In troppi alberghi usano queste tende a liste, trovo non abbiano senso. Così come non ha senso il fatto che io stia qui a parlare con voi. Perché dovrei farlo? Perché dovreste ascoltarmi?
Ora che siete qui, poi, vorrete di certo sapere chi sono, dove sono nato, che lavoro faccio e come si chiama la mia ragazza.
Insomma, vorrete sapere tutte quelle cose che distinguono ognuno di noi, facendoci sentire speciali, diversi. Quando poi sono altre le cose che dovrebbero spingerci a sentirci tali.
Anzi, spesso credo sia solo un’illusione. Sì, intendo il sentirci unici. Alcuni lo sono davvero, altri no, nonostante ci credano fortemente.
Ve lo dico in confidenza, in quest’epoca definire qualcuno “normale” è un’offesa, in quest’epoca “definire” qualcuno è reato. Perbenisti del cazzo. Se lo siete, vi chiedo una cosa semplice: non statemi ad ascoltare. Non fatelo.
Non fatelo perché se io non dico e non scrivo quello che sento e vedo compiersi e delinearsi davanti ai miei occhi su questo miserabile pianeta la mia stessa vita perderebbe di significato, quindi non posso esimermi. Non fatelo perché io non voglio piacere, né, tantomeno, nascondere le mie debolezze o quelle degli altri. Vi rimarrei sulla bocca dello stomaco se solo mi steste a sentire. E a me non va per niente di abitare i vostri intestini “bio”, quelli che non accettano la carne animale, o il glutine, ma sopportano il peso di migranti espulsi per questioni politico-legali.
La realtà è che siamo la somma di tutto quello che ci circonda. Siamo influenzati. Siamo influenza. Il contagio spesso è volontario, decidiamo con attenzione il virus da accogliere. I virus sono quasi sempre gli altri, quelli che pesiamo, quelli di cui siamo disposti ad ammalarci.
Non è un pensiero cattivo, si fottessero i sempre giusti e corretti. La selezione è una questione di natura, l’attuiamo e subiamo ogni singolo giorno.
Semplicemente riteniamo alcune persone diverse dalle altre, soggettivamente lo sono.
Parlo di quelle con gli occhi molto più grandi, di un altro spessore, di una maggiore intensità e ampiezza, capaci di dare asilo e distinguere, affondare e aggredire.
Le vibrazioni che percepisci in loro – e ti raggiungono – conservano la forza del Big Bang all’interno dei loro cuori.
Persone che, una volta conosciute davvero, vissute, non puoi più farne a meno, non puoi non curartene o perdere sangue per loro, non puoi non accontentarti anche di un briciolo del loro interesse.
Nessun’altra, nemmeno una perfetta, semmai esistesse, potrebbe sostituirle. È così raro che riesca a farlo, sai già che saresti a disagio.
Questo è il punto: le persone speciali sono quelle che ti danno la sensazione di contesto, quello giusto per te.
Probabilmente nelle impressioni di tutti noi riguardo l’altro c’è una componente d’egoismo, solo in presenza di determinate figure ci sentiamo davvero bene e avvertiamo continuamente l’opportunità di esprimerci, in qualunque modo, secondo qualsiasi gergo, restando in superficie o andando giù, che neppure immaginiamo quanto profondo. L’opportunità di salvarci o andare alla deriva. Dunque le desideriamo.
In ogni caso la consapevolezza è che ci faranno ridere, ci porranno la domanda giusta, capiranno, ci colpiranno.
Potranno essere anche piene di difetti, intrattabili, distanti, nello spazio o nel tempo, eppure sono ciò che sentiremo sempre come più prossimo, sono ciò che ci basterebbe, più dei soldi, della fama, più della bellezza, del sesso, del potere.
Perché in fondo la verità la sappiamo bene: sono solo e soltanto le persone uniche a renderci migliori, a metterci in condizione di mostrare la nostra versione superiore o di accettare quella più misera, frequentemente sconosciute a noi stessi.
Per fortuna, o sfortuna, ognuno ha le sue “esclusive”, esserlo l’uno per l’altra è improbabile.
La divisione e la scelta tra queste, però, può rivelarsi opprimente tanto quanto la scoperta della condizione d’impotenza in cui versa l’essere umano nei confronti del tempo e della vita. L’orrore per l’eterna condizione di fallibilità che è in tutti noi e rende così infelici e patetiche tutte le nostre manie di grandezza o controllo.
Da queste riflessioni io ne sono uscito distrutto. Nuovo.
Credetemi sono uno dei più fottuti presuntuosi che potreste incontrare sulla faccia della terra, lo sono per costituzione. Sapete, quelle stronzate del tipo devi sapere quanto vali e via dicendo. Io lo so, non scherzo. Non è facezia. E non ho bisogno che qualcuno me lo dica, anzi non voglio che qualcuno me lo dica.
Non mi mancano certo gli apprezzamenti, ma io gli apprezzamenti non li apprezzo. Novantanove su cento arrivano dalla bocca di qualche ipocrita. Ce ne sono davvero tanti in giro.
Il fatto è che ho cominciato ad avere dubbi su me stesso, sulla mia razionalità, su ciò che sento, sulla mia facoltà di distinguere la realtà dall’immaginazione, sulla capacità di andare avanti, sull’integrità, sull’abilità di controllo, sulla mia stessa esistenza.
In pratica sono così orrendamente perduto e sfiduciato da non avere più nessun rapporto con tutto ciò che mi rendeva quello che sono, o meglio, quello che sono stato. Da ora ho intenzione di mutar pelle ancora una volta, l’ho già fatto. Ci proverò. Basta volerlo. Basta fare schifo e rendersene conto.
Resterà uguale il nome: Jean. Mi presento. Jean Filangieri. Vi piace? Io lo trovo talmente snob. Lo senti e la prima rappresentazione che ti raggiunge è quella di un bastardo radical chic. Lo penserei anch’io, se fossi in voi. I pregiudizi sono la nostra fottuta ombra, vengono fuori insieme al sole, quando c’è da fare luce. Però combatterli non è difficile, se insisti puoi disperderli, dovremmo giudicare solo e quando abbiamo le giuste informazioni, la giusta cognizione.
Tornando a me, non sono poi tanto male, ho i miei difetti.
I miei dati anagrafici sono il frutto più bello della globalizzazione, le larghe vedute e le larghe intese. Mio padre è napoletano, nato a San Domenico Maggiore. Mia madre di Bordeaux, di nascita francese, ma di origini portoricane. Il loro incontro è avvenuto a una festa diplomatica a Zagabria.
Comunque non starò a parlarvi di loro, nemmeno della mia infanzia, dei traumi, dei tradimenti. Io voglio parlarvi solo di quello che mi è successo, di quello che mi sta succedendo, meno di quello che farò, perché ci sto lavorando e voi cosa ve ne fate di un’ipotesi?
Un’ipotesi non è la verità. Ma qual è la verità? Quella che percepiamo come verità è più o meno vera di quella oggettiva?
Quanto ci costa la lucidità, la infallibile razionalità? Che prezzo ha sostituire i battiti con i calcoli, coordinate precise per arrivare a un punto? E qual è, il punto?
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.