Parlare di montevarchinità, e delle storie più o meno affascinanti o rappresentative che legano i montevarchini ai colori rossoblù dell’Aquila 1902, è chiaramente singolare. Ma probabilmente spendibile in centinaia di altre realtà simili, all’interno del cosiddetto Stivale.
Raccontarlo in un certo modo significa cercar di fare emergere uno dei tanti angoli resistenti di genuinità e passione collegate al gioco del pallone; nessuno ha la pretesa di definirlo “unico”, né “superiore” per intensità ed importanza rispetto ad altri.
Si tratta solo di un’altra testimonianza.
Una forte storia sportiva (si parla del club più antico della Toscana), tramandata di generazione in generazione e in grado di alimentarsi, nonostante le mutazioni che hanno investito il mondo del calcio negli ultimi trent’anni.
Da qualche parte – e fortunatamente non in pochi angoli – a prescindere dalle categorie o dai blasoni, esistono tifoserie che si approcciano ancora alla domenica sportiva con l’entusiasmo che fu dei propri padri; cittadine in cui per molti, il morale del lunedì mattina viene determinato dal risultato della squadra di calcio.
In un tempo in cui si usano spesso a sproposito (e talvolta per rappresentare concetti elitari, esagerati o comunque escludenti) parole come “identità”, “orgoglio” e “tradizione”, circoscritte anche a piccoli universi grandi quanto un quartiere di una metropoli, ma che trovano rappresentazione reale e universale nel potere aggregativo che detiene un pallone e ventidue giocatori a corrervi dietro.
Senza che questi siano top player dai contratti multimilionari.
Ogni atleta – qualsiasi sia il suo feedback o velleità – può vivere la sua stagione da eroe, portato in trionfo da un paese intero. È successo e succederà ancora, a Montevarchi come in tante altre realtà dell’estrema provincia.
Vivendo di memoria, rammentando il passato, guardando comunque al futuro con la speranza di ritrovare momenti simili per emozione, malgrado lo scorrere del tempo.
PREFAZIONE
“La montevarchinità”, questa sconosciuta.
Oggetto di discussione, invocazione, concetto indefinito e spesso indefinibile. Strabordato ormai in ogni aspetto della vita sociale e sportiva di Montevarchi. Stando all’uso che se ne fa è una parola non poi così sconosciuta, visto che nel tempo e nelle occasioni ne hanno parlato e ne parlano un po’ tutti. Dai vecchi che oziano ai tavolini dei bar, ai ragazzini che ti guardano diffidenti e non capiscono bene di cosa tu stia parlando, fino ai politici di ultima generazione, ansiosi di accreditarsi come unici depositari di una mitica identità perduta.
Spesso a casaccio, a volte come una provocazione, mai in modo abbastanza esaustivo.
“Alla montevarchina”, insomma: tutto e il contrario di tutto.
Ma cos’è, dunque, questa benedetta “montevarchinità”?
Questo libro prova a dare una risposta, volutamente parziale, e lo fa nel modo più naturale e fedele possibile: con il racconto, spesso raccolto in maniera diretta, di chi ha vissuto il calcio cittadino (o del “paesino”, come in queste pagine si scoprirà che qualcuno ci aveva definito) e con la memoria di chi ha partecipato in prima persona a eventi spesso epocali per la vita sportiva di Montevarchi. Storie di personaggi sul terreno di gioco o sui gradoni, divisi da una rete spesso troppo precaria per contenere una passione sanguigna come quella che Montevarchi e i montevarchini hanno per i propri colori.
L’amore per la maglia rossoblu ha dato vita a momenti mitici e mitizzati ormai conosciuti da chiunque possa vantare un qualche rapporto con questa città. Storie di eventi che hanno travalicato le mura dello stadio e costituiscono ormai parte attiva nella formazione dell’identità sociale e personale non solo di chi a Montevarchi è nato e cresciuto, ma anche di tutte quelle persone che hanno avuto modo di vivere a contatto con chi può dirsi montevarchino, non solo sportivi o appassionati di calcio. Momenti passati alla storia, raccontati e tramandati come ogni tradizione che si rispetti.
La nostra storia e la nostra identità, ovviamente.
Di sicuro la montevarchinità è anche, ma non solo, questo: passione, storia, identità.
E come tutte le passioni, si scrivono quasi sempre fuori dalle righe.
Per questo non è mai facile raccontarle.
Ma le storie, chi le fa? Le fanno le persone, ovviamente.
Gli eventi, i tempi.
Gli eroi, i geni, sicuramente. Ma anche le furberie, il lampo o l’intuizione di un attimo.
Facce più o meno conosciute, a volte mitizzate.
Ecco, potremmo dire che questo è un libro che parla di facce, che racconta le facce di chi ha vissuto gli episodi e i momenti circoscritti alla storia dell’Aquila Montevarchi.
La faccia immortalata in un fortunato bianco e nero di un pomeriggio di novembre a Marassi, o quella di un biondino incredulo in un altrettanto improbabile novembre al Franchi più di trent’anni dopo.
Le facce di chi era partito in treno per seguire i propri colori in queste partite già di per sé storiche, e si è poi ritrovato a far parte di eventi epocali, vittorie incredibili.
Le facce stravolte di chi ha vissuto la rimonta di Montevarchi – San Donà, altro evento in cui la rete di divisione tra campo e gradoni non è bastata a contenere questa passione e ci siamo ritrovati a rotolarci in campo, increduli, sotto la pioggia.
Perché le passioni questo fanno, quando fanno il loro lavoro: liberano, abbattono reti e steccati. Vogliono esserci. Vanno oltre. Mica sempre per abbracciarci. A volte, anzi, spesso anche per l’esatto contrario. E per come vediamo noi il mondo, per fortuna è stato così. Altrimenti staremmo qui a ricordare cosa, quanto è bello il prato del Brilli Peri?
E le facce, spesso, ritornano. Come quella di Lupo Balleri, che troppo lontano da Montevarchi mica ci poteva stare.
O la faccia seria ed emozionata di Vittorio Firli, che per decenni ha tenuto in vita il marchio dell’Aquila 1902 con orgoglio e cura, in silenzio, come si custodisce un patrimonio prezioso da tramandare a chi verrà dopo di noi, e potrà valorizzarlo quando ne avrà bisogno.
Ecco, di sicuro la montevarchinità è anche questo: un filtro con cui si guarda il mondo e si vivono la vita e lo sport, quando vanno meravigliosamente a braccetto. Di sicuro riguardo al pallone. Soprattutto al Brilli Peri.
Per questo, quando Davide ci ha chiesto di scrivere la prefazione del suo libro, abbiamo risposto subito con entusiasmo. Prima di tutto perché è uno della Sud, uno di noi, mosso da passione autentica, che si è approcciato a questo lavoro con la curiosità di chi vuole scavare per scoprire le proprie radici. E poi, sicuramente, anche perché per noi che ogni domenica sventoliamo – o per essere più coerenti con questi tempi bizzarri sarebbe più adeguato dire “sventoleremmo” – quelle bandiere e quei colori, parlare del Montevarchi e di tante partite, episodi e giocatori è un invito a nozze.
Ma è così dappertutto, si dirà. Ogni città ha i suoi eroi sportivi, i suoi momenti da ricordare. Poter fare i gradassi e dire che siamo, sono, migliori degli altri. Sai che novità.
Certo, verissimo. E per fortuna che ognuno ha i suoi miti, le sue storie. E allora, cosa c’è di così diverso nella montevarchinità?
C’è che a noi, a noi che piace ammantarci di montevarchinità, alla fin fine, beh… a noi di essere migliori degli altri mica ce ne importa nulla. Anzi. Ovviamente, in campo vorremmo sempre vincere, ma qui il discorso esce dai cancelli dello stadio e si allarga fino a illuminare, ancora, altre facce. Facce meno famose ma altrettanto conosciute, gente di paese, si sarebbe detto un tempo. Nella montevarchinità rientrano a pieno diritto tutti quei personaggi improbabili, quegli stratagemmi, quella vita vissuta che se non ci fosse stata… forse sì, staremmo a parlare solo del prato del Brilli Peri.
Che noia, vero?
A dispetto di chi vaneggia, spesso a fini elettorali, che la montevarchinità sia rievocare un inesistente passato mitico di superiorità quasi etnica, noi possiamo ribattere con una serie di piccinerie, furberie e piccole disonestà che non sarebbero vanto per nessuno al mondo. Per noi sì, però. Identità popolare a tutto tondo, storie di strada prese sempre con leggerezza e anche orgoglio, che a essere pesante ci pensa già la vita e tanta gente che ride troppo poco.
Fortune e miserie di ogni montevarchino, che alla domenica si fondono con le cadute e le risalite della squadra di calcio più amata.
In ogni modo, in questo libro si parla soprattutto di giocatori, perché gli eroi son tutti giovani e belli, direbbe Guccini. E ugualmente belli e importanti per noi sono anche quei “giocatori d’azzardo e puttane” che stanno nelle storie di questo paese. In piena dignità e riscatto.
Meninos de Rua ante litteram. Non a caso la fanzine della Curva Sud si chiamava così, già tanti, troppi anni fa.
Le radici di un popolo stanno in se stesso sempre.
Perché quello che per altri può essere un insulto (“ciclisti!”) per noi è il più bello dei complimenti. Primi in Toscana. Ma forse no. È uguale.
Valli a capire questi Montevarchini.
E allora la montevarchinità può essere anche questo, e questo sì, è diverso: la consapevolezza di venire da una storia lunga, , di passioni, imprese e bellezza, ma è anche trovarsi a proprio agio in un passato di storie e situazioni che altri definirebbero non molto edificanti e dimenticherebbero volentieri.
Per noi, invece, sono il motivo più bello per poter sorridere di noi stessi e abbracciarci per quello che siamo, nel bene e nel male.
La rete che va giù, ancora una volta, e rimescola tutto.
E tutti diventiamo eroi giovani e belli.
Perché noi siamo Montevarchini. E alla fin fine, c’importa una sega.
Curva Sud Montevarchi
Moreno Celentano
Libro che sembra molto interessante. Conosco l’autore come cronista sportivo in ambito cestistico e i suoi scritti sono fra i migliori in quell’ambito. Sono curioso di leggerlo in questa sua incursione nel calcio di provincia. L’argomento mi sembra stimolante per capire un mondo che ci sembra restato lontano, ma che nelle retrovia, riguarda un po’ tutti, sportivi e non. Penso che sia proprio un discorso di anima, quello che pervada l’opera. Molto azzeccata anche l’idea di inserire una parte a fumetti che, a quello che ho capito, va a completare il tutto. Sicuramente dà completezza anche di fruizione a tutto il libro e lo rende piacevole a più strati. I disegni nell’anteprima sono molto convincenti. Spero che questo lavoro abbia successo e lo sosterrò volentieri.