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Svezia, 2075. In un mondo impoverito dalla scarsità di risorse energetiche, che non riesce più a guardare con fiducia al progresso scientifico, Aelita si imbatte in una vicenda misteriosa. Un’adolescente uguale a lei in tutto e per tutto, tre ragazzi morti, il progetto Astrom e il suo fondatore, un mondo parallelo: cosa accomuna questi elementi? L’animo inquieto e la razionalità scientifica di Aelita la spingono a indagare. Ciò che emergerà andrà ben oltre l’identificazione di un assassino, sarà una scoperta che coinvolgerà il senso stesso dell’esistenza.

La migliore sensazione mai provata. E quindi quando capitava
non ci rinunciava nemmeno se l’acqua sembrava melmosa;
le orecchie ovattate, gli occhi fissati sul punto più profondo e i
polmoni gonfi di benessere. Per tutto il tempo che resisteva, si
godeva quel momento di pace e si convinceva che nulla, fuorché
la natura, fosse in grado di curare l’anima. Risalendo la
spiaggia si ricordò di quei gesti ripetuti mille volte quando era
ragazzina, di suo padre che allarmato discendeva sino alla riva
perché non la vedeva riemergere.Continua a leggere
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Tutti i giorni la stessa ansia e lo stesso sollievo di genitore.
Dopo tanti anni, nel ritrovarsi in quel luogo per lei senza
memoria, costretta dalle circostanze e dalla precarietà mentale
che l’avevano colpita, riusciva a riscoprire qualcosa di sé solo
in quei venti secondi con il fiato trattenuto.
Il sentiero che conduceva alla casa di cura era leggermente
in salita e forniva la vista a piene mura della clinica che da
qualche mese era il suo tetto. Lo imboccò senza guardare dinanzi,
fissandosi la punta delle dita dei piedi che fuoriuscivano
dalle ciabatte di gomma; erano coperti di sabbia e salsedine e
le sembravano bellissimi.
Da molto tempo non faceva più riflessioni sul suo aspetto
fisico e aveva smesso di preoccuparsene da quando tutto era
iniziato. Fissandosi i piedi, ricompose se stessa con il pensiero
e non si riconobbe. Non riuscì a far combaciare la propria
immagine con quella della donna che ricordava. La forza e la
sicurezza cresciute con il tempo, nell’esercizio dei suoi studi e
del suo lavoro, erano svanite. La sicurezza invidiata e spesso
rimproverata non c’era più.
Le pareva di essere tornata adolescente, insicura e in attesa
che la vita le si svelasse.
Giunse in fondo al sentiero così, senza sollevare lo sguardo,
perché oramai conosceva quel posto.
Quando vi arrivò la prima volta, quaranta giorni prima, entrando
non ebbe il coraggio di rivolgersi al suo Dio per chiedere
un po’ di forze, ma allungò lo sguardo verso la pineta,
augurandosi che i folletti popolassero non solo le foreste incantate, ma
anche quel fitto bosco di abeti che guardavano il Mar Baltico,
e si disse che sicuramente avrebbero fatto una magia per lei.
Così varcò la soglia. L’atrio era quello di una moderna
struttura ospedaliera, priva però del caotico via vai. La accolse
una gentilissima infermiera che annotò i suoi dati anagrafici su
un registro. L’incontro con il dirigente ospedaliero avvenne già
la mattina seguente.
Si rilassò, pensando di aver fatto la scelta giusta e di essere
in buone mani.
Il primario si chiamava William Smed e da lì, e per i mesi
che seguirono, non fece che raccomandarle a ogni colloquio
di sforzarsi di non pensare a come stavano prima le cose: «Ci
vuole ancora tempo; è sufficiente per ora concentrarsi su ogni
gesto, anche il più semplice. Ogni gesto deve essere compiuto
con la massima consapevolezza».
Il dottor Smed, oggettivamente brutto e poco simpatico, godeva
di una rispettosissima fama ed era ritenuto un luminare
nel mondo della psichiatria. La fissava sempre e aveva in quegli
occhi piccoli lo stupore di chi non comprende l’incapacità di
comportarsi in modo adeguato ed esclamava quasi in un singhiozzo:
«È la cosa più semplice, come nascere».
E così accadde che, dopo il secondo colloquio, lei aveva
tratto le proprie conclusioni: stava pagando quell’individuo per
sentirsi ripetere a ogni conversazione che doveva modificare
il suo atteggiamento e cercare di cancellare le immagini e le
parole che la sua mente producevano, ma Aelita sapeva indubbiamente
di non poter cancellare i propri ricordi, seppur Smed
li ritenesse deliranti.
Per molti giorni provò ad allinearsi alle attese del medico,
ma si accorse presto che mai si sarebbe convinta di essere malata.
Smise così di prendere i medicinali prescritti, di cui ben
conosceva le controindicazioni.
Cominciò a essere maggiormente collaborativa e già solo
dopo un paio di settimane disse al dottore di sentirsi meglio, di
non aver memoria esatta di quello che era accaduto la notte che
era stata soccorsa, ma di stare bene. Il medico le rammentò che
il suo ingresso era stato volontario e che in quell’occasione lei
stessa aveva firmato le autorizzazioni a iniziare la terapia, che
comunque doveva seguire il suo corso e che prevedeva degli
step temporali ben precisi. Ricordandole inoltre che chi l’aveva
aiutata in quel disagio, il signor Daniel Astrom, si aspettava che
lei tornasse in piena forma.
Nonostante si fosse imposta di agire con razionalità per uscire
da quella situazione, Aelita non riuscì a celare gli attacchi di
panico che sopraggiunsero pochi giorni dopo l’ingresso in clinica.
Si rinchiuse quindi in se stessa evitando il più possibile di
parlare e dimenticandosi del mondo che c’era fuori. Questa
condizione di apatia si protrasse per molti giorni e solo i sogni
e gli incubi che la attanagliavano le ricordavano che stava vivendo in pausa.

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Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Semplice e di facile lettura ma allo stesso tempo intrigante. È una rivelazione unica.

  2. (proprietario verificato)

    Buongiorno a tutti, ho appena terminato la lettura del libro…che dire…spettacolo!!!
    potrei dire che racchiude tre generi in uno, un giallo un fantasy e un romanzo introspettivo.
    La partenza è tosta, tre omicidi e un incontro con un ricordo del passato che ci porta in un luogo sconosciuto all’umanità ma nello stesso tempo vicino al modo reale. Sembra un classico libro giallo ma non lo è. DA LEGGERE ASSOLUTAMENTE

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Gabriella Bruzzese
Gabriella Bruzzese classe 1974, laureata in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Milano, lavora in un istituto di credito. Coltiva dall’adolescenza la passione per la scrittura e Jave è il suo romanzo d’esordio.
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