltre la scrittura. Alla fine di tutto, sono riuscito comunque a pubblicare il mio primo romanzo e non posso che essere soddisfatto per avercela fatta.
Ricordo una volta di aver letto un aforisma che diceva “Uno scrittore professionista è un dilettante che non ha mollato”.
Felice di aver dato ascolto a questa frase.
Continua a leggere1. L’anniversario
Sabato 27 ottobre 2016, ore 00:00
Niente, non riuscivo a scrivere niente.
Quell’incessante riff di chitarra semiacustica si ripeteva fino alla nausea, eppure continuavo a volerne sempre di più. Mi ero acceso da poco la sigaretta e quel suono malinconico emanava una pace straziante, mentre spostavo lo sguardo verso la finestra. Emisi una nuvoletta di fumo che si disperse nel buio tetro e senza nuvole. Non ero solito fumare, ben altri erano i miei vizi e non per nulla migliori. Avevo optato per il male minore.
Voltai la sedia girevole verso la scrivania e ripresi a guardare il videoclip che avevo acceso su YouTube. Era il video musicale del brano Fell on Black Days, interpretato dalla band di Seattle, Soundgarden.
Amavo la scelta di riprendere la band in una sala di registrazione, immersa in una fotografia dove spiccava il contrasto fra bianco e nero. Proprio quell’alternarsi di luci e ombre rifletteva la caduta nei giorni scuri che la band di Seattle manifestava con angosciante tranquillità. Il riff di chitarra accompagnava la voce delicata e flebile di Chris Cornell dentro le sue paure e delusioni, lui che solitamente la espandeva in acuti esaltanti. A glorificare tutto ciò, i continui primi piani sul viso semilluminato del cantante, a rappresentare le due facce del suo stato d’animo: bianco e nero. La parvenza di felicità, dettata dalla fama, si scontrava con una quotidianità sofferta e che traspariva dai suoi occhi. C’era così tanta armonia in quel video che ogni volta ne scorgevo un particolare differente. Un dettaglio sul viso, un’espressione o un’inquadratura che me lo faceva amare ancora di più.
Si prese la scena finale l’assolo conturbante di Kim Thayil e a seguire un ultimo primo piano diretto sul cantante. Il viso sembrava assente, lo sguardo spento, nonostante ciò riuscì a sussurrare le ultime parole della canzone, ovvero “I sure don’t mind a change”.
Poesia pura.
Mi ero distratto, come spesso mi capitava quando non volevo concentrarmi. Spensi la sigaretta nel posacenere, chiusi la finestra del canale YouTube e ritornai sul foglio di Word, aperto da chissà quante ore e sul quale non avevo scritto ancora nulla.
Ma chi volevo a prendere in giro? Da anni non riuscivo più a farlo e pretendevo di ritrovare l’ispirazione quella sera? Più che un’illusione, un tentativo amaro di non voler ammettere che mi fossi arreso da tempo. Da ragazzo mi veniva tutto più facile, ora il solo pensiero di mettermi seduto sulla scrivania mi disgustava.
I giorni scuri di cui parlava Chris nel mio caso proseguivano da cinque anni e ancora non volevo arrendermi all’evidenza.
Pensare che mi ritenevo un bravo scrittore e questo appartamento ne era la prova tangibile, il frutto concreto del mio ingegno. Associare la bravura a un pensiero materialista poteva essere squallido, ma l’affermazione rappresentava una forma di grande rispetto nei confronti del lettore. Era solo grazie a lui se io potevo godere di questa fortuna, definirmi bravo. La mia filosofia in sostanza si riassumeva in un pensiero tanto cinico, quanto veritiero: Ti comprano? Sai scrivere.
Pura legge del mercato che mi aveva permesso di vendere oltre trecentomila copie del Supereroe di Vetro, il mio romanzo, in tutta Italia, oltre a una distribuzione estera in Spagna, Germania, Inghilterra e Francia.
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Elia Ricci (proprietario verificato)
Di seguito la mia personale recensione inviata all’autore:
Lettura terminata.
Innanzitutto ti faccio i miei complimenti perché ho letto il libro con piacere, la scrittura era fluida e ti invogliava ad andare avanti nella lettura ad ogni fine capitolo. Mi è piaciuto il cambio di protagonista a metà libro dando ognuno la propria prospettiva della vicenda. E bello mostrare al lettore come ogni storia cambi in base agli occhi di chi la guarda. Se posso fare una piccola critica da esperto del settore ( ho lavorato 10 anni in psichiatria e con tossici). Di solito chi arriva a prendere eroina ha un malessere interiore ed un vuoto esistenziale dal quale non riesce ad uscire. Il protagonista ha avuto tutti i presupposti per averlo ( vedi perdita dei genitori ). Nel libro l’assunzione di eroina viene attribuita soprattutto al desiderio di riuscire a creare il fumetto . Ecco io non ho percepito quel vuoto e quella sofferenza che ho visto nei veri tossici e ho trovato un po’ “semplice “ la sua decisione di arrivare alleroina. Non so se sono stato chiaro !! Diciamo che ho percepito poco la sofferenza esistenziale che ti porta poi a quella scelta.
Detto questo ti faccio ancora i miei complimenti e spero di leggere presto un altro romanzo , però non dovrai sentirne il peso ed usare la droga dello scrittore 😉 BRAVO!