CAPITOLO PRIMO
La scelta di Annette
La schiuma delle onde si faceva sempre più notare all’occhio fermo e stabile della spiaggia. Prendeva terreno, conquistava spazio e poi, ritirandosi, lasciava gli incavi e un rumore di friabilità sulla battigia. Il vento di tramontana ne sosteneva la gittata e troneggiava sul mare quasi ad incitare l’efficacia del suo agire.
Era come un capovoga che dettava direzione e ritmo fino al raggiungimento del traguardo.
Non si spiegava come all’improvviso il mare avesse deciso di mostrare quella faccia. Era stato incantevole e senza increspatura il giorno prima e poi, nemmeno nella notte, aveva agitato i sogni delle persone.
Solo il mare conosceva il vero motivo per cui aveva assunto quelle sembianze: si era manifestato così a lei, per distoglierla da quell’intento contro natura che lei aveva lucidamente preparato. Per turbarla, impaurirla e alla fine terrorizzarla a non compiere quel gesto.
Aveva chiesto aiuto al vento e ai gabbiani che si erano posizionati in fila orizzontale quasi a formare una barriera che, come un frangiflutti, respingesse l’intento di morte. Anche il sole aveva deciso di unirsi a loro mostrando un pallore mai visto sino a quel momento.
Lei, si alzò presto quella mattina.
Dopo una notte tormentata, passata in compagnia delle sue tristezze, stremata, aveva deciso come sempre di prepararsi una tazza calda di the verde e poi, aprendo leggermente la stanza dove la madre dormiva, di dare un ultimo sguardo – il più dolce che era riuscita mai a regalare – a chi le aveva donato la vita, fardello che adesso le era divenuto così insopportabile.
Chiusa la porta della stanza il respiro iniziava a farsi corto. Forse perché la vita stava tentando un ultimo sforzo per farle cambiare idea e ingannare la sua attenzione così funestamente focalizzata.
Il cuore cominciava a batterle più forte ingrossandole le vene. Il sudore a inumidire le mani e un tremolio diffuso le provocava disorientamento alle gambe. Brividi di freddo comparivano su tutto il corpo e un senso di nausea l’avvolgeva. Quello stato mentale e fisico così fragile, che avrebbe fatto desistere chiunque da qualsiasi altra azione, non le impedì di aprire la porta ed uscire via, senza voltarsi indietro, verso la strada che l’avrebbe portata lì, davanti al mare.
La casa dove abitava non distava lontano. Si trovava a tre isolati dal lungomare che, come un, lungo serpente di cemento univa la parte del vecchio porto a quella nuova dove i locali di divertimento lo avevano colonizzato. Lei non si lasciava sedurre da quel frastuono ma preferiva posizionarsi da osservatrice esterna non partecipante. Non amava mischiarsi agli altri né condividerne argomentazioni. Quando usciva faceva delle lunghe passeggiate incurante della gente che le stava attorno e delle relazioni che danno forma ad una comunità territoriale.
Aveva un solo amore: Hop, il suo gatto di razza siberiana.
Preso ramingo, salvato dalla fame e dalle angherie degli altri gatti, era divenuto il suo motivo di vita, il suo silenzioso compagno assieme al quale condividere la quotidianità e raccontare i lamenti della sua anima.
Hop l’ascoltava.
Sempre. Con attenzione, senza interromperla.
Le mostrava tutta la sua comprensione e il suo affetto stringendo gli occhi ed emettendo suoni d’amore.
Quella mattina Hop non riuscii a svegliarsi. Non era la solita mattina, quella dove miagolava incessantemente reclamando la doppia razione di C, cibo e coccole.
Quella mattina era diversa. Lei aveva deciso di farla finita.
Aveva deciso di tagliare definitivamente i ponti con tutti.
Anche con Hop.
Gli aveva messo delle gocce di anestetico nel cibo, quelle che danno ai gatti al momento della castrazione, in modo che non si fosse potuto rendere conto della situazione. Per questo era rimasto quasi inerme, senza emettere alcun suono, quando Lei gli mandò un ultimo bacio per dirgli addio.
In verità non era stato l’unico addio nella sua vita.
Ne aveva vissuto un altro che l’aveva condizionata per tutto il tempo, solo che lei, come il suo gatto, sul momento, non ne era consapevole. All’età di 6 anni il padre l’aveva lasciata sola con la sorella gemella e con la madre ed era poi partito per un lungo viaggio dal quale non era più tornato. Sua madre da allora le creò attorno una realtà verosimile raccontandole che il padre era morto per via di un malore accusato in spiaggia e questo aveva tramutato nel tempo il pensiero d’amore in dolore e il dolore in angoscia.
La sua vita era stata per sempre segnata da quell’evento a cui lei non aveva potuto porre alcun rimedio. Nonostante fosse cresciuta in un luogo sicuro e stabile affettivamente, avesse portato a termini gli studi universitari e, poi, fosse diventata una rinomata psicologa della zona, la bolla dell’abbandono che, di anno in anno l’avvolgeva, aumentava di spessore rendendo vani i tentativi di liberazione che saltuariamente aveva provato a mettere in atto.
Sulle sue minute spalle era riuscita a caricarsi le storie degli altri, a decomporle, sezionarle e poi con un’operazione di raffinato collage a rimetterle insieme per dargli un senso, procurando giovamento e rinnovata fiducia nei suoi pazienti. Con la sua (di) storia non era riuscita nell’operazione, né altri erano mai venuti a capo dell’estenuante lacerazione che quella mancanza le aveva prodotto.
Forse perché c’era qualcosa che ancora andava messo a fuoco, portato alla luce.
Ma lei non ne poteva essere consapevole, non sapeva la verità di quel fatto che adesso pareva irrimediabilmente decretare la fine della sua esistenza.
La verità era che suo padre se ne era andato da casa, abbandonandola all’improvviso e senza alcuna spiegazione. Il fatto era accaduto in una torrida estate, in un giorno qualunque, mentre si stavano preparando, come di routine, per recarsi sulla spiaggia e passare un’altra giornata in compagnia del mare.
Il padre di Alison aveva già raccontato alla madre di quest’ultima lo sconforto che provava dentro ma che questo suo sentire, un giorno, si fosse potuto tramutare in un comportamento abbandonico era francamente difficile.
Nemmeno la madre di Alison aveva dato il giusto peso a quelle emozioni espresse, o forse, gliel’ho avevo dato e proprio per questo taciuto e allontanato dai suoi pensieri. Le aveva detto che prima o poi voleva partire per un lungo viaggio alla ricerca di quella striscia che s’intravede al limite dell’azzurrità posta in fondo al mare per scoprire se effettivamente ci fosse un qualcosa, una terra, un regno nel quale ogni dolore potesse perdere d’intensità e ogni amore potesse rivelarsi nelle sue vesti più dolci.
Più passavano i giorni e più l’umore di Peter andava annerendosi e i suoi comportamenti acquistavano sempre più mistero.
Poi la preoccupazione divenne il sentimento perenne che imprigionò la madre di Alison quando Peter smise di parlare a casa, di giocare con la bambina e farsi sempre più buio: della sua figura si vedevano soli i contorni. Nessuno riusciva a capire cosa avesse pervaso la sua mente. Se ne stava giornate intere nel salotto di casa con sguardo cupo e senza nessuna apparente attività vitale.
Era come sospeso nel vuoto. Quello della sua anima.
La mattina dell’abbandono si allontanò con la scusa di prendere per le sue bimbe un gelato al bar del lido che era adiacente alla spiaggia libera che come un morbido e caldo tappeto copriva l’intera distesa. Passarono circa 20 minuti e Peter non era ancora tornato. Un po’ preoccupata la madre di Alison allora si recò al bar con la certezza di scorgere la figura del marito poiché solito ad intrattenere discorso con i gestori del locale che lo conoscevano da tempo. Arrivata all’altezza del bar fece come un gesto d’interrogazione alla signora che gestiva l’area dei caffè e lei con fare misterioso le rispose, con un cenno del capo – aiutandosi con le braccia – di avvicinarsi perché doveva riferirle probabilmente qualcosa.
Annette, così si chiamava la madre di Alison, arrivò con non poca tensione al capezzale della barista e attese le sue parole in fremente silenzio: “Annette, ho visto tuo marito. È passato poco fa da qui.” “Beh quindi., dov’è andato adesso?” le domandò. La sua mente era in un lampo tornata a qualche tempo addietro e aveva messo nuovamente a fuoco le parole che Peter le aveva pronunciato circa la sua volontà di partire per un lungo viaggio alla scoperta del limite, che in fondo al mare, traccia una linea di confine tra il visibile e l’invisibile, tra l’azzurrità e l’oscurità, tra la certezza e l’arcano.
Forse era giunto proprio quel momento.
Deglutì con difficoltà e con voce rotta richiese alla barista: “Dov’è adesso Peter…?” “Annette, è passato da qui solo per lasciare questo biglietto per te… sembrava molto scosso emotivamente ma allo stesso tempo deciso nel suo fare. Scusami, ma non ho potuto fare a meno di leggere il biglietto. Tieni. Mi dispiace”, le rispose la barista con un senso di colpa e di tristezza che le tagliavano il viso.
Annette strappò letteralmente il biglietto dalle sue mani e corse verso l’uscita poiché il suo respiro si era fatto affannoso per colpa delle palpitazioni del suo cuore che le preannunciava, come un nefasto messaggero, l’infausta notizia. Aveva da tempo relegato nel dimenticatoio della sua mente quel volere che Peter le aveva dichiarato che sapeva adesso di abbandono. Forse aveva dato per scontato che il tempo avrebbe potuto far perdere d’intensità alcuni pensieri e quindi limare alcune spigolature che si erano presumibilmente create nelle vie degli affetti di Peter.
Del resto, non gli aveva mai fatto mancare niente né come compagna né come madre delle bambine. Era divenuta anche sua buona confidente, poiché maneggiava con facilità l’arte dell’ascolto, provocando benefici in chi aveva la fortuna di interagirci.
Ma, questi ragionamenti, seppur basati su fatti incontestabili perdevano di solidità rispetto alla nuda realtà che aveva sempre, come una tenaglia, stretto la relazione con Peter rendendola in alcuni momenti pericolosamente asfissiante. Peter e Annette erano due delle tre persone che sapevano. Erano i sultani di quel segreto. Lo custodivano entrambi con fermezza e con gelosia. D’altronde non avevano niente da nascondere agli altri, poiché nessuno poteva sapere.
I loro cuori erano gli unici che battevano all’unisono trasformando le sensazioni in comportamenti d’amore per le gemelle, Alison e Marion.
Già le gemelle… due meravigliosi fiori nella distesa primaverile, due timide farfalle nella sterminata azzurrità del cielo, due amori da amare… incondizionatamente. Peter, in particolare, nutriva per loro una specie di venerazione, un amore iconico che alle volte diventava spasmodico per via della verità che il suo cuore continuava affannosamente a respingere. Non era riuscito a mettere a tacere, una volta per tutte, quella voce che, nell’ultimo periodo, troneggiava nella sua anima e lo riportava alla gelida verità, trasformando il suo umore e infiltrandosi, come pioggia, negli anfratti dei suoi sentimenti.
Questo processo gli provocava turbamenti, ripensamenti, valutazioni e poi sconforto e dolore.
Il dolore presto avrebbe lasciato il passo alla disperazione che si era manifestata in tutta la sua impetuosità quel torrido giorno d’estate.
All’uscita del bar Annette non ebbe il coraggio di aprire il biglietto, forse perché era ormai rassegnata al peggio e così si diresse a gran velocità verso l’ombrellone dove le bimbe stavano giocando con i secchielli nella rovente sabbia. “Mamma e i gelati?” le domandarono. “Papà è tornato con i gelati?”, incalzarono. Annette, affidandosi alle residue forze che le erano rimaste gli rispose mostrandogli i gelati e dicendo che papà stava parlando con un suo amico incontrato durante il tragitto. Aveva infatti, prima di lasciare quella conversazione con la barista, acquistato due gelati per le bimbe, forse per alzare il sipario della messa in scena che avrebbe realizzato da lì fino ad un tempo che a quel momento non sapeva quantificare ma che avrebbe sicuramente, come morfina, lenito il dolore della perdita. Diede il gelato alle bimbe e gli disse di andarlo a mangiare in riva al mare per stare più fresche e così, finalmente, aprire il biglietto e in solitudine conoscere la verità.
E così successe. Le bimbe si allontanarono e aprì faticosamente il biglietto per via del tremolio che comandava il movimento delle sue mani. Anche gli occhi, avvertito il momento, si preparavano ad esternare emozione. Poi lesse il contenuto: Amore mio, è giunto quel momento. Non ce la faccio a sostenere più il peso dell’incertezza. Amo te e le nostre figlie, ma non sono le mie figlie. Non riesco a tenere più il segreto. Ho deciso di andare via per cercare di placare il mio senso di colpa. Voi non c’entrate. Mi sono appropriato di un diritto di cui non sono il titolare: il diritto di amare le bimbe e di essere amato da loro. Alison e Marion devono amare il loro vero padre, non me. Perdonami. Saprai trovare le parole giuste per loro. Addio. Perdonatemi.
Quelle parole pesanti come macigni frantumarono definitivamente le residue speranze che Annette conservava dentro. Aveva pensato al peggio ma non si aspettava quella durezza, quella fermezza, quella risolutezza con la quale Peter aveva preso una decisione i cui effetti sarebbero stati devastanti per lei, per le sue bambine e comunque forse anche per lui.
Peter amava Alison e Marion. Erano, come lui sempre diceva, le sue gemme rilucenti. Come aveva potuto fargli questo? Dove aveva trovato il coraggio di effettuare questa scelta? Dove era finito l’amore iconico per le bambine? Non aveva pensato al dolore che gli avrebbe provocato? E Annette come avrebbe reagito? Cosa avrebbe provato?
Questi interrogativi strazianti giravano nella testa di Annette come fastidiose mosche al punto di non accorgersi che Alison e Marion erano tornate sotto l’ombrellone a chiederle nuovamente di papà. A quel punto Annette iniziò ad alzare il sipario ed entrare in scena dicendogli: “Presto mettetevi le magliette che dobbiamo andar via perché papà si è sentito poco bene in spiaggia e quindi bisogna andare in ospedale”. Le bambine un po’ impaurite si vestirono in modo fulmineo e seguirono la mamma in direzione macchina, che era parcheggiata a lato della strada che costeggiava il lungomare. Il caldo, che in quel frangente mostrava a tutti la sua opprimente presenza, sembrava non creare nessun fastidio ad Annette e le bambine che entrate in macchina con i finestrini chiusi si dirigevano a sostenuta velocità verso casa. Arrivati a destinazione Annette fece scendere le bambine e chiamata a gran voce la madre che viveva con loro: le disse dell’accaduto e di tenere loro compagnia poiché si sarebbe diretta in ospedale per sapere le condizioni di Peter e seguire l’evolversi della situazione.
La madre di Annette non proferì parola e vedendo comunque il viso tirato e preoccupato della figlia prese le bambine e le accompagnò velocemente dentro casa rincuorandole che la madre sarebbe presto tornata con buone notizie.
E Annette? Dove sarebbe andata adesso? A chi avrebbe detto la verità di quel giorno? E la sua amarezza come si sarebbe placata?
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