Avete mai provato a descrivere la vostra vita con un singolo aggettivo? Probabilmente sì e non sempre il risultato ottenuto è qualcosa di soddisfacente o gradevole. Anche io, tempo fa, ho fatto tale esperimento e ciò che ne ricavai fu una serie di eventi che persino una mente umana di prim’ordine faticherebbe a seguire, ma andiamo con ordine.
Mi chiamo Francesco Segno, sono un ragioniere di 40 anni, compiuti da poco, con il grande sogno di fare lo scrittore. Ahimè, devo confessare che la mia vita è più simile a quella del mitico ragionier Fantozzi che a quella di un novello Stephen King.
La natura ha ritenuto saggio dotarmi di una statura irrilevante (appena un metro e settanta), di un fisico minuto, infatti, tendo ad accumulare dieci o quindici chili di troppo, di capelli che dopo i trenta sono diventati sempre più radi, di un volto anonimo che non viene di certo e di un carattere introverso e insicuro che di certo non mi ha fatto emergere nella società in cui viviamo.
Tutto ciò ha contribuito, sin dalla giovinezza, a rendermi una persona abbastanza solitaria. Il mio tempo libero era dedicato ai libri e, talvolta, alla scrittura, arte che credevo poter imparare a destreggiare tanto da divenire uno scrittore io stesso.
Provai ad emergere e non mancò certo impegno ma, per mia disgrazia, non riuscii a sfondare in campo letterario, restando soltanto uno dei tanti autori il cui nome non verrà mai proclamato in un’università.
Pubblicai tre libri, nessuno dei quali ebbe fortuna o successo ma non ve ne parlerò giacché non è per pubblicità che vi narro ciò. Sia come sia, gli anni della mia giovinezza iniziarono a susseguirsi uno dopo l’altro divenendo sempre più simili, sempre più monotoni. Dopo la scuola venne il lavoro e poi quindici anni di terrificante routine fatta di sveglia, lavoro, pranzo, lavoro, cena, letto e si ricomincia.
Un loop infinito di giorni identici che potano inevitabilmente alla morte di ogni velleità di fare qualcosa di nuovo e bello della propria vita. So che molti oggi vivono la mia stessa condizione, e in parte reputo sia anche causa del mondo in cui ci siamo trovati a vivere, ma ciò non mitiga il disagio e il malessere che viviamo giorno dopo giorno e che lentamente ci erode l’anima.
Tale corrosione ha però un limite o, se preferite, un punto di rottura. Come una diga in cui il lento ma costante scorrere dell’acqua finisce per deteriorare il cemento sino a che questi non cede, anche l’animo umano se esposto a troppa e continua erosione finisce per vedere distrutte le proprie barriere e liberare sentimenti, emozioni e persino azioni che mai avremmo voluto fossero esternate.
La rottura ha diversi esiti possibili e non tutti sono necessariamente negativi.
C’è chi finisce in analisi, chi si butta da una finestra, chi parte per non tornare più e poi ci sono coloro che pensano di poter cambiare la propria vita con un atto rivoluzionario e geniale.
Almeno secondo loro…
Io appartengo a quest’ultima ristretta categoria. Se per disgrazia e per fortuna non so dirlo.
Tornando alla rottura, la mia avvenne durante il giorno del mio quarantesimo compleanno. Età fatidica per molti anche se non saprei ben dire il perché. Forse ci si sente troppo vicini alla vecchia e troppo lontani dalla giovinezza? Qualcosa difficile da concepire per chi, fino a poco prima, si pensava ancora giovane e pieno di aspettative o, almeno, così fu per me allo scoccare della data fatidica.
Ricordo che mi trovavo da solo a casa dinnanzi ad una mini-torta acquistata per chissà quale strana ragione autolesionista. Dopo cena avevo programmato di mangiarla e festeggiare così il mio genetliaco ma, quando me la trovai davanti, essa divenne un nero abisso in cui rivedere tutti i miei fallimenti, le occasioni mancate, i sogni infranti e, soprattutto, l’inesorabile scorrere del tempo, il mio tempo!
Mi depressi in maniera profonda e pericolosa mentre osservavo quella stupida piccola torta, tanto che dovetti fuggire di casa in un impeto di panico. Nonostante l’ora tarda e l’autunno inoltrato il clima era molto mite e io mii misi a camminare senza meta e senza tregua, deciso solo ad allontanarmi da quella torta che era improvvisamente divenuta il vaso di Pandora della mia esistenza.
Per oltre un’ora percorsi le strade semi-deserte del mio paesino di residenza, analizzando mentalmente ogni tappa della mia vita, dalle superiori sino al presente. Mi misi pazientemente a valutare le scelte fatte e quelle non fatte, finendo in quell’autoanalisi che, come già vi dissi prima, non sempre è salutare o, forse, non lo è mai…
Valutai così la mia vita come un qualcosa di scialbo, monotono e assolutamente privo di qualsivoglia prospettiva entusiasmante. Ero un semplice uomo che conduceva la sua vita in modo tranquillo e anonimo, uno di quelli la cui morte non provoca fiaccolate o processioni nei popoli. D’altronde, mi dissi che ero la norma visto che solo a pochi, anzi, pochissimi è permesso di innalzarsi verso l’immortalità.
Nonostante questa consapevolezza ero comunque affranto e irritato da tale mia condizione di mediocrità. Certo, so bene che spesso l’uomo comune sogna una grandezza che non vedrà mai, ma vi è del male in questo?
Rispondete pure a tale quesito, ma per ciò che concerne me, posso solo dirvi che il lampo di genio che ebbi fu talmente titanica nella sua dimensione di intenti che avrebbe fatto vacillare persino Dante Alighieri!
Ricordo bene il momento esatto in cui il seme di tale idea, o se preferite di tale follia, intaccò la mia anima. Ero fermo sotto un lampione mezzo fulminato, la cui pallida luce giallognola illuminava la vetrina di un negozio chiuso anni orsono. Dentro lo spazio ormai vuoto si potevano notare soltanto polvere e mobili mezzi marci. Non ricordo bene cosa vi era in quel posto, se un’edicola o qualcosa di simile, ma ricordo bene ciò che vidi a terra. Illuminato in modo quasi mistico dalla luce artificiale vi era un piccolo volantino che parlava di una rassegna letteraria.
Fu allora che accadde…
Una sequenza di immagini, pensieri, constatazioni, previsioni e programmi mi attraversò la mente alla velocità della luce. Ore e ore di ragionamenti compressi in pochi secondi. Tale processo fu talmente curioso e inverosimile che le stesse parole per descriverlo potrebbero risultare inadatte. Chi però, come me, ha provato ciò che sto descrivendo sa bene di cosa parlo.
Alla fine di tale rapida e intensa esperienza la mia mente aveva partorito qualcosa. Il seme dell’idea era cresciuto, nutrendosi della mia atavica e incessante passione per la scrittura e aveva generato un frutto il cui solo pensiero bastava per rinvigorirmi l’anima.
Ed era proprio nella scrittura che la mia mente vide la rivalsa di un’intera vita fantozziana.
No, non un’idea per un nuovo libro, ma qualcosa di molto, molto, più grande.
Io ebbi l’idea per “IL” Libro. Un testo talmente straordinario che avrebbe surclassato ogni autore contemporaneo o antico, finendo per divenire l’opera più importante dell’umanità!
Lo so, sembra una follia, e forse lo è, ma questo è ciò che generò la mia mente. La mia illuminazione sulla via di Damasco.
Ma se pensate che già questa mia idea travalicava ogni confine di buon senso e ragionevole aspettativa umana, allora lasciate che vi narri il modo in cui avevo programmato di ottenere tale risultato. Sì, perché per me vi fu sin da subito un solo e unico modo per poter raggiungere il mio obbiettivo.
Avrei scritto il più grande libro mai esistito soltanto se fossi riuscito a trovare Dio e ad intervistarlo.
Lo so, lo so, penserete che questa rivelazione sia la pietra tombale a sigillo della mia pazzia, eppure, prestatemi orecchio per qualche altro istante e, se potete, seguitemi nel ragionamento che andrò a proporvi.
Prima di esporla, tuttavia, devo fare una precisazione. Nel mondo esistono centinaia, forse migliaia di credi diversi e ci si potrebbe porre il giusto problema di quale divinità ricercare. Un problema non da poco che io risolsi semplicemente dando per buono il fatto che esista un solo Dio e che questo sia quello adorato da cristiani, ebrei e mussulmani. Lo so, un punto di partenza comodo, forse anche banale, ma se avessi scelto Zeus o Wotan sarebbe stato diverso?
Chiarito questo, ecco che analizzando logicamente l’esistenza di tale Dio mi venne naturale chiedermi perché tale essere superiore non potesse camminare e muoversi sulla Terra se lo volesse. Analizzai diversi motivi ma, alla fine, giunsi alla conclusione che non ve ne era nessuno di valido per sostenere che non fosse tra noi umani!
Certo, la sua essenza era diversa, ma poteva benissimo girovagare in lungo e in largo a suo piacimento e interagire con ogni cosa che aveva creato, umani inclusi. Il fatto che nessuno avesse mai preso in considerazione tale fatto e quindi che nessuno fosse mai partito per cercarlo bastò a spiegare, almeno per me, il perché non è mai stato rintracciato. Insomma, chi cerca trova, vero?
Quest’idea divenne in pochi attimi una granitica verità e io non dubitai più che Dio fosse in giro per il mondo a fare chissà cosa e chissà con chi. Ora non restava che trovarlo e intervistarlo! Sì, ecco il da farsi!
E se anche ora, pensate che tutto ciò che vi ho detto altro non è che il frutto marcio di una mente malata, allora lo accetto, ma permettetemi di ricordarvi che spesso le imprese più folli sono quelle che hanno portato ad una svolta nella storia umana, basti pensare alla scoperta di Troia da parte di Heinrich Schliemann.
Per farmi meglio intendere la profonda convinzione che ebbi in merito a quella ricerca, vi basti sapere che già il giorno dopo mi ero preso un periodo di ferie (non lo facevo da anni) e avevo passato l’intera giornata a casa a studiare le possibili tappe del mio viaggio!
Tre giorni dopo ero pronto a partire e prenotai un aereo che mi avrebbe condotto alla mia prima meta, Roma, la città che ospitava il Vaticano.
“Quale posto migliore per iniziare a cercare Dio?” mi dissi. La mia pazzesca idea mi aveva stregato al punto che annunciai anche la mia partenza via social con la seguente frase:
“Parto alla ricerca di Dio! Lo troverò e lo intervisterò! Niente e nessuno mi fermerà!”
Potete immaginare i commenti, ma non mi interessò molto.
La mattina della partenza mi recai in aeroporto con la mia valigia, una grande aspettativa e tutta la sensazione di star per compiere qualcosa di straordinario.
Ciò che segue è il racconto di ciò che vissi, nel bene e nel male, nella ricerca di Dio e, per quanto incredibile, non posso non affermare che sia tutta la verità…
Capitolo 1: L’uomo del treno
“Un evento meteorologico straordinario!”
Era questa la frase che telegiornali e social ripetevano ossessivamente la mattina del 31 ottobre. A dispetto di quanto annunciato dai meteorologi che, nella loro narrazione avevano preannunciato un’altra settimana di caldo “fuori stagione”, quel giorno il mondo si era risvegliato dentro un vero e proprio inferno fatto di vento, pioggia, fulmini e tuoni assordanti.
L’improvviso e inaspettato Diluvio biblico era stato talmente devastante da far sì che intere tratte aeree venissero chiuse in tutta la Penisola. I vari terminal aeroportuali si erano riempiti di orde di viaggiatori frustrati che, cellulare alla mano, chiamavano questo o quel familiare per lamentarsi di come, nel 2023, la natura potesse ancora condizionare così pesantemente le loro vite. Io, invece, vidi quell’evento tanto strano sotto una luce totalmente diversa. Mi chiesi se fosse una provocazione da parte di Dio che, chiaramente, aveva saputo delle mie intenzioni (magari essendo, come tutti, un amante dei social) e ora stava mettendo alla prova la mia volontà. Accettai la sfida divina e iniziai a cercare un mezzo alternativo per poter giungere a Roma. Alla fine, riuscii a scovare un treno, l’unico, ancora funzionante e che aveva come destinazione finale proprio la capitale. Raggiungerlo non fu affatto semplice. Tra strade allagate, linee telefoniche intasate e connessione internet costantemente in down dovetti faticare non poco a trovare qualcuno che mi accompagnasse alla stazione. Fermai un tassista che non pareva affatto contento di doversene andare in giro con quel tempo, tanto che mi disse chiaro e tondo che non aveva nessuna intenzione di completare la corsa. Capendo l’antifona, gli offrii un compenso extra per il suo aiuto e ciò bastò ad asciugare ogni suo dubbio. Tra maledizioni al tempo e sfuriate contro la politica (che in questi casi c’entra sempre, anche quando si parla di pioggia), arrivai alla stazione di Lamezia Terme alle 17.30 in punto. Tempo di pagare il tassista ed ecco giungere in lontananza il treno che presi davvero per il rotto della cuffia.
Una volta a bordo notai che le varie carrozze erano quasi del tutto deserte, così potei scegliere una cuccetta isolata da tenere tutta per me proprio in coda al treno. Quest’ultimo partì quasi subito in direzione di Roma Termini, ma avevo sottovalutato Dio. La pioggia, infatti, aveva pesantemente condizionato anche le tratte ferroviarie tanto che, ben presto, fummo costretti a compiere fermate sempre più lunghe in stazioni di passaggio, il tutto in attesa che i tratti dei binari, spesso invasi da rami caduti e altri oggetti, venissero liberati.
Per farla breve, in quanto immagino che le fantasmagoriche “avventure” vivibili a bordo dei treni italiani siano note a molti, a mezzanotte eravamo ancora fermi in Basilicata in una piccola stazione di cui il nome non rammento nemmeno. Lo stesso nome di “stazione” era molto generoso visto che era composta da nient’altro che una casupola davanti alla quale si apriva un breve tratto di pensilina di pietra. Vi era un solo lampione la cui luce gialla molto flebile donava un’aria quasi lovecraftiana all’ambiente. Due palme, piantate chissà da chi ai lati della casupola, ondeggiavano a destra e a manca, resistendo stoicamente al forte vento che pareva proprio volerle buttare giù ad ogni costo. Io fissavo tutto ciò seduto accanto al grande finestrino nella mia cuccetta, mentre la pioggia continuava a cadere dal cielo in grosse gocce che martellavano ogni cosa producendo un rumore quasi assordante.
Non riuscendo a prendere sonno mi alzai per andare in bagno e mi diressi verso il corridoio del vagone. Questi era praticamente deserto e nemmeno il controllore pareva essere troppo interessato a passare per le cuccette a chiedere il biglietto di viaggio. Dopo aver espletato i miei bisogni, tornai stancamente al mio posto, pronto a passare una notte insonne a causa del maltempo.
Mi ero appena seduto quando notai che qualcosa all’esterno era mutato rispetto a pochi minuti prima. Una strana e densa nebbiolina, apparentemente apparsa dal nulla, si stava riversando in tutta la stazione obliando alla vista ogni cosa con cui veniva a contatto. La luce del lampione, già di per sé debole, venne lentamente inghiottita da quel nuovo fenomeno, finendo per divenire nient’altro che un pallido bagliore incapace di illuminare alcunché.
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