Hòrton Dhìren fece un passo in direzione del cancello, ma in quel momento gli occhi di Sofìa si accesero di un verde brillante. Decine di radici spuntarono da ogni direzione avvinghiando i cinque rapitori e tirandoli contro le pareti della caverna, come cinghie di legno. In tutto quel tempo la piccola aveva concentrato i suoi poteri sulla vecchia quercia che aveva visto in cima al promontorio sotto al quale li avevano condotti. Silenziosamente aveva fatto crescere le sue radici, preparandosi a quel momento.
Altre appendici comparvero dall’alto e avvinghiandosi alle sbarre iniziarono a issare il cancello della prigione.
«Presto! Fuggite!» incitò gli altri bambini a sgattaiolare attraverso la fessura mentre Dòyle e gli altri lottavano con le radici.
Quando furono davanti all’ingresso il fango si sgretolò, prosciugato e sbriciolato dalle protuberanze dell’albero, che si aprirono come una cortina al passaggio dei fanciulli per poi richiudersi in un intrico ligneo, sigillando i rapitori nel loro stesso covo.
Sofìa correva con gli altri in direzione del bosco a Nord, inseguita dall’urlo bestiale di Brakmàker, lasciandosi alle spalle la quercia la cui chioma era tornata verde e rigogliosa.
Mancavano poche ore all’alba. Nikrìo attirò l’attenzione dei compagni.
«Làila, Ken! Ho trovato una traccia!» gridò, mostrando ai compagni il fiume di fiori multicolori che si snodava tra gli alberi.
Lo seguirono correndo a perdifiato fino a quando la pista si interruppe bruscamente nel punto in cui Sofìa aveva terminato i semi.
«Non ci resta che dividerci» tagliò corto Kènshod poco prima che i tre imboccassero direzioni diverse.
Fu Àrian il primo a divincolarsi, tagliando le radici con le lame che a sua volta evocò dalla terra; lo seguì Dòyle. I due si fiondarono all’inseguimento, ma non prima che l’Atian del Metallum tranciasse le ramificazioni che legavano i compagni, quanto bastava affinché fossero in grado di liberarsi.
Nonostante i più grandi aiutassero gli altri bambini in fuga, il gruppo procedeva lentamente tra gli alberi morti al confine tra il Reame Silvestre, Flieder e Reon. Sofìa sapeva che dovevano muoversi con cautela in quanto erano pericolosamente vicini alle Voragini di Hardrock, un’area disseminata di letali crepacci. Credettero di avvistare la foresta in lontananza, purtroppo quando furono sufficientemente vicini dovettero constatare che tra loro e i territori del Reame si apriva un’ampia gravina che non sarebbero riusciti a saltare anche perché la sponda opposta era leggermente rialzata rispetto a quella su cui si trovavano. Stavano per tornare sui propri passi ma i loro inseguitori li avevano già raggiunti. Erano in trappola. La salvezza era lì, a pochi passi, eppure irraggiungibile. I bambini si strinsero a Sofìa, la quale cercò di allontanare lo sconforto per la sfortuna di quell’ostacolo, pensando alla prossima mossa.
Resosi conto che i fuggitivi si erano cacciati in un vicolo cieco, Dòyle cercò di normalizzare la propria respirazione e iniziò a incedere con calma verso di loro, facendo attenzione che la piccola Sofìa Èmerald non li sorprendesse con qualche nuovo stratagemma.
«Avete avuto la vostra mezz’ora d’aria! Adesso è il momento di rientrare» li schernì allungando la mano verso Sofìa. Poteva quasi sentire il calore della sua pelle sui polpastrelli quando qualcosa balenò da un angolo cieco scaraventandosi su di lui.
«Skỳron!» urlò quasi in lacrime la ragazza riconoscendo il proprio soccorritore.
«Aiutami» riuscì a strillare Dòyle in direzione di Àrian mentre faceva di tutto per evitare di farsi sbranare ma, vedendo che il ragazzo non muoveva un dito, aggiunse: «Non avrai mai quello che desideri se io muoio!» Alludendo ai risultati del rituale e al resoconto che avrebbe fornito al Negromante.
Così Àrian, seppur di malavoglia, intervenne scagliando contro il lupo aculei metallici che l’animale scansò con un balzo repentino. Dòyle aveva dei vistosi tagli sulla guancia e stringeva il braccio sinistro al petto, mentre la manica si impregnava del suo sangue. In quel momento sopraggiunsero Bèsmet, Lìlith e Hòrton.
Il lupo li accolse con un ringhio e ingaggiò una battaglia furibonda contro gli avversari. Nonostante gli sforzi Sofìa sapeva che non poteva tenerli a bada a lungo e che, se non avesse fatto qualcosa prima o poi, con uno dei loro sotterfugi l’avrebbero sopraffatto.
Skỳron saltò per evitare di finire intrappolato nel fango che Hòrton aveva generato sotto le sue zampe, ma prevedendo il suo spostamento Àrian riuscì a costringerlo nella catena di ferro che aveva creato. Lìlith, che fino a quel momento non era riuscita a intervenire a causa della rapidità dei movimenti del lupo argentato, ne approfittò per sigillarlo nella sua Carcer Tenebrarum. In una condizione normale i sensi del lupo gli avrebbero consentito facilmente di liberarsi dal sortilegio, ma lo scopo della dama nera era rallentarlo quanto bastava affinché potessero rimettere le loro grinfie su Sofìa.
Dòyle, che fino a quel momento si era tenuto in disparte per paura di aggravare le sue ferite, riemerse dalla penombra. «Adesso basta!» sbottò, estraendo un pugnale e procedendo con decisione verso la ragazzina.
Si arrestò solo quando due enormi occhi roventi emersero dalla bruma alle spalle della compagine accalcata sul precipizio. Si accorse solo troppo tardi che quelli che credeva essere gli occhi di un enorme drago rosso, erano invece le scimitarre infuocate di Kènshod Màrsil che con un salto portentoso dall’altra estremità della voragine si era interposto tra lui e i bambini. Non fece in tempo ad aprire bocca che il ragazzo di Candens si era fiondato contro di lui, obbligandolo a rigettarsi nell’ombra.
Riposta la scimitarra destra, Ken alzò una mano verso il cielo.
«Fermatelo!» gridò Dòyle senza avere il coraggio di uscire dal suo stato di mimetismo e lanciando un pugnale contro l’Ossiriano che evitò il colpo con uno scatto repentino del collo e, rivolgendo uno sguardo spaventoso nella direzione da cui era arrivato l’attacco, batté un piede a terra aprendo una voragine che si diramò verso Dòyle Brakmàker esplodendo in una bolla di lava e lapilli. Poi emise una palla di fuoco dritto nel cielo.
«A cosa mira?» chiese Bèsmet.
«Com’è possibile che siate tanto deficienti?» Dòyle, che era scampato per un soffio all’esplosione, diede di matto. «Ha appena chiamato i rinforzi, tra poco avremo addosso l’intera Grande Alleanza!»
Bèsmet cercò di sorprenderlo con un aculeo avvelenato ma Ken lo schivò con facilità e rispose con una palla infuocata che deflagrò a pochi passi dalla donna. Il fango di Hòrton intanto si era avvinghiato al suo piede destro ma al ragazzo bastò generare delle fiamme per seccarlo e far forza sui muscoli delle gambe per liberarsi, poi investì con un turbine di fuoco l’Atian avversario che non poté far altro che ripararsi dietro a una muraglia di melma. Kènshod tuttavia si sorprese quando quello che credeva essere uno dei fanciulli rapiti sguainò una spada e si lanciò contro di lui; sapendo di non poter esitare parò il colpo e scaraventò il ragazzino a terra con un calcio.
«Àrian!» gridò Lìlith accorgendosi che Skỳron era a un passo dal liberarsi, temendo di esserne divorata. In quell’attimo di distrazione fu raggiunta di striscio da una freccia di fuoco che Kènshod aveva scagliato con una rapidità inaudita. La dama nera si rotolò a terra cercando di spegnere le fiamme che avevano iniziato a lambire le sue vesti.
«Maledetto bastardo!» ringhiò Dòyle che era ricomparso e impugnava una balestra puntandola contro il ragazzo di Candens. Da quella distanza a Ken bastava vibrare un colpo di spada per deviare e incenerire i dardi. Improvvisamente sentì le gambe pesanti, Hòrton stava nuovamente cercando di intrappolarlo, nello stesso tempo aveva estratto un paio di asce da battaglia e si era gettato su di lui ingaggiando uno scontro corpo a corpo. Impugnata anche la seconda scimitarra, Kènshod usò tutta la forza che aveva per non lasciarsi rallentare dalla melma. Dando fondo ai suoi poteri tenne testa agli attacchi combinati dei due nemici.
Fu approfittando di quel momento che Àrian protese la mano verso Sofìa cercando di raggiungerla con degli spuntoni acuminati, convinto che se fosse riuscito a eliminarla il Negromante avrebbe fatto di tutto per ricompensarlo.
«Keeeen!» gridò Sofìa.
Ma il ragazzo aveva già preso le contromisure: le sue scimitarre infuocate si accesero di un’incandescenza sfavillante, ne fuse le impugnature creando una falce a doppia lama rovente che fece roteare. I bambini dietro a Sofia erano ammaliati da quello spettacolo di fuoco, mentre lentamente l’alba ritingeva il paesaggio attorno a loro. Dalle estremità dell’arma iniziarono a promanare mezzelune di fuoco. Alcune fecero a brandelli gli artigli di ferro con cui Àrian aveva attentato alla vita di Sofìa, altre costrinsero Brakmàker a rifugiarsi nell’ombra, mentre Kènshod si avvolgeva di un tornado di fuoco. Hòrton non ebbe il tempo di reagire e una sferzata al petto lo catapultò a cinque passi di distanza ferito mortalmente.
In quel momento un ululato rivelò che Skỳron si era liberato. Lìlith fu la prima a darsela a gambe urlando.
«Andiamocene!» si arrese Dòyle aiutando Bèsmet a rimettersi in piedi.
«Hòrton?» chiese lei indicando il corpo a terra a pochi passi da loro.
«Hòrton è perduto. Dobbiamo andarcene ora se non vogliamo fare la sua fine!» Poi chiamò Àrian invitandolo a darsi alla fuga.
In quel momento sopraggiunsero Làila e Nikrìo che avvolsero Sofìa e i bambini in una doppia barriera di ghiaccio e luce.
Àrian spaventato dal potere distruttivo che, seppur con un assoluto controllo, Kènshod stava emanando attorno a se, cadde all’indietro.
«Non sei tenuto ad andare con loro, ragazzo. Possiamo aiutarti» gli rivolse la parola Ken che ancora non aveva capito perché quel ragazzino stesse lottando dalla parte del Negromante.
Fu allora che sul volto di Àrian Ìsambard ricomparve un’espressione da invasato. Scoppiò in una fragorosa risata: «Io voglio andare con loro! Finalmente tutti riconosceranno il mio potenziale». Quindi si alzò e corse dietro a Dòyle e Bèsmet braccato da Skỳron.
Nikrìo si lanciò al loro inseguimento mentre Làila abbracciò con forza Sofìa che, solo tra le braccia dell’amica, si lasciò andare in un lungo pianto liberatorio.
Purtroppo sfruttando le arti illusorie, Brakmàker e il suo seguito riuscirono a far perdere le proprie tracce.
Presto sopraggiunsero anche le guardie guidate dal capitano Àxel Màson e i bambini furono ricondotti incolumi al villaggio di Riza.
Sofìa raccontò di ciò a cui aveva assistito e fu chiaro a tutti che il Negromante non aveva abbandonato la partita, stava cercando di appropriarsi di nuove pedine per dispiegare la sua strategia. L’unico modo per porre fine a tutto ciò, era dargli scacco matto.
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