«In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.»
(Giovanni 1, 1-5)
San Giovanni apre il suo Vangelo parlando dell’origine della vita e ci rivela che tutto è stato originato dal «Verbo». Questo termine, nella sua versione greca antica, è ancora più eloquente. Il latino verbum, che significa «parola», viene tradotto in greco con λόγος (lógos), termine che significa anche «pensiero», «discorso», «ragione». Eraclito attribuiva al lógos il significato di legge universale, secondo la quale nulla avviene per caso, ma tutto secondo lógos e necessità.
Dunque, l’origine di tutta la vita, che chiamiamo «Dio», è il Pensiero Creatore, la Coscienza Divina. Il pensiero è energia che si trasforma in materia: la crea e ne influenza le dinamiche. A seconda della sua tipologia e dell’intenzione che lo accompagna, produce differenti vibrazioni e risultati. Questa idea è il fondamento stesso della spiritualità, ed è anche ciò che restituisce all’essere umano la piena responsabilità della realtà che vive. Siamo noi i soli responsabili di ciò che ci accade e, attraverso il pensiero, possiamo trasformare noi stessi, gli eventi e il mondo che ci circonda.
Oggi, questa stessa intuizione è ormai confermata anche dalla meccanica quantistica: sono la volontà e l’intenzione dell’osservatore a determinare la materia, attivando la trasformazione dell’energia in forma tangibile e influenzando il comportamento stesso dell’oggetto osservato.
Nel tentativo di «localizzare» Dio e dargli delle coordinate comprensibili, la matematica ci viene in aiuto, perché essa racchiude in un simbolo concetti che altrimenti non potrebbero essere abbracciati dal pensiero finito. Per esempio, nessuno può davvero immaginare l’infinito, ma attraverso il simbolo ∞ sappiamo esattamente di cosa stiamo parlando.
I cabalisti conoscevano bene questo principio: nei simboli trovavano un approccio diretto e intuitivo per avvicinarsi gradualmente a concetti che la mente umana non può afferrare del tutto. Anche la parola «principio», usata da Giovanni, è un concetto molto difficile da abbracciare con la mente. Non dobbiamo attribuire a questo termine un significato strettamente umano, spaziale o temporale. Il «principio» citato da Giovanni non è un inizio temporale, ma un punto atemporale dove spazio e tempo nascono e collassano insieme: l’Alfa e l’Omega.
Per aiutarci ad immaginare questo punto, ci viene in soccorso la teoria della relatività di Einstein. Immaginiamo lo spazio e il tempo come assi cartesiani su un piano, dentro l’universo. Pensiamo poi che esistano infiniti piani spazio-temporali, ciascuno con valori differenti. Einstein ci ha mostrato che l’universo è un insieme di realtà coesistenti nello stesso momento, ciascuna con le sue distorsioni di spazio e tempo.
Ora, immaginiamo di poter prendere un ascensore che ci porta, piano dopo piano, attraverso queste dimensioni sempre più sottili, fino a raggiungere un unico punto che le comprende tutte, come la cima di una cupola o la punta di una piramide. È lì che immagino si trovi quel «principio»: un punto dove spazio e tempo sono pari a zero e dove l’intera storia dell’umanità deve ancora cominciare ed è, allo stesso tempo, già compiuta. Un punto in cui ogni problema è risolto, ogni nodo sciolto, ogni pensiero ricondotto all’unico lógos. In quel punto, creazione e fine coincidono nel «qui ed ora».

È affascinante pensare che piramide e cupola siano state al centro delle architetture degli edifici sacri di tutti i popoli della storia umana. In tali forme si manifesta sul piano fisico l’intuizione di corrispondenza tra il piano spazio-temporale e duale e il piano divino, atemporale, aspaziale, unitario.
Cupola e piramide però hanno una differenza strutturale. Se eliminiamo idealmente l’apice della piramide, l’intera struttura rimane in piedi. Invece, se eliminiamo il punto apicale di una cupola, la lanterna, l’intera struttura crollerebbe, poiché su di essa si appoggia il peso dell’intero monumento. Nella piramide si concepisce un’esistenza umana indipendente da quella di Dio, mentre nella concezione della cupola non ci può essere vita senza il Verbo.
Nel provare a definire Dio, a livello qualitativo, credo che la cosa migliore sia richiamare la parola che ci ha suggerito il Cristo nel suo Comandamento Nuovo: Dio è amore. Amore in senso lato, quella che Giovanni definisce Luce. Amore perfetto, infinito e universale. Il pensiero divino vibra nella frequenza più alta, quella dell’amore, e produce una realtà perfetta, riconducibile alla perfetta armonia, salute, pace, abbondanza. L’amore è tutto ciò che è reale e che esiste, è l’unica presenza concreta in questo momento. È l’Alfa e l’Omega dell’universo intero e di tutti noi.
Noi uomini, pensati e creati da Dio a sua «immagine e somiglianza», siamo a nostra volta dotati del suo stesso pensiero creatore; la nostra natura è divina e — narra la Bibbia — un tempo vivevamo nella perfetta armonia, pace, salute e abbondanza proprie del mondo che Dio ha pensato e creato.
E allora perché, Angelina, non viviamo più in una realtà perfetta, armonica, pacifica e abbondante? La Bibbia, nel libro della Genesi, ci racconta una storia: la cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden, da quel mondo perfetto e armonico che Dio aveva pensato per loro. Lasciamo perdere i serpenti e le mele e proviamo ad andare al nocciolo di questa storia antica.
Proviamo, per esempio, a ragionare partendo dal «principio», ovvero dal Pensiero Creatore. Il Pensiero Creatore di Dio è una Coscienza di amore che non può fare altro che produrre pensieri d’amore e creare realtà di armonia. Anche il pensiero creatore dell’uomo, creatura di Dio, quando è allineato e in comunione con quello di Dio, è nato per creare pensieri d’amore e una realtà armoniosa. Però la nostra coscienza, a un certo momento, deve aver cominciato a «pensare da sola», a discostarsi dal pensiero divino, proiettando quindi una realtà lontana da quella reale, da quella dell’amore.
Immaginati un bimbo che sta cercando di conoscere sé stesso: si guarda i piedini e le manine, approccia la conoscenza di sé stesso con curiosità e investiga le varie possibili alternative, per arrivare finalmente a capire: «Queste manine sono mie».
Così, il libero pensiero dell’uomo, nell’intento di conoscere e definire sé stesso — ciò che è e ciò che non è — approccia questa domanda per tentativi logici. Come un matematico, il libero pensiero vaglia diverse alternative logiche, percorre varie strade dimostrative che si riveleranno false, fino a che approderà a quella «giusta», quella reale. Tutte le altre deviazioni di pensiero, tranne la reale, infatti, risulteranno prima o poi false, per cui il libero pensiero dovrà forzatamente tornare indietro e percorrere una nuova strada fino ad arrivare a quella corretta. Un bravo matematico lo sa: la soluzione corretta è inevitabile.
Dio, nella Bibbia, si presenta all’uomo come: «Io sono colui che è», «Io sono colui che sono». Immaginiamo una coscienza umana che contempli se stessa e si voglia definire. La risposta giusta, la verità, risiede nella nostra natura divina, perché siamo noi stessi Pensiero Creatore di Dio. Nel pensiero corretto (io sono amore, io sono pace, io sono abbondanza…) il lógos, per definirsi, ovvero per tracciare «i confini» di ciò che è, si rivela come unica essenza, come stessa sostanza di Dio.
Il pensiero corretto, in termini logici, si sviluppa in forma duplice:
- «Io sono colui che è».
- «Io non sono colui che non è» (affermazione identica alla precedente, giacché la negazione di una negazione produce un concetto vero).
Ecco. Intuisco che, a un certo punto, l’uomo abbia introdotto nel suo lógos un «pensiero deviato», nell’intento di definirsi. L’utilizzo parziale della negazione nel pensiero logico, nella definizione di sé stessi, è — secondo me — la causa per la quale l’uomo ha cominciato a proiettare una realtà di separazione da Dio, quella percezione di totale lontananza dall’Eden che sperimentiamo ogni giorno nelle nostre vite.
Per esempio, andando per tentativi, pensare la frase «Io sono colui che non è» produce subito un risultato falso, impossibile, e il ragionamento si blocca subito perché non è possibile proiettare una realtà di non esistenza. Invece, un pensiero deviato, non reale ma ben più credibile, è: «Io non sono colui che è». Questa frase può essere meglio tradotta con «Io sono altra cosa rispetto a colui che è», «Io sono un essere diverso da Dio».
Vedo questo tentativo di ragionamento come una mera alternativa in una dimostrazione. In tale affermazione non vedo presunzione o cattiveria: vedo un bambino che riflette su un’alternativa possibile, che quelle manine non siano le sue. Questo tentativo riconduce alla verità, in ogni modo. La coscienza, che è luce, per un istante si identifica nel buio — o meglio nell’ombra (una cosa che non è luce assoluta) — e, così facendo, riconosce se stessa come luce. Infatti, un oggetto tutto bianco in una stanza tutta bianca non può rivelare la sua forma, ma ha bisogno di essere localizzato in una stanza scura affinché se ne possano vedere i lineamenti. Così noi uomini riconosciamo la nostra natura divina proprio nelle difficoltà, quando la vita si fa tosta. Incappiamo spesso negli stessi errori, continuando a soffrire, fino a che ci risvegliamo, rendendoci finalmente conto di essere esseri fatti a immagine e somiglianza di Dio.
Dunque, il fine ultimo di «mettersi in dubbio» è del tutto nobile, se ci pensi. Sembrerebbe che la luce, attraverso un pensiero di «separazione e negazione», possa da un lato definire e dall’altro rivelarsi a se stessa. Se cerchiamo di non cadere in qualsiasi tipo di giudizio positivo o negativo, rimanendo in un livello neutro di puro pensiero e astenendoci, almeno per il momento, dal parlare del Bene e del Male, possiamo affermare che la separazione e la negazione sono elementi del pensiero complementari all’affermazione e che, pur producendo una percezione errata della realtà, sono sicuramente pensabili e strumentali.
È possibile immaginare, materializzare e sperimentare un mondo di ombre, un mondo lontano dalla luce. È possibile creare una realtà lontana dall’amore, dalla pace, dalla giustizia: quella stessa realtà che vediamo proiettata tutti i giorni. Questa proiezione non è reale, ma è assolutamente concepibile e quindi percepibile.
«Io sono diversa da Dio» è il pensiero di Eva, che coglie la mela, che la Bibbia definisce «il frutto della conoscenza del bene e del male»: la coscienza che confronta il concetto di «Dio» e di «altro da Dio». L’atto di Eva viene storicamente visto come un atto di dannata presunzione, ma in realtà è solo un pensiero logico di una coscienza che, nel tentativo di definire sé stessa, arriva a una conclusione deviata, falsa. Il destino di «Eva» e del suo ragionamento è necessariamente quello di arrivare a un punto morto e tornare indietro, come quando, in una dimostrazione matematica, si arriva al simbolo del «falso».
Questa è la nostra vita, così come ci appare dalla nostra prospettiva: un film fatto di luci e di ombre, di gioie e drammi. La legge del karma ci porta a vivere l’ombra in maniera sempre più esasperata, fino a che non ci risvegliamo, ritorniamo al pensiero corretto, riconosciamo la nostra natura divina, ricordiamo di cosa siamo fatti: siamo fatti d’amore, siamo esseri fatti a somiglianza di Dio. Solo da questa prospettiva nasce in noi la consapevolezza che le vicende del mondo sono solo un film che si sviluppa nella nostra dimensione spazio-temporale ed è prodotto da un pensiero deviato. La nostra essenza, invece, dimora in Dio, in un punto senza spazio e senza tempo, nell’amore. Siamo sempre stati lì, nella casa del Padre. Il paradiso è già qui, nella punta di quella piramide: non c’è bisogno di morire per raggiungerlo. Dobbiamo solo cambiare prospettiva e ricondurre il pensiero all’amore.
La genealogista e formatrice spagnola Marta Salvat, specializzata nello studio dell’albero transgenerazionale, introducendo la sua formazione su Un Corso in Miracoli — celebre testo di insegnamento spirituale incentrato sul cambiamento di percezione e ritorno al pensiero divino — fa un esempio molto calzante: «Immaginatevi di fare un sogno» — dice Marta — «mentre state dormendo vivete molteplici esperienze, in cui vi immedesimate totalmente. In realtà nessun evento del vostro sogno è reale. In realtà non vi siete mai spostati dal vostro letto».
Questa, secondo me, è la vita umana. È come un sogno, una simulazione, un’esperienza in cui l’anima si immerge nella materia, nello spazio e nel tempo. Si muove in essa, attraversa le ombre, le ricerca perché sa che proprio in esse può riconoscere i suoi confini, sapendo benissimo di essere in realtà già in Dio, in quella dimensione d’amore perfetto, senza spazio, senza tempo e senza materia.
Marta Salvat parla della cacciata dall’Eden in un modo immaginifico: ci disegna un puntino di luce dentro una grande sfera di luce divina. Un libero pensiero che produce una visione di separazione da Dio. Questa proiezione di lontananza da Dio, in cui il puntino si identifica e si localizza — spiega — è una realtà parallela di vibrazione infinitamente bassa, dolorosa, caratterizzata da un’enorme carica di «Paura» (la paura di essere lontani da Dio) e di «Colpa» (la colpa di aver pensato e materializzato una realtà così paurosa).
Marta definisce queste due cariche come due energie enormi, di così bassa vibrazione che non è possibile sostenerle nella materia. Parla di un Big Bang vero e proprio, in cui la coscienza umana collassa e si frammenta in tante piccole coscienze «addormentate», ciascuna delle quali ricostruisce, vita dopo vita, il percorso contrario verso la casa del Padre, ovvero elabora una porzione piccolissima di «Paura» e di «Colpa», attraversando le ombre necessarie grazie alle quali ritorna, più o meno gradualmente, al pensiero reale e corretto, risvegliandosi dal «sonno».
Mi affascina questa visione, anche perché ci riporta con la mente all’origine dell’universo, il Big Bang, una spiegazione della nascita della vita sicuramente più plausibile di quella del libro della Genesi.
Dunque, cara Angela, negli astri risiede il segreto dell’origine della nostra vita e del «peccato originale» e, ti dirò, non servono telescopi per poterlo contemplare.
«Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per fare il miracolo di una cosa sola», recita la Tavola di Smeraldo. Queste parole antiche sono il perfetto riassunto della ben più moderna teoria di David Bohm, fisico del XX secolo, che nel suo libro Universo, mente e materia descrive l’ordine implicito, che detta le leggi del funzionamento dell’universo, come un ologramma, la cui struttura complessiva è identificabile in quella di ogni sua parte.
Dunque, le leggi dell’universo si ripetono in ogni parte di esso, anche in noi e in una sola nostra cellula. Siamo ologrammi un po’ più sfocati dell’Universo, cara Angelina: in noi agiscono tutte le leggi della materia e in noi già risiedono tutte le risposte.
Mi piace pensare che l’ordine implicito di cui parlava Bohm non riguardi solo mere leggi fisiche, ma anche quelle spirituali; e cioè che in esso risieda anche il pensiero divino stesso. Il Pensiero Creatore Divino, ovvero l’unico pensiero reale possibile, ha pensato e creato tutto ciò che ci circonda. Tutto il creato, e il suo funzionamento implicito, è intriso del pensiero di Dio. Il pensiero divino è riconoscibile nella materia in ogni atomo, così come nell’intero universo.
Quando ero piccola mi ricordo che, studiando il sistema solare e vedendolo così simile alla struttura dell’atomo — un nucleo intorno a cui ruotano gli elettroni — immaginavo che la Terra fosse parte di una piccola cellula e che il sistema solare, a sua volta, fosse parte di un corpo enorme. Ai tempi non conoscevo né il principio di corrispondenza di Ermete Trismegisto né la teoria dell’Universo Olografico di David Bohm, ma già, intuitivamente, mi sentivo parte di un’enorme matrioska.
Concludo queste riflessioni con le parole del Cristo che, insegnando agli apostoli a pregare, ci invita a riporre in Dio il nostro libero pensiero: «Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra». Così dicendo, apriamo un varco di speranza per la nostra vita e per tutto il creato, invitando il lógos di Dio, l’amore, il corretto funzionamento di tutte le cose, a manifestarsi qui e ora, in ogni dove.
Isabella Sindaco
Mi affaccio a questo tema in punta di piedi, con la consapevolezza di non possedere le conoscenze che tu, leggendo la sinossi, sembri aver maturato con profondità e dedizione. E forse proprio per questo, il tuo Testamento dell’anima mi ha colpita: per la sua capacità di accogliere anche chi, come me, si sente più in ascolto che in risposta.
L’idea di una lettera aperta da madre a figlia che diventa dono universale è potente e commovente. Il tuo messaggio in una bottiglia ha davvero trovato una riva — e quella riva, oggi, è anche la mia.
Grazie per aver condiviso il tuo cammino con tanta autenticità. Alcune parole non cercano di insegnare: semplicemente, toccano. Le tue lo fanno.
P.S. Uno dei miei libri si intitola proprio Messaggi in bottiglia. Il genere è completamente diverso, ma forse non è solo una coincidenza. Forse certi titoli ci scelgono, quando abbiamo qualcosa da dire… I miei più fervidi auguri per il raggiungimento dell’obiettivo.