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La Fenice

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Giampietro è un ragazzo dall’animo sensibile che si affaccia al traguardo dei trent’anni. In questa lunga lettera d’amore dedicata alla vita, parla in prima persona dei temi che più gli sono cari, dall’uguaglianza al tempo, con una prospettiva tutta particolare. Il suo vissuto non costituisce né un ostacolo né un motivo per un ripiegamento interiore, ma bensì uno stimolo per comprendere il valore della vita e una lente per osservare la realtà con occhi diversi.

Il libro è un racconto emozionante fra esperienze e sentimenti, che si intrecciano e arrivano al cuore, il cui filo conduttore è la gioia di vivere.

Scrivere
Mi sento smarrito, come una lettera che vaga solitaria in un vento senza nome, senza un destinatario.
Perché scrivo? Forse, inconsciamente, è un modo per parlare al mio io interiore, per ricercare in me, nei legami molecolari del mio spirito, un senso recondito alla meccanica esistenziale. Forse la materia dell’inchiostro ha in sé un qualche arcano potere curativo. I caratteri sono come simboli di formule alchemiche che servono per convertire la direzione del dialogo introspettivo e mutarne il flusso.
Scrivere dovrebbe essere proprio questo: trasformare l’interiorità in esteriorità, aspirare a dare una forma concreta a un’entità evanescente, riassumere il tutto. E io non ne sono capace.
Vorrei raccontare la mia storia, non per farne una trama da romanzo, ma per rifletterci sopra, e magari instaurare una sorta di dialogo virtuale con chi la leggerà.
Mi piacerebbe dare voce alla malattia e alla disabilità, e parlarne in modo nuovo e sincero. Proverò a descriverne le mille facce, positive e negative.
Desidero trasmettere la gioia di vivere e la felicità nel godere del tempo, utilizzando una prospettiva totalmente diversa.

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Parlerò di sentimenti ed emozioni, dei rapporti veri tra le persone, del comprendere e amare.
Il mio sguardo sarà in assoluto soggettivo. La libertà dei pensieri, gli occhi che osservano il circostante, il “filtro fotografico” che uso nello scrivere del contemporaneo, sono in tutto e per tutto personali. Non cerco l’oggettività, ma anzi me ne voglio allontanare usando una lente colorata e convessa.

La pioggia
Torno a casa e inizio a scrivere.
Piove. Le gocce si stampano sul vetro e poi scivolano giù, lentamente, lasciando una lieve scia al loro passaggio.
Fuori è ormai buio.
È stata una di quelle giornate invernali dove lo scorrere del tempo è segnato dalla successione delle tonalità in una scala di grigi.
Non ho visto il sole. Era nascosto dietro una fitta coltre di nubi, in un cielo di piombo liquido che spegneva tutti i colori. Eppure sono certo che esista anche di notte, in altre latitudini.
Penso a te. Vorrei dedicarti parole per descrivere il mio sentimento. Parole che non esistono. E sussurrartele dolcemente…
C’è stato un tempo in cui ci amavamo, in cui v’era corrispondenza esatta tra di noi. Adesso, le onde dei nostri pensieri viaggiano su frequenze divergenti, e quasi impercettibile è la telepatia che ci univa.
Per te ho varcato l’orizzonte degli eventi, oltre il quale l’infinita forza di gravità dei buchi neri non lascia scampo neanche alla luce. Ho attraversato i fiumi di metano liquido che scorrono sulla gelida superficie di Titano, satellite di Saturno.
Ho inventato metriche e rime, ho composto immagini di sogno.
Continua a piovere, e le gocce scorrono fitte sul vetro. Ascolto il suono dell’acqua che scroscia dal cielo e dai tetti. Sento la tua lontananza… Privo del tuo conforto, avverto un senso di solitudine.
Non sei nei cieli di pianeti sconosciuti, né in misteriose epoche perdute. Sei dentro me, nel mio profondo essere.
Guardo fuori, le luci opache, specchio di me stesso.
Ti scrivo sperando tu legga queste mie frasi.
Scrivo una lettera alla vita.

Il tempo della vita
… Un istante, nel cielo di Venezia,
che si posa sui bianchi campanili
quando il mare si tinge di amaranto,
da San Giorgio una lieve luce screzia
d’ametista le barche ed i pontili…
ma negli occhi dissolve il mite incanto…
vien la sera, e già l’attimo è svanito.

Equazione tendente al tuo infinito,
per algebriche valli cartesiane
vaga l’esser mio, sperso nel vapore
d’un respiro, l’anelito sognante
alle armoniche arcate palladiane,
alla mitica Atlantide interiore
che in te vive, di brezza mormorante
versi antichi d’un canto medievale.

L’ingranaggio del corso temporale
ha invertito il suo orario movimento;
il passato diventa prospettiva,
e rimpiango d’amara nostalgia
un futuro, fuggevole momento,
fumo e nuvole di locomotiva…
Noi, fra logica, tempo e fantasia.

La bellezza onirica insita in taluni momenti appare eterna. E invece spesso è soltanto effimera, e si perde nel crepuscolo, oltre l’orizzonte.
E io, nel mio vivere, aspiro alla felicità assoluta. Aspiro, senza mai arrivarvi, come la parabola tracciata sul piano cartesiano, che tende all’infinito ma non vi giunge mai.
Mi smarrisco in questa sconfinata landa matematica nel lievissimo vapore d’un sospiro, un desiderio forse irrealizzabile all’armonia perfetta, al canto sinfonico dei sensi, all’idillio esistenziale.
Pare talvolta che l’ingranaggio del tempo inverta la sua rotazione. Paradossalmente, il passato diventa la prospettiva del domani, in un perpetuarsi d’errori e di sofferti trascorsi; e mi ritrovo a rimpiangere un ipotizzato avvenire, che non si verificherà mai, che fugge via come il fumo d’una locomotiva.
Questo è il tempo della vita, una misura logica e fantasiosa che muta, varia in continuazione… e sempre ci sorprende.

La fenice
Voglio rinascere.
Rinasco come l’araba fenice dalle mie ceneri, dopo che il fuoco mi ha consumato.
Rinasco dopo le lacrime che mi rigano il viso, dopo le notti insonni passate a cercare stelle nel soffitto, dopo il dolore, la sofferenza, il tormento interiore.
Rinasco come ho fatto tante volte. Perché vivere è proprio questo: nascere di nuovo, ciclicamente, in un moto circolare senza inizio né fine.
Come quando nacqui e mi dovettero operare, e trascorsi diverse settimane in incubatrice. Ma il mio immenso desiderio di vivere prevalse già allora.
Come quando, ben presto, ho avuto la consapevolezza delle difficoltà che mi attendevano. Come quando stavo male, e la febbre era una mia compagna abituale.
Sì, rinasco. Non posso abbandonarmi adesso. Non voglio far sì che il flusso mi trascini con sé. Questo fiume di torpore, di vita apparente, di giorni offuscati. No, non può essere un’abitudine, vedere il mondo tra la bruma di febbraio.
È il momento di soffrire, di gioire, di essere, di lasciarmi coinvolgere dall’energia irrazionale delle emozioni. In una parola: vivere. Felicità e tristezza sono entrambe componenti imprescindibili della vita e soltanto la loro presenza rende degna l’esistenza.
La consapevolezza della transitorietà di questo difficile momento m’infonde coraggio e speranza in un prossimo domani migliore.
È la volontà che conta.
Chi sono io? Cosa desidero dalla mia vita?
Quale senso attribuisco al tempo?
Come un poeta che ritrova l’ispirazione svanita, intravedo un chiarore… un amore da lungi incompreso, un’idea limpida…
Il vento porta via la polvere. Ora vedo l’orizzonte… E mi pare un concetto raggiungibile, ora che il suo contorno è nitido.
Sì, verrà ancora quel tempo, e suonerò ancora con il mio violino una serenata alla vita, anche con l’ultima corda rimasta.
Sognerò nuovamente, e i miei sogni non saranno più immagini fuori fuoco, ma vita reale.

03 luglio 2019

Aggiornamento

Recensione su L'Ortobene

Commenti

  1. silmariva

    (proprietario verificato)

    “Troveremo la strada, o ne costruiremo una”
    Quando Annibale pronunciò questa frase, sono sicura avesse in mente Giampietro. Non ho mai conosciuto una persona più determinata e caparbia nel perseguire la felicità. Anni fa coinvolse me e altri nel suo progetto di raccogliere storie positive legate alla disabilità, me che come madre di ragazzo con fc, avevo ben poca voglia di cercare il positivo nella situazione.  Il suo progetto era, ed è, mostrare amore e gratitudine per la vita, in tutte le sue sfaccettature, con tutte le sue incognite e le strade in salita. Così adesso ha scritto questo libro autobiografico, un pugno nello stomaco e una risata di gioia. Racconti intimi, sofferti e profondi che diventano una cascata di luci e colori come fossero fuochi d’ artificio, espressi con linguaggio lineare e potente . Ho avuto l’ onore di leggerlo in anteprima, ancora da editare, e ho avuto conferma della sua incrollabile capacità di trovare il bello, il poetico e il divertente, in situazioni che lascerebbero basiti i più. Felicità, fede, forza di volontà, speranza e gioia di vivere ma anche tristezza e commozione espressi con semplicità e forza davvero unici.
    Bravo Giampietro, ” La Fenice ” è più di un bel libro. È una parte della strada che stai costruendo per la felicità.

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Giampietro Niffoi
è nato a Orani, Nuoro, il 21 aprile 1992. Si è diplomato all’Istituto Tecnico Commerciale “Salvatore Satta” di Nuoro, e nello stesso capoluogo, nel 2017, si è laureato in Diritto delle Amministrazioni e delle Imprese Pubbliche e Private. La Fenice è il suo romanzo d’esordio.
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