Il peso dei suoi pensieri, quelli che aveva cercato di lasciarsi alle spalle durante il viaggio, era più forte che mai. Le si aggrappavano alla pelle, al petto, come catene invisibili. Ma questa volta non c’erano promesse di un domani migliore, né speranze di redenzione. Solo la consapevolezza che tutto avrebbe trovato una fine in quel luogo.
Il freddo non le importava più. Guardava l’orizzonte con uno sguardo vuoto, come se cercasse un segnale, una conferma. Ma c’era solo il vento, il fiordo, e quel vuoto che sembrava invitarla con voce muta.
Avrebbe potuto essere tutto così semplice. Un passo. Solo uno. L’eternità era a un soffio, e la gravità avrebbe fatto il resto.
Annelise si accovacciò sulla neve, avvolgendo le ginocchia con le braccia. La neve sotto di lei era gelida, ma non tremava. I ricordi la travolgevano come un’onda gelida. Pensò alla sua infanzia, a quando suo padre la portava in montagna per insegnarle a sciare. Era un uomo severo, ma giusto. Ogni lezione era accompagnata da parole di incoraggiamento che sembravano dure, ma nascondevano un affetto profondo. Sua madre, invece, era sempre stata più distante, più concentrata su se stessa e sul mantenere un’apparenza impeccabile. Annelise aveva spesso avuto la sensazione di essere una figura marginale nella vita di sua madre, un accessorio che doveva semplicemente funzionare senza fare troppo rumore. Crescere in quella famiglia l’aveva resa forte, o almeno così aveva pensato per molti anni. Aveva costruito una carriera brillante nel settore della cybersecurity, lavorando per aziende di prestigio internazionale. Era diventata una leader rispettata, una donna che non si fermava davanti a nulla. Ma quel successo aveva avuto un prezzo. Le notti insonni, le relazioni fallite, la solitudine che la divorava dall’interno: tutto ciò aveva scavato un vuoto che nessun traguardo professionale poteva colmare. Il fiordo sotto di lei sembrava chiamarla, la sua superficie nera e immobile era ipnotica. Annelise si chiese cosa ci fosse al di là di quelle acque. Non in senso geografico, ma in senso simbolico. Era come se il fiordo fosse una porta verso qualcosa di sconosciuto, un luogo dove il tempo e lo spazio non avevano significato. Sentiva il richiamo, ma allo stesso tempo ne aveva paura.
Un rumore improvviso la fece sobbalzare. Si girò di scatto, cercando di individuare la fonte. Tra gli alberi, una figura si stava avvicinando. Era un uomo, alto e robusto, con una barba folta e un cappello di lana tirato giù fino alle sopracciglia. Portava uno zaino e un bastone da trekking, e ogni suo passo sembrava calcolato, come se conoscesse bene il terreno. Annelise rimase immobile, incerta su cosa fare. Non era abituata alla presenza di estranei, soprattutto in situazioni come quella. Il suo primo istinto fu quello di alzarsi e allontanarsi, ma qualcosa la trattenne.
«Ehi» disse l’uomo con un sorriso leggero. La sua voce era calma, il tono amichevole.
«Ehi» rispose Annelise, cercando di mantenere un tono neutro. Non era sicura di volere compagnia, ma non voleva nemmeno sembrare scortese. L’uomo si fermò a pochi passi da lei, guardandola con curiosità.
«Sei qui da sola?» chiese, senza alcuna traccia di giudizio nella voce.
«Sì» rispose Annelise, stringendo le braccia intorno al corpo per il freddo. «E tu?»
Lui annuì. «Anche io. Mi chiamo Eirik.»
«Annelise» rispose lei, senza stringergli la mano. Eirik sorrise di nuovo, un sorriso che sembrava nascondere qualcosa.
«Questo è un buon posto per pensare» disse, indicando il fiordo con un cenno del capo.
«Già» rispose Annelise, senza aggiungere altro. Non era sicura di voler condividere i suoi pensieri con uno sconosciuto. Ma Eirik non sembrava avere fretta di parlare. Si sedette sulla neve, a una certa distanza da lei, e si mise a osservare il fiordo. Era come se sapesse che il silenzio era la cosa di cui entrambi avevano bisogno. Il tempo passò, ma Annelise non lo percepiva. Era come se fosse intrappolata in una bolla, un luogo dove il passato e il presente si mescolavano. Ricordi di infanzia riaffioravano, mescolandosi con i suoi pensieri attuali.
Il volto di suo padre, severo ma giusto. Il sorriso di sua madre, sempre così distante. E poi, le persone che aveva perso lungo la strada. Amici, colleghi, amanti. Ognuno di loro aveva lasciato un segno, una ferita che non si era mai del tutto rimarginata.
Mentre Eirik parlava, la voce si fece distante, sfumando in un riverbero che risuonava nell’aria, e Annelise si trovò improvvisamente catapultata in un altro tempo, un altro luogo. La nonna, la sua nonna, seduta vicino alla finestra, le mani sempre in movimento mentre intesseva con maestria la lana per creare cappelli norvegesi. Cappelli che non vendeva mai, li regalava, come se la sua generosità fosse un dono sacro, quasi un incantesimo. Annelise la vedeva così, con i suoi occhi dolci e pazienti, sorridendo ogni volta che le chiedeva di insegnarle, ma lei non riusciva mai a imparare. Le sue mani si intrecciavano goffe e nervose, incapaci di riprodurre quei gesti così semplici, eppure così impossibili. Ogni volta, la nonna si chinava su di lei con calma, ripetendo, ma Annelise non riusciva a concentrarsi. Sembrava non volerlo, sembrava disinteressata, ma nel profondo, lo sapeva. La voglia di imparare bruciava in lei come una fiamma silenziosa, un desiderio di riuscire che non aveva mai avuto il coraggio di ammettere a voce alta.
Nicola De Maria (proprietario verificato)
Bello bello bello
Divorato in 2gg
Ma l’ho già inserito nella lista di quelli da rileggere al più presto!
Claudio ZANOTTO (proprietario verificato)
“Questa storia non è solo un racconto ambientato tra paesaggi mozzafiato e note struggenti, ma un invito a vivere pienamente, a conoscere il mondo che ci circonda e a lasciarci ispirare da luoghi, sapori e musica che ci ricordano quanto sia preziosa la vita.” Così l’autore si congeda dal suo testo mentre sottolinea come l’abbia scritto con umiltà e con l’ausilio, mirato e responsabile, di sistemi di intelligenza artificiale per perfezionare la ricostruzione di ambienti e atmosfere.
Come fosse allo stesso tempo un romanzo di formazione intrecciato col distillato di una fiaba antica, il manoscritto ruota attorno all’introspezione della protagonista Annelise e al confronto con il proprio io interiore, i suoi limiti, spesso innescati dall’isolamento offerto dal paesaggio maestoso e silenzioso dei fiordi. Il suo è un viaggio tanto fisico quanto emotivo, generato dal bisogno di lasciare alle spalle il peso delle responsabilità, delle aspettative e quello inalienabile di un passato ingombrante, verso una libertà che non risiede nella fuga, ma nell’affrontare i propri problemi interiori, anche quando sono radicati profondamente e considerati un doloroso tatuaggio indelebile.
Il fiordo con la sua onnipresenza assume un ruolo simbolico centrale, rappresentando un confine tra il passato e il futuro, una porta verso l’ignoto e un abisso che attrae e spaventa Annelise. Il suo silenzio è un tema ricorrente, descritto come qualcosa che può dire più di mille parole, ma che richiede coraggio per essere ascoltato.
Sullo sfondo di una natura imponente scorrono luoghi particolari e curiosi di una Norvegia che non finisce mai di sorprenderci e che l’autore sembra suggerire al lettore, incastonandoli col mondo del lavoro di Annelise nella cyber-security sulle piattaforme petrolifere e declinando un contrasto tra la solitudine e la tranquillità del paesaggio naturale con la frenesia e la responsabilità del suo delicato lavoro.
Una luce sulla trasformazione interiore di Annelise, affidata a un io narrante oscillante tra prima e terza persona e volta al suo risveglio e sulla scelta di affrontare la vita nonostante il dolore e le incertezze. La trasformazione del sussurro del fiordo nella metafora di una voce interiore, una guida silenziosa che porta alla scoperta di sé e alla possibilità di un nuovo inizio.
L’autore riesce ad amplificare la dimensione del testo in modo sorprendente, intrecciando alla narrazione una playlist selezionata con cura, che scorre in filigrana lungo le pagine come fosse l’alternarsi dei grani di un rosario. Ogni brano accompagna e potenzia le svolte emotive declinate nel libro, rendendole ancora più intense, più intime, più vere. Questo accostamento originale tra parola scritta e suggestione sonora dona all’opera una dimensione ulteriore, profondamente spirituale, che la rende unica nel suo genere. accogliendo i silenzi e amplificandone le vertigini. Il risultato è un’esperienza intima, quasi mistica, dove la lettura si fa ascolto, e l’ascolto diventa preghiera. Un libro che non si limita a raccontare, ma che vibra — unico, spirituale, profondamente umano.
Antonio Cecere
“Non hai paura di cadere. Hai paura di scoprire che potresti volare”
Il romanzo “Il sussurro del fiordo” affronta temi profondi legati alla crescita personale, alla paura e all’accettazione di sé. La morale principale del libro ruota attorno al concetto di affrontare le proprie paure e vulnerabilità per trovare una vera libertà interiore. La protagonista, Annelise, si trova di fronte a sfide non solo tecnologiche e professionali, ma anche interiori, imparando che la forza non sta nel controllare tutto, ma nell’accettare anche le parti oscure di sé.