Questo è il mio nuovo lavoro.
Riportato alla luce dal fondo di un cassetto, tra oggetti e foto ormai vecchie, dopo averlo scordato per tanto tempo, il mio diario, quello scritto proprio in quei lontani, fantastici giorni.
Ora posso dirlo con sicurezza, ora che il tempo ha smussato gli angoli, ora che l’opera è stata compiuta e che, come accade quando qualcuno ci lascia, di quel qualcuno se ne ricordano solo le cose belle, scordandoci, o tralasciandone i lati negativi e le cose brutte, così ripenso a quei giorni con dolcezza e un tocco di malinconia.
La verità è tutta qui, lo era allora e lo è ancora. Certe sensazioni non mi appartengono più, ma lo erano sicuramente a quel tempo ed io non ho cambiato niente, non le ho estese né ristrette, vincendo la tentazione di adattarle al mio essere di oggi.
Trascrivendo mi sono a tratti scoperta a piangere, in altri momenti a sorridere, sempre mi sono riconosciuta così come ero. Tante vicende sono giunte e mi hanno cambiata, tutti noi siamo in continua evoluzione.
Chi mi ama e anche non vi riesce però sicuramente capirà.
Capirà quanto fosse importante per me raccontare quello che ho vissuto e sicuramente da domani lo sarà anche per altri.
Da allora ho vissuto tante esperienze, oggi sono una donna matura, ma la parte migliore che allora dimorava in me sono riuscita a mantenerla intatta.
Nel mio cuore ci sono sempre tanti sogni e riesco a vedere ancora il mondo come lo vedevo allora, nessun dolore, neppure il trascorrere del tempo sono riusciti a far sbiadire l’immensa meraviglia che ogni giorno provo verso l’amore.
È stato l’amore che prendendomi per mano mi ha accompagnato in ogni mia avventura, da quella che mi ha permesso di scrivere questa storia a quelle che sto vivendo nei miei giorni presenti, da Andrea, ai miei figli, al lavoro, nessuna esclusa, neanche quelle che non hanno trovato sponda. Tutti gli occhi in cui mi sono persa sono stati Amore e lo sono tutt’ora.
TUTTI.
04 giugno 1977
Con molta probabilità quello che sto vivendo troverebbe tra la gente comune ben poca approvazione. Se qualcuno sapesse… Se a qualcuno capitasse di imbattersi in queste pagine e le leggesse… Sicuramente in ogni caso, tutti alla fine proverebbero nella migliore delle ipotesi un po’ di disagio, magari qualche dubbio, forse anche un po’ di scandalo.
Nella peggiore scatenerebbe rabbia e disapprovazione.
In mezzo a tanti sentimenti avversi se riuscissi a trovare, non dico consensi e solidarietà, ma magari un briciolo di comprensione, sarebbe già tanto. Alla fin fine sto solo cercando di scacciare la paura di scoprirmi sola nell’affrontare tutto questo e che ciò che sto provando sia un sentire soltanto mio.
Comprensione, almeno da te, perché è soprattutto per te che sto scrivendo di quello, che forse sarà il momento decisivo per le nostre vite.
È quasi piena estate, di nuovo un’altra stagione. Sembra strano alla la mia età iniziare già la conta, trarre conclusioni e provare ad apporre i due punti, ma non è l’età, non lo sono gli anni, quanto piuttosto le paure, le gioie e i dolori a rendere l’animo vulnerabile e sensibile, come lievito nella farina dei dubbi.
La normalità, lo stato di tranquilla quiete ed il dolce crescere in armonia con il proprio tempo non scalfiscono, queste sono condizioni che assistono con leggerezza e distacco a quello che accade e che solo raramente e con svogliatezza ci osservano, restando però imperturbabili. Talvolta vengono ricambiati dallo sguardo del nostro esistere e così, scambiandoci reciproche e fugaci occhiate quasi insignificanti, lasciamo che mollemente tutto vada assieme ai giorni. Come dovrebbe poi essere a questa età.
Io invece sono qui, con i miei diciotto anni, ad analizzare, a rimuginare e a scandagliare, ma penso sia dovuto al bisogno di trovare una rapida soluzione. Adesso è indispensabile perché, ora che si è rotto anche quell’ultimo filo di speranza, non mi rimangono che la paura e il desiderio di cacciarla via prima possibile.
Dentro di me già sapevo con sensazione quasi profetica, ma l’illusione del dubbio mi aiutava, ora che ho avuto una risposta certa tutte le altre possibilità sono diventate inutili, come le carte usate in un solitario non riuscito.
Questa mattina, accompagnata da Monica, sono andata a ritirare le risposte delle analisi.
Avevamo appuntamento al nostro solito posto, alla fermata del tram numero 9, in Piazza Santa Maria Novella. Mentre l’aspettavo cercavo di darmi un contegno d’apparente serenità e distacco, ma sentivo il cuore battere forte, così forte da temere che la gente ne potesse sentire il rumore nel passarmi accanto. L’aria intorno, rarefatta, distorceva l’atmosfera facendola quasi vibrare all’unisono con i gorgoglii del mio stomaco e il tremolio delle gambe. Finalmente ho visto tra la folla il suo viso amico avanzare verso di me con passo veloce.
La tensione era tale che non ci siamo neppure salutate, ma non c’era bisogno di parlare, tutto era già stato detto, quello non era un semplice incontro amichevole, quella era la mia ancora di salvezza, ma per noi hanno parlato i nostri occhi. Ci siamo incamminate in silenzio dirigendoci verso la farmacia, l’una di fianco all’altra ed è stata solo la vergogna di apparire infantile e debole dal trattenermi di prenderla per la mano. Siamo arrivate alla meta quasi contando i passi e dopo esserci rivolte un ultimo sguardo lei si è fermata davanti all’ingresso ed io ho spinto la grande porta a vetri che ha fatto tintinnare la campanella d’entrata.
Dovevo apparire stranita, si doveva vedere quanto fossi in preda all’ansia perché il commesso, allungandomi quella busta che racchiudeva il responso, ha esitato un paio di secondi di troppo nel lasciarmelo. Il mio sguardo è stato catturato da quella piccola busta, un po’ retrò che riportava sul bordo, stampato con inchiostro bluastro, il logo della farmacia e il mio cognome scritto con una calligrafica dal sapore antico, curata, rotondeggiate e un po’ obliqua che subito mi aveva fatto venire a mente quella di suor Margherita, la mia maestra delle elementari.
L’uomo dietro all’enorme bancone di legno, con quell’aria un po’ goffa, così avvolto dal camice bianco che risultava essere troppo grande per il suo fisico asciutto, mi ha guardato a lungo come per scrutarmi o come per farmi una raccomandazione di più, ha annuito socchiudendo per un attimo gli occhi chiari, poi riaprendoli ha mollato la presa, lasciandomi di ghiaccio. Non ho avuto bisogno di aprire il biglietto e di leggerne l’esito: “POSITIVO”.
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